Ancora violenza sulle donne, in India. E ancora violenza
anche sulle più giovani.
Qualche giorno fa, a 25 chilometri a Nord di Calcutta, a
Madhyangram, una bambina di dodici anni è stata aggredita da un branco. La
ragazzina era stata già attaccata, una prima volta, il 26 ottobre scorso da sei
uomini vicino alla sua abitazione. Dopo un paio di mesi, il 23 dicembre, è
stata aggredita di nuovo, in casa: l’hanno stuprata e poi, come se non
bastasse, le hanno dato fuoco.
La bambina - perché a dodici anni si tratta di una
bambina - era incinta nonostante la giovane età ed è deceduta il giorno di
Capodanno.
Al momento dell’accaduto i genitori hanno pensato che si
fosse tolta la vita a causa dell’umiliazione di essere in stato di gravidanza
così piccola e le autorità, in un primo momento, hanno cercato di negare che la
ragazza fosse una minore.
Questo nuovo caso, però, ha scatenato, finalmente, la
reazione della società civile: migliaia di persone si sono riversate nelle
strade della città per chiedere “tolleranza zero” contro chi si macchia di
reati così gravi e vigliacchi. Il governo indiano ha annunciato che, sui mezzi
di trasporto pubblico, verranno installate delle telecamere a tutela di tutti
e, in particolare, delle donne che sono ancora vittime della violenza cieca e
ottusa degli uomini. Ricordiamo anche il caso avvenuto sempre a dicembre, ma
nel 2012, a New Dheli, della ragazza di ventitrè anni picchiata, violentata e
torturata su un bus e che morì pochi giorni dopo. Era una studentessa (cosa
abbastanza rara ancora in un continente dove il tasso di alfabetizzazione è
bassissimo) e avrebbe dovuto sposarsi a febbraio. La sua bara è stata accolta
dal primo Ministro Manmohan Singh e dalla Presidente del partito del Congresso,
Sonia Gandhi e, in seguito, il suo corpo è stato cremato.
La 23enne è stata soprannominata la “Figlia dell’India”:
lei, come tutte quelle donne, ragazze e bambine che nel mondo subiscono
violenze fisiche e psicologiche sono le nostre figlie e tutti siamo chiamati a
proteggerle.