giovedì 10 aprile 2014

Maledetto amore mio: un romanzo, la periferia, l'umanità




Pierfrancesco Majorino non è solo l'Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano, ma è anche uno scrittore. E' da poco stato pubblicato, per Laurana Editore, il suo nuovo romanzo intitolato Maledetto amore mio, ambientato in una periferia milanese, sconvolta dal suicidio di Markus, un uomo grande e grosso che, un giorno, decide di gettarsi da un balcone. In quel palazzo popolare vivono anche Lisa, una donna anziana e il vecchio Ivo; Erika che ama Thomas e Little Boy. Generazioni diverse, italiani e stranieri, un microcosmo di persone che animano una comunità che deve fare i conti con problemi quotidiani e sentimenti universali. Un romanzo profondo che mette in scena la commedia della vita, più o meno amara, ma che vale sempre la pena vivere fino in fondo.






Abbiamo intervistato per voi Pierfrancesco Majorino che ringraziamo molto per il tempo che ci ha dedicato.






Una storia ambientata in una periferia contemporanea, quella milanese, per parlare di amore e di solitudine: sembra una contraddizione, ma non lo è...



No, infatti non è una contraddizione. Non vi è niente di più ricco, vario, denso di un quartiere popolare. Con le sue passioni, le sue solitudini, i suoi legami. La solitudine e l'amore vanno poi sempre insieme. La ricerca dell'altro, il proprio vuoto, il desiderio: impossibile non "mescolare" ingredienti simili. Almeno per me.



Un uomo si toglie la vita, gettandosi da un balcone: si può dire che anche i corpi delle persone, in questo racconto, siano centrali? E perché?



Il corpo delle persone è centrale, per me. Forse lo è anche perchè sono una persona timida, riservata, "pudica". Che tende a mantenere nella vita le distanze. E quindi se scrivo, se mi butto nel vortice delle vite altrui, lo faccio andando a caccia anche di ciò rispetto a cui sono più distante o sento maggiore curiosità e inquietudine. Quindi, nell'importanza dei corpi, assolutamente da voi "colta", vi è la mia curiosità che un po' libero, attraverso la scrittura.




C'è un muro che separa le generazioni: i figli non comunicano con i genitori. Quali sono le aspettative dei giovani e quali le disillusioni degli adulti?




Sul tema generazione giovani-adulti: non siamo di fronte ad un saggio, è bene ricordarlo. Mi interessa sempre, e lo dico pure da figlio di genitori separati e padre, ahimè poi separato, di un bimbo a cui è attaccatissimo, raccontare delle distanze e delle ricerche degli altri, anche dentro le famiglie e tra le generazioni e sulle famiglie mi interessa la pluralità, cioè il fatto che le famiglie oggi siano veramente tante e diverse e che la "famiglia" una, univoca, non esista più. Poi venendo alla domanda, beh, vi rispondo se faccio una saggio...



Si intrecciano storie di persone eterogenee, che si muovono all'interno di una comunità composta da italiani e stranieri, donne e uomini, giovani e vecchi: come trovare un'armonia quando tutto sembra andare alla deriva?



Ancora: l'equilibrio nella diversità... Beh, diciamo che non lo so, non voglio dare risposte. Credo solo che la società debba guardare con fiducia alla propria ricchezza. Questa idea positiva della società plurale mi accompagna, sono gli occhi con cui guardo quel che vedo facendo il politico, l'assessore, lo scrittore e probabilmente tutto ciò si vede. Questo non è buonismo: anzi, in politica, la capacità di guardare alla pluralità della società domanda scelte molto più radicali di quelle fatte sin qui, ad es. sulle azioni contro le povertà, perchè i poveri non devono essere invisibili, o sul piano dei diritti civili e del loro riconoscimento. Potrei cavarmela in questo modo. Il romanzo parla di vita vera e quindi non può scappare, non può far finta che oggi il mondo sia disordinato, problematico, vario e difficile.



Lo stile narrativo mescola durezza e poesia, malinconia e speranza: forse la speranza consiste anche nel "fare famiglia"?



No, la speranza consiste nel vivere: come si vuole e come si è, nel rispetto degli altri e della propria dignità.