Rubin Carter, detto “Hurricane” per la velocità e la potenza dei suoi colpi: nel 1961 inizia la sua carriera di pugile che lo vede vincitore per i primi venti incontri, è morto ieri sera all'età di 76 anni, battendo anche il leggendario Emile Griffith.
Lo
vogliamo ricordare perchè, nel 1966, venne accusato di triplice
omicidio durante una sparatoria in un locale del New Jersey. La
condanna fu di due ergastoli e la sentenza fu confermata dieci anni
dopo. Il caso fu uno dei più eclatanti e controversi dell'America
dei “diritti uguali per tutti”: la giuria chiamata a decidere del
destino di Carter era, infatti, composta solamente da uomini bianchi
e i testimoni si dimostrarono inattendibili.
Nato nel
1937 da una famiglia di sette figli, Rubin venne mandato in
riformatorio all'età di 12 anni per aggressione, ma poi decise di
arruolarsi nell'esercito che, nel '54, lo spedì nella Germania
dell'Ovest. Al suo ritorno continuò a compiere qualche scippo fino a
quando trovò come incanalare la sua energia e la sua vita: nella
boxe. E diventò un grande campione dei pesi medi.
A
seguito della sua condanna agli ergastoli si mobilitò gran parte
dell'opinione pubblica mondiale: persone comuni, cantanti, artisti
scesero in piazza sostenendo che l'accusa contro “Hurricane” si
basava su motivi razziali. Rubin Carter è diventato, così, uno dei
simboli della lotta alle discriminazioni.
Diciannove
anni di prigione, fino a quando, fu rilasciato , nel 1985, dopo anni
e anni di battaglie legali e di campagne di sensibilizzazione per
quella che, con enorme ritardo, è stata poi riconosciuta come un
caso di razzismo per il colore della pelle. Tre anni dopo, nell' 88,
caddero tutte le accuse contro di lui.
Bob
Dylan canta la sua storia nel celebre pezzo proprio intitolato
“Hurricane” e Denzel Washington ha interpretato il pugile nel
film Hurricane-Il grido dell'innocenza. L'”uragano”
si è spento nella sua abitazione di Toronto, dopo un'esistenza
travagliata, ma che, alla fine, ha dato un senso alla giustizia.