Il 22
gennaio scorso, il Patriarca di Venezia, Monsignor Francesco
Moraglia, scrive una lettera aperta sul Corriere
del Veneto in
cui chiede alle istituzioni una risposta valida e concreta
all'accoglienza dei profughi e dei richiedenti asilo politico.
“Comprendo
le difficoltà e
anche le obiezioni sollevate da parecchi sindaci del nostro
territorio. So bene che certe zone e popolazioni sono già da tempo
sotto pressione o hanno vissuto esperienze non sempre positive, anche
in un recente passato. Problemi o complicazioni di carattere
finanziario e normativo non sono di poco conto e non vanno
sottovalutati. Siamo, però, di fronte a persone in grave difficoltà
che chiedono d'essere accolte e aiutate a risollevarsi. E sappiamo,
d'altronde, che nessuno lascia il proprio Paese volentieri; me lo ha
ricordato, con tutta la forza della sua testimonianza, una giovane
donna incontrata all’inizio dell'anno nel carcere della Giudecca.
"Migranti
e rifugiati non
sono pedine sullo scacchiere dell'umanità. Si tratta di bambini,
donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le
loro case”, scrive Monsignor Moraglia e aggiunge: “ Ma
soprattutto la politica,
nelle sue diverse articolazioni, è chiamata a farsi carico dei
problemi, senza sfuggirli, soprattutto per quello che riguarda il
tempo del «dopo accoglienza» che richiede serie politiche europee
e nazionali per una vera integrazione e l’inserimento reale nel
tessuto sociale del nostro continente. L’immigrazione non deve più
essere considerata solamente un problema italiano. Come dicevo
proprio ai giornalisti qualche giorno fa, a Cavallino, sono
fiducioso che la cultura e la tradizione delle genti venete - le cui
radici, cristiane, sono intessute di accoglienza e di solidarietà
vere e concrete - saprà affrontare con animo grande, nel rispetto
di tutti, questa nuova emergenza che, sappiamo, non è facile da
fronteggiare. Auspico perciò che essa si trasformi in opportunità;
è una sfida da vincere insieme, nel rispetto della coesione
sociale. Come è vero che nessuno deve tirarsi indietro, è anche
vero che ognuno deve fare la sua parte e nessuno, alla fine, deve
essere lasciato solo; in questo, capisco le difficoltà e i timori
delle amministrazioni interpellate. Domenica a Mestre, nell’omelia,
ricordavo che «l’accoglienza è la risposta alla globalizzazione
dell’indifferenza. E proprio tale dimensione culturale-politica
diventa necessaria per costruire una società che sia realmente a
misura d’uomo».
Quale veneto resta indifferente di fronte a un bambino sofferente e in evidente stato di denutrizione? Il sottoscritto, quando era presidente della Provincia di Treviso, ha aperto in Veneto il primo sportello per l’assistenza agli immigrati. Il Veneto è e resta quindi uno dei modelli meglio riusciti di integrazione. Integrazione con chi e per chi viene qui a lavorare, a dare una prospettiva diversa alla propria famiglia e ai propri figli, a cercare una via d'uscita a una vita che nelle terre d’origine è spesso convivenza con guerre e quotidiane violenze. Cos’è dunque accaduto da rendere la materia così incandescente fino al punto da trasformarla in elemento di forte contrapposizione? Cos’è accaduto da suscitare tanta paura e riluttanza nei cittadini? È accaduto che, scambiando integrazione con buonismo, diritto con pacca sulle spalle, si sono aperte le frontiere anche a chi non aveva alcuna intenzione di integrarsi, a chi non voleva fuggire da fame e stragi e povertà ma semplicemente da un pessimo rapporto con la giustizia. Il buonismo ha fatto sì che si confondesse il giusto diritto a integrarsi in una nuova società o a fuggire da una realtà orrenda, con il diritto a venire in Italia e ad arrangiarsi con condotte criminali. Col risultato che gli stessi immigrati che altro non chiedono che di lavorare onestamente e onestamente vivere, pagano oggi un conto salatissimo a questo lassismo sconosciuto in tutti gli altri paesi europei che applicano leggi assai severe contro chi trasgredisce o chiede ingresso senza validi motivi.
Non
tarda ad arrivare la risposta - sempre informa di lettera aperta e
pubblicata il 24 gennaio sullo stesso quotidiano - del governatore
della Regione Veneto, Luca Zaia, di cui riportiamo di seguito alcuni
brani.
“...Questa regione ha ridato
prospettive di vita a 510 mila immigrati (il 10,2 per cento della
popolazione, di cui 255 mila occupati), di questi ben 39 mila hanno
avviato una attività imprenditoriale. Il peso dell'immigrazione sul
Pil, cioè sulla ricchezza prodotta è del 14,2 per cento. I figli
di questi immigrati vanno a scuola e giocano con i nostri figli, e
spesso parlano il dialetto meglio di noi. Il Veneto è la prima
regione d’Italia per immigrazione legale. Il Veneto non ha dunque
paura del diverso, dell’immigrato: smettiamola con questo luogo
comune, e sfatiamolo una volta per tutte.
Quale veneto resta indifferente di fronte a un bambino sofferente e in evidente stato di denutrizione? Il sottoscritto, quando era presidente della Provincia di Treviso, ha aperto in Veneto il primo sportello per l’assistenza agli immigrati. Il Veneto è e resta quindi uno dei modelli meglio riusciti di integrazione. Integrazione con chi e per chi viene qui a lavorare, a dare una prospettiva diversa alla propria famiglia e ai propri figli, a cercare una via d'uscita a una vita che nelle terre d’origine è spesso convivenza con guerre e quotidiane violenze. Cos’è dunque accaduto da rendere la materia così incandescente fino al punto da trasformarla in elemento di forte contrapposizione? Cos’è accaduto da suscitare tanta paura e riluttanza nei cittadini? È accaduto che, scambiando integrazione con buonismo, diritto con pacca sulle spalle, si sono aperte le frontiere anche a chi non aveva alcuna intenzione di integrarsi, a chi non voleva fuggire da fame e stragi e povertà ma semplicemente da un pessimo rapporto con la giustizia. Il buonismo ha fatto sì che si confondesse il giusto diritto a integrarsi in una nuova società o a fuggire da una realtà orrenda, con il diritto a venire in Italia e ad arrangiarsi con condotte criminali. Col risultato che gli stessi immigrati che altro non chiedono che di lavorare onestamente e onestamente vivere, pagano oggi un conto salatissimo a questo lassismo sconosciuto in tutti gli altri paesi europei che applicano leggi assai severe contro chi trasgredisce o chiede ingresso senza validi motivi.
Dobbiamo dunque avviare una serie riflessione sull’immigrazione. Possiamo e dobbiamo compiere scelte razionali, evitando demagogia, scorciatoie e fronteggiando una dei problemi più seri che le società occidentali si trovano a dover affrontare. Prima scelta. Dividere i richiedenti asilo dai migranti per motivi economici. Il somalo, il libico, il siriano, chiunque fugga da zone calde del mondo sa che difficilmente tornerà mai più nel suo Paese. Il marocchino, il tunisino, l’egiziano che vengono qui per lavorare e trasferire la famiglia e i parenti non appena hanno consolidato un minimo di benessere, tornano spesso e volentieri nella propria patria. Guardiamo le cose per quello che sono, senza far finta di nulla: forse non a caso è proprio in questa seconda fascia di migranti che si concentra il più elevato tasso di delinquenza e di popolazione ospitata nelle carceri. È sotto gli occhi di tutti l’immagine di barche da cui scendono non disperati, non rifugiati, non persone desiderose di lavorare ma giovani con pantaloni, magliette, occhiali alla moda e telefonino. Seconda scelta. Se è vero quanto affermato in precedenza, occorre tornare a pensare a flussi d’ingresso regolati sulla base delle richieste del mondo del lavoro. Non credo sia discriminazione affermare che di fronte a un Veneto con 170 mila disoccupati, aziende in crisi, riduzione del Pil e un giovane su quattro senza lavoro (di cui due precari), non si debba e non si possa prima pensare alla nostra gente, a risollevare prima una economia in cui non c’è più spazio lavorativo neppure per gli immigrati.
“... È un caso se il governo inglese sta facendo profonde riflessioni, spaventato dall’apertura delle frontiere romene e bulgare, e se ragionamento molto simile stanno facendo il Presidente Hollande, in Francia, e il Cancelliere Angela Merkel, in Germania? Lei, Patriarca, guarda alla politica, ma giustamente anche alla Ue. L’ho detto più volte e lo ripeto perché credo che questo sia il vero spartiacque su cui corre la questione: dobbiamo cambiare radicalmente prospettiva. Lampedusa, e tutte le località del nostro Mezzogiorno dove avvengono gli sbarchi, non possono più essere considerati soltanto il confine sud dell’Italia ma devono diventare - non soltanto geografica mente ma anche politicamente - il confine sud di tutta l’Unione Europea.
Il tema dell'accoglienza e delle frontiere è dunque una problematica che deve investire e riguardare tutta la Ue, quell’Europa che ha lasciato sempre sole Lampedusa e l’Italia a gestire il problema di flussi crescenti di immigrazione, quell’ Europa di Schengen che ha visto nazioni leader (quelle sempre pronte a chiedere agli altri il rigoroso rispetto delle regole) chiudere dal giorno alla notte le frontiere senza alcuna condivisione con i partner, facendo strame del diritto e lasciando il nostro Paese - con i suoi 7 mila 456 chilometri di coste - a gestire la disperazione di chi arriva con ogni mezzo dal Sud del Mondo. La Chiesa fa tanto per gli immigrati, in alcune realtà spesso soltanto la Caritas e le organizzazione cattoliche riescono a garantire la sopravvivenza a masse di disperati. Giusto quindi il richiamo alla politica. Mala politica ha il dovere di decidere con razionalità ed equilibrio, e soprattutto con buon senso...”
Ancora acceso, quindi, il dibattito in Italia sul tema dell'accoglienza e sulle politiche riguardanti l'immigrazione. Ed è bene fare sempre il punto della situazione e capire in che direzione si sta andando.