La
sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2011 aveva dichiarato
illegittima la cosiddetta “emergenza nomadi”, in vigore dal
maggio 2008. L'attuazione delle misure emergenziali, infatti, era
iniziata con un censimento delle comunità rom e sinte negli
insediamenti formali e informali di diverse città italiane, un
censimento che aveva assunto le fattezze di una schedatura su base
etnica.
Come
evidenziato da molte organizzazioni internazionali e dalle ONG
(Amnesty International, tra le tante) l'”emergenza nomadi” in
vigore nel periodo 2008-2012 ha aggravato la discriminazione delle
comunità rom e sinte perchè si è continuato a concentrare queste
comunità in spazi chiusi e spesso caratterizzati da condizioni di
vita incompatibili con gli standard internazionali sul diritto ad un
alloggio adeguato e con il godimento effettivo di altri diritti di
base, quali: il diritto alla salute, all'istruzione e al gioco, nel
caso dei minori.
Nel
rapporto stilato dall'Associazione 21 luglio vengono descritte le
condizioni di vita dei bambini e dei giovani - e delle loro famiglie
– all'interno degli insediamenti formali e informali, utilizzando
come fonte di rifermento ad esempio La Convenzione dei Diritti
dell'Infanzia e dell'Adolescenza e la Carta Sociale Europea
(riveduta).
Secondo
l'indagine, le soluzioni abitative proposte ai rom e ai sinti si
basano su un presupposto erroneo, ovvero che ci si stia rivolgendo a
popolazioni nomadi: questo comporta che gli alloggi siano ubicati in
spazi isolati e sovraffollati, che non offrono nessuna seria
prospettiva di inclusione sociale e in cui le persone vivono in una
situazione di segregazione. A questo si aggiungono gli sgomberi
forzati che consistono nella rimozione degli individui dalle loro
abitazioni contro la loro volontà, senza il rispetto di garanzie
come, ad esempio, la predisposizione di alloggi alternativi e un
giusto preavviso.
Questa
precarietà abitativa comporta ripercussioni gravi sullo stato di
salute dei rom e dei sinti e sui diritti dei minori. La collocazione
degli insediamenti in aree insalubri e spesso lontane dai servizi
sanitari espone le persone che vi abitano a situazioni nocive per la
loro salute, situazioni causate anche dalla mancanza di servizi
igienici, impianti fognari, connessione all'acqua potabile e
all'elettricità. Le patologie più frequenti, soprattutto nei più
giovani, sono denominate “patologie da ghetto” e sono: malattie
infettive, patologie da stress, disturbi del sonno. Per quanto
riguarda il tema della salute, inoltre, è emersa anche la difficoltà
di accesso al Servizio Sanitario Nazionale legata alla mancanza della
residenza anagrafica e ai motivi economici e questo comporta
l'impossibilità, per i bambini rom e sinti, di usufruire delle cure
necessarie in caso di malattia.
Altro
argomento importante, preso in esame nel rapporto, riguarda il
diritto all'istruzione. L' istruzione costituisce un diritto
fondamentale anche in relazione ad altri, primo fra tutti il diritto
al lavoro. Il rapporto ha evidenziato che l'abbandono scolastico e la
discontinuità scolastica sono frequenti in tutte le città italiane
e le ragioni sono molteplici: la condizione di precarietà abitativa
che costringe le famiglie a spostarsi da un'area all'altra, ma anche
l'esistenza di stereotipi e pregiudizi negativi radicati
nell'immaginario collettivo.
Anche
il diritto al gioco è importante: l'esiguità degli spazi vitali
nelle unità abitative rende molto difficile le attività di gioco al
chiuso. I bambini e i ragazzi, quindi, si ritrovano a svolgere le
attività ludiche all'aperto e, come detto, spesso in zone insalubri
e insicure. E questo impedisce la possibilità di svolgere attività
ricreative, artistiche e culturali, utili allo sviluppo educativo,
cognitivo e relazionale dei minori.
L'ultima
parte del libro bianco prende in considerazione un altro aspetto
delicato: il diritto alla famiglia e, in particolare, il diritto di
non essere separati dai propri genitori se non nel caso in cui
l'autorità competente decida che sia strettamente necessario
nell'esclusivo interesse del minore. Secondo la normativa
internazionale, infatti, la separazione dei figli dai propri genitori
(e la loro collocazione in strutture socio-sanitarie assistenziali o
in altri nuclei familiari) dovrebbe costituire un rimedio estremo e
non dovrebbe essere deciso solamente in base alle condizioni
socio-economiche dei genitori. Invece, il trend inquietante che
emerge dalla ricerca è che in Italia i minori rom sono dichiarati
adottabili molto più spesso rispetto ai loro coetanei non rom:
questo per il pregiudizio, ancora diffuso, secondo il quale i rom, in
quanto tali, sarebbero incapaci di prendersi cura dei propri figli.
Ma solo la conoscenza diretta e approfondita di persone, popoli e
culture può scardinare, almeno in parte, stereotipi e pregiudizi. E
tutte le indagini e le attività culturali che vanno in questa
direzione possono essere d'aiuto.