Il
ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato un nuovo
metodo di cooperazione con il Consiglio d'Europa in materia di
emergenza carceri: questo in risposta alla condanna dell'Italia, da
parte della Corte europea dei diritti dell'Uomo, per la violazione
dei diritti dei detenuti. Entro il prossimo 28 maggio, l'Italia dovrà
presentare il pacchetto “svuotacarceri” su cui ancora si sta
tanto discutendo. Tra le proposte prese in esame dal governo italiano
vi sono: la riforma della custodia cautelare, una depenalizzazione
per i reati riguardanti alcune sostanze stupefacenti, il rimpatrio
degli stranieri e pene alternative per alcune categorie di detenuti.
Vogliamo
ricordare, però che esistono due tipi di giustizia: quella
retributiva e quella riparativa.
La
prima, la più diffusa, è quella che considera la punizione come la
giusta conseguenza al reato e, quindi, pone al centro la
trasgressione. La seconda, invece, pone al centro la persona, anche
se si tratta di chi ha commesso la trasgressione.
Secondo
indagini recenti, la maggior parte dei condannati a pene carcerarie
torna a delinquere e invece di essere accompagnata in un percorso di
riabilitazione - come prevede la nostra Costituzione - viene
rinchiusa e privata dei diritti fondamentali. Mentre, per quanto
riguarda le vittime dei reati, chiedono, forse comprensibilmente,
solo vendetta.
L'ex
magistrato, Gherardo Colombo, nel suo saggio intitolato Il perdono
responsabile (edito da Ponte alle Grazie) riflette su
questi argomenti e mette a confronto la giustizia retributiva e
quella riparativa. La domanda di partenza è: “Si può educare al
bene attraverso il male?” perchè di educazione si tratta o si
dovrebbe trattare. Secondo la giustizia di Stato, quella retributiva,
la persona viene valutata in base ai suoi comportamenti, buoni o
cattivi: la persona in quanto tale non ha alcun valore. La giustizia
riparativa, invece, ribalta il punto di vista e considera prioritaria
la dignità della persona, di qualsiasi persona, anche del reo. La
Costituzione italiana e la Dichiarazione ONU sui diritti dell'Uomo
confermano questo, nel momento in cui sanciscono che l'ordine debba
essere finalizzato alla realizzazione della persona e non viceversa:
secondo tale visione, chi ha commesso un reato deve poter affrontare
un percorso di recupero, di inclusione e anche di riconciliazione. I
programmi della giustizia riparativa - come ricordato anche in un
altro articolo che abbiamo pubblicato su questo argomento -
prevedono, infatti, l'incontro e la responsabilizzazione dei rei,
delle vittime e dell'intera società. Risulta importante il concetto
di responsabilità se si pensa, ad esempio, che in molti casi il
detenuto sbattuto in carcere non è del tutto consapevole delle
proprie azioni: non sta in carcere per senso di responsabilità
profonda, ma perchè costretto e basta. Anche e soprattutto perchè,
come dice il Prof. Colombo: “ Le persone seguono le regole non
perchè le condividano, ma per evitare la punizione o meritare il
premio”.
Infine,
il perdono: qualche settimana fa abbiamo pubblicato anche un video di
Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, in cui spiega i motivi per cui ha
deciso di perdonare gli assassini di suo padre: motivazioni che si
collegano allo scritto del magistrato quando sostiene che, alla base
di ogni cammino di perdono, ritorni il concetto di “responsabilità”.
Il reo deve capire quali siano le conseguenze del male commesso e
assumersi la responsabilità della sua riparazione, mentre la
comunità deve assumersi la responsabilità di ri-accogliere il reo.
E' una sfida, reciproca, che può far crescere e maturare sia come
uomini sia come cittadini.