giovedì 23 gennaio 2014

Se il prezzo per la pace lo pagano le donne



Afghanistan: la scorsa settimana un commando suicida talebano ha provocato la morte di ventuno persone, aprendo il fuoco in un ristorante libanese in pieno centro, a Kabul: hanno perso la vita 8 afghani e 13 stranieri.

A fine gennaio l'esercito italiano lascerà l'ultima base, situata tra Herat e Shindand, e nel 2014 anche gli Stati Uniti ritireranno le loro truppe.

Ma cosa accadrà dopo, soprattutto per quanto riguarda la condizione sociale delle donne?

Grazie alla ratifica della CEDAW (Convenzione sull'Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne) del 2003, oggi le donne afghane godono di qualche diritto in più rispetto al passato: godono di un maggior accesso all'istruzione e all'uso delle tecnologie e hanno una migliore assistenza sanitaria mentre, all'epoca del dominio talebano, le donne non potevano studiare, potevano uscire di casa solo se accompagnate da un membro maschile della famiglia ed erano costrette ad indossare il burqa anche all'interno delle proprie abitazioni alla presenza di ospiti estranei.

L'ex Segretario di Stato americano, John Kerry ha dichiarato: “Da quando le donne afghane hanno più diritti, c'è da credere che non vogliono tornare indietro”, aggiungendo: “Dobbiamo essere determinati a non lasciarle sole”. Hillary Clinton, ha ribadito che, grazie ad alcuni donatori internazionali, verranno convogliate risorse economiche per finanziare progetti a favore delle donne anche dopo il 2014.

Intanto, in Italia, la vicepresidente della Camera, Marina Sereni, ha proposto, a Montecitorio, un'indagine dal titolo: Afghanistan, la cultura come sfida per la ricostruzione: opinioni e proposte della società civile sul potere delle donne e lo sviluppo educativo dei bambini e dei giovani nel loro Paese”.

Ho incontrato una giovane donna di 23 anni sposata a un uomo di 60. Vive con lui da nove anni e, mentre parlava con me, tremava: le è proibito avere contatti con chiunque. E' sposata perchè la famiglia l'ha data come 'compenso' dopo un omicidio commesso da suo padre. Il marito non è un pashtun come lei: non parlano la stessa lingua, hanno tre figli, ma non comunicano. Io per prima non sapevo che cio fossero casi così”: questo è un racconto della ricercatrice, Fereshta Abbasi Shahpasandzada che frequenta l'Università di Herat e che ha preso parte all'indagine. Il lavoro è stato curato, infatti, dalle università di Herat, di Strathclyde, di Glasgow, dalla Rebaudengo di Torino e dall'Ong Peacewaves ed è durato per tre anni.

L'attività di ricerca si è svolta nelle aree rurale e metropolitane (Herat, Kabul e Nangarhar) e sono state ascoltate più di 1500 persone diverse per età e professioni. Dai dati raccolti emerge una maggiore consapevolezza dei propri diritti di base, da parte delle donne, e anche del fatto che i bambini non possano essere educati e formati soltanto nelle moschee, ma che abbiamo anche loro il diritto ad un'educazione più ampia per riuscire ad acquisire competenze utili per lavorare in futuro.

Marco Braghero, di PeaceWaves, però sottolinea un risultato ambiguo che riguarda una parte della popolazione giovanile, quella che - nelle scorse settimane - è scesa in piazza a Kabul a manifestare contro l'approvazione proprio della legge che punisce la violenza sulle donne e vieta i matrimoni forzati: “ Nelle risposte al questionario e alle interviste”, spiega Braghero, “ c'è una grande differenza generazionale, dove gli adulti e gli anziani sono più ben disposti verso l'educazione dei bambini e i diritti delle donne rispetto ai ventenni e ai trentenni. Quelle sono le generazioni perdute, cresciute durante 25 anni di guerra”.

C'è, quindi, ancora tanto da fare. “ In dodici anni”, ha commentato Marina Sereni, “ la situazione femminile in Afghanistan è certo cambiata e lo dimostra anche questa ricerca, ma le difficoltà sono ancora enormi. Lo scorso 22 maggio, Human Rights Watch ha reso noto che nell'ultimo anno e mezzo il numero delle donne finite in carcere per i cosiddetti 'crimini morali' è aumentato del 50%. Secondo l'Ong sono tante quelle arrestate per essere scappate dalla violenza domestica e dai matrimoni forzati. Non possiamo abbassare la guardia proprio ora, tenuto anche conto della possibilità che la stabilizzazione del Paese passi per una riconciliazione con parte dell'opposizione armata.”