Jolanda è una delle due figlie di Adrian Paci, l’artista
albanese che vive e lavora a Milano dal 1997. Il PAC, Padiglione d’Arte
Contemporanea, in Via Palestro, gli dedica una ricca retrospettiva che si può
visitare fino al 6 gennaio 2014 e dal titolo “Vite in transito”.
Nato nel 1969 a Scutari, Paci è arrivato in Italia negli
anni’90, gli anni del cosiddetto “primo flusso migratorio” quando tanti suoi
connazionali venivano dall’Albania e dal resto dell’Europa dell’Est in cerca di
fortuna su barconi carichi di persone e di speranze. Un fenomeno, questo, che
da allora continua ripetersi per tanta umanità sfortunata.
Adrian Paci è, invece, arrivato in aereo e con il visto
sul passaporto perché voleva studiare in Italia come vincitore di una borsa di
studio in “Arte e liturgia” ottenuta presso l’Istituto Beato Angelico di
Milano. E da qui inizia la sua carriera.
Una carriera che è possibile ripercorrere nella mostra in
corso al PAC di Milano e il cui titolo Vite
in transito fa riferimento alla propria e a quella della sua famiglia, ma
soprattutto a quella di tanti migranti poveri che cercano in Occidente un
eldorado, spesso veicolato dalle immagini fittizie della televisione e di altri
media, ma che non corrisponde più alla realtà. Il titolo della retrospettiva ,
però, può essere letto anche in senso più metaforico: si riferisce, infatti,
anche al divenire dell’esistenza stessa che, per tutti, porta a continui cambiamenti.
Pittura su vari materiali, tecniche diverse di tratti e
di segni, videoinstallazioni, fotografie: la ricerca poliedrica creativa e
stilistica di uno degli artisti contemporanei più affermati al mondo, riporta
sempre al centro della riflessione temi di grande attualità. Sdraiata verso la
grande vetrata dell’edificio e imponente, si allunga una grande colonna di
marmo che ricorda quelle antiche greco-romane: si tratta dell’opera più recente
realizzata da Adrian Paci. Una colonna di marmo orizzontale rivolta verso una
parete su cui scorre un video. Nelle immagini è inquadrata una nave cargo sulla
quale alcuni artigiani cinesi stanno lavorando un grosso pezzo di marmo da cui
prenderà forma proprio quella colonna. The
column, questo il titolo dell’installazione, riprende i temi cari all’autore: il viaggio come speranza e
utopia, la de-localizzazione del lavoro, la trasformazione delle tradizioni.
A proposito di lavoro, Paci ritorna sul tema anche in Electric blue: si tratta di un video in
cui un uomo, per mantenere la sua famiglia, rinuncia al sogno di diventare
regista e decide di copiare videocassette di film porno. Scoprirà che suo
figlio le guarda e deciderà di cancellarle con filmati presi dalla televisione.
Il risultato sarà che sulle videocassette verranno registrate immagini della
guerra appena scoppiata nel Kosovo mischiate a quelle porno: ma qual è la vera
pornografia?
Alla Biennale 2005 di Venezia, l’artista porta un video
dal titolo Turn On: al PAC è esposta
una bellissima fotografia, tratta da quell’opera, che racconta da sola altre
vite in transito, o meglio, in attesa: è ritratto, infatti, un gruppo di
disoccupati di Scutari, seduti sui gradini dello stadio, ad aspettare di essere
reclutati per un lavoro a cottimo. E’ notte e ognuno di loro ha con sé un
generatore di corrente: una luce fioca che illumina volti seri e segnati dal
freddo; una luce tenue ancora di speranza.
La speranza, o l’illusione, dei protagonisti anche del
video intitolato Centro di permanenza
temporaneo: lo spettatore si trova di fronte a una scena di mobile
immobilità, l’aeroporto come luogo di transito per eccellenza, ma anche
non-luogo. La scaletta del velivolo
piena di persone pronte a partire…ma manca l’aereo e i migranti restano sospesi
nel vuoto.