Afghanistan: la scorsa settimana un commando suicida talebano ha provocato la morte di ventuno persone, aprendo il fuoco in un ristorante libanese in pieno centro, a Kabul: hanno perso la vita 8 afghani e 13 stranieri.
A fine
gennaio l'esercito italiano lascerà l'ultima base, situata tra Herat
e Shindand, e nel 2014 anche gli Stati Uniti ritireranno le loro
truppe.
Ma cosa
accadrà dopo, soprattutto per quanto riguarda la condizione sociale
delle donne?
Grazie
alla ratifica della CEDAW (Convenzione sull'Eliminazione di ogni
Forma di Discriminazione contro le Donne) del 2003, oggi le donne
afghane godono di qualche diritto in più rispetto al passato: godono
di un maggior accesso all'istruzione e all'uso delle tecnologie e
hanno una migliore assistenza sanitaria mentre, all'epoca del dominio
talebano, le donne non potevano studiare, potevano uscire di casa
solo se accompagnate da un membro maschile della famiglia ed erano
costrette ad indossare il burqa anche all'interno delle proprie
abitazioni alla presenza di ospiti estranei.
L'ex
Segretario di Stato americano, John Kerry ha dichiarato: “Da quando
le donne afghane hanno più diritti, c'è da credere che non vogliono
tornare indietro”, aggiungendo: “Dobbiamo essere determinati a
non lasciarle sole”. Hillary Clinton, ha ribadito che, grazie ad
alcuni donatori internazionali, verranno convogliate risorse
economiche per finanziare progetti a favore delle donne anche dopo il
2014.
Intanto,
in Italia, la vicepresidente della Camera, Marina Sereni, ha
proposto, a Montecitorio, un'indagine dal titolo: Afghanistan,
la cultura come sfida per la ricostruzione: opinioni e proposte della
società civile sul potere delle donne e lo sviluppo educativo dei
bambini e dei giovani nel loro Paese”.
“Ho
incontrato una giovane donna di 23 anni sposata a un uomo di 60. Vive
con lui da nove anni e, mentre parlava con me, tremava: le è
proibito avere contatti con chiunque. E' sposata perchè la famiglia
l'ha data come 'compenso' dopo un omicidio commesso da suo padre. Il
marito non è un pashtun come lei: non parlano la stessa lingua,
hanno tre figli, ma non comunicano. Io per prima non sapevo che cio
fossero casi così”: questo è un racconto della ricercatrice,
Fereshta Abbasi Shahpasandzada che frequenta l'Università di Herat e
che ha preso parte all'indagine. Il lavoro è stato curato, infatti,
dalle università di Herat, di Strathclyde, di Glasgow, dalla
Rebaudengo di Torino e dall'Ong Peacewaves ed è durato per tre anni.
L'attività
di ricerca si è svolta nelle aree rurale e metropolitane (Herat,
Kabul e Nangarhar) e sono state ascoltate più di 1500 persone
diverse per età e professioni. Dai dati raccolti emerge una maggiore
consapevolezza dei propri diritti di base, da parte delle donne, e
anche del fatto che i bambini non possano essere educati e formati
soltanto nelle moschee, ma che abbiamo anche loro il diritto ad
un'educazione più ampia per riuscire ad acquisire competenze utili
per lavorare in futuro.
Marco
Braghero, di PeaceWaves, però sottolinea un risultato ambiguo che
riguarda una parte della popolazione giovanile, quella che - nelle
scorse settimane - è scesa in piazza a Kabul a manifestare contro
l'approvazione proprio della legge che punisce la violenza sulle
donne e vieta i matrimoni forzati: “ Nelle risposte al questionario
e alle interviste”, spiega Braghero, “ c'è una grande differenza
generazionale, dove gli adulti e gli anziani sono più ben disposti
verso l'educazione dei bambini e i diritti delle donne rispetto ai
ventenni e ai trentenni. Quelle sono le generazioni perdute,
cresciute durante 25 anni di guerra”.
C'è,
quindi, ancora tanto da fare. “ In dodici anni”, ha commentato
Marina Sereni, “ la situazione femminile in Afghanistan è certo
cambiata e lo dimostra anche questa ricerca, ma le difficoltà sono
ancora enormi. Lo scorso 22 maggio, Human Rights Watch ha reso noto
che nell'ultimo anno e mezzo il numero delle donne finite in carcere
per i cosiddetti 'crimini morali' è aumentato del 50%. Secondo l'Ong
sono tante quelle arrestate per essere scappate dalla violenza
domestica e dai matrimoni forzati. Non possiamo abbassare la guardia
proprio ora, tenuto anche conto della possibilità che la
stabilizzazione del Paese passi per una riconciliazione con parte
dell'opposizione armata.”