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sabato 27 giugno 2015

Bambini soldato in Sud Sudan



di Veronica Tedeschi





Bambini drogati e imbottiti di stupefacenti per non farli arrendere durante lo scontro.

I più sfortunati nascono già in una delle fazioni ribelli, come se il loro destino fosse segnato, in altri casi, da giovanissimi vengono sottratti alle loro famiglie per essere cresciuti in contesti di guerra e sofferenza.

Questa è la situazione di molti dei bambini che vengono ingaggiati come soldati senza averne la consapevolezza; in alcune rare situazioni, si pensa che alcuni di questi aderiscano come volontari per motivi legati alla sopravvivenza, alla fame o al bisogno di protezione.

I bambini diventano i soldati migliori per diversi motivi: non concepiscono il livello di gravità della situazione, hanno dimensioni piccole e sono veloci, sono in grado di infilarsi in tombini, fori e quant’altro. Infine, non si schiereranno mai per la fazione concorrente, se gli prometti, o minacci, qualcosa faranno quello che gli dici a prescindere. Le bambine, sebbene impiegate in misura minore, spesso sono usate per scopi sessuali, ma anche per cucinare o piazzare esplosivi, non devono essere pagate e non si ribellano.



Lo scorso 22 febbraio è stata la Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato, una piaga che sta minando psicologicamente intere future generazioni. Il problema non riguarda solo l’Africa, sono 22 i Paesi in tutto il mondo che utilizzano bambini soldato durante le loro guerre, tra questi troviamo il Sud Sudan (Stato indipendente dal 2011) ripiombato nella guerra civile da più di un anno.

Il 21 febbraio, un giorno prima della Giornata internazionale, uomini armati sono entrati nel paese e hanno rapito 89 ragazzini dal campo profughi di Malaki, nella regione settentrionale dell’Alto Nilo.

Secondo la Bbc, i soldati hanno circondato i campi profughi, cercando tenda per tenda, e prelevando con la forza i ragazzi di età superiore ai 12 anni.

Il 10 febbraio, pochi giorni prima, l’Unicef aveva organizzato a Pibor, nel Sud Sudan orientale, la cerimonia di disarmo nella quale furono liberati circa 300 bambini tra gli 11 e i 17 anni. Questo fu il terzo rilascio di bambini a seguito di un accordo di pace tra la fazione e il governo. L’Unicef, il Government's National Disarmament e il Demobilization and Reintegration Commission (NDDRC), ancora oggi, stanno lavorando insieme per prendersi cura dei bambini e reintegrarli di nuovo nelle loro comunità.
Cobra Faction, la fazione di ribelli che rilasciò questi bambini, nel suo gruppo armato detiene ancora fino a 3.000 bambini soldato.


Il rapimento e lo sfruttamento di bambini nell’atto di conflitti è considerato una violazione del diritto umanitario internazionale, che è quella parte di diritto che definisce le norme da rispettare in tempo di conflitto armato e le regole che proteggono le persone che non prendono, o non prendono più, parte alle ostilità e pongono limiti all'impiego di armamenti, mezzi e metodi di guerra.

Non solo, anche lo Statuto della Corte Penale internazionale (il tribunale per i crimini internazionali), include, fra i crimini di guerra nei conflitti armati, l’arruolamento di ragazzi minori di 18 anni o il fatto di farli partecipare attivamente alle ostilità.

Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. Chi combatte non si cura delle Convenzioni di Ginevra e spesso considera anche i bambini come nemici. Secondo uno studio dell’Unicef, all’inizio del secolo le vittime civili rappresentavano il 5% delle vittime di guerra, oggi quasi il 90%.



Le regole di diritto internazionale, sia umanitario che penale, come si è visto, puniscono duramente questi comportamenti ma, nonostante questo, tali pratiche continueranno fino a quando non saranno duramente imposte sanzioni contro gli Stati sostenitori di queste pratiche, come, per esempio, il Sud Sudan.




martedì 9 dicembre 2014

Il commento del Naga all'inchiesta Mafia Capitale





Si fanno più soldi con gli immigrati che con il traffico di droga”


Nell’inchiesta di Roma sono coinvolte anche realtà legate al mondo dell’assistenza sociale, cooperative, associazioni, terzo settore che si occupano di cittadini stranieri. Non è un caso, ma una conseguenza inevitabile della gestione emergenziale dell’immigrazione in Italia, che crea occasioni di profitto e sfruttamento economico preziose per mafie e faccendieri.

Sono anni che il Naga, insieme a tante altre realtà, denuncia che in Italia non c’è un’emergenza in corso, ma una gestione emergenziale di fenomeni previsti, prevedibili e di lunga data. Spesso questa gestione ha accreditato strutture e cooperative assolutamente non idonee a gestire le persone che necessitano di reale assistenza e adesso emerge che su questa gestione emergenziale lucrava un grumo denso e vischioso fatto di politica, cooperative, clientele e mafie varie.” afferma Luca Cusani, presidente del Naga.


“Non c’è da stupirsi, il giro di soldi è immenso, un sistema che non funziona, che non è efficace rispetto all'obiettivo di soddisfare i bisogni dei suoi beneficiari, ma molto efficace nel creare grandi margini di guadagno per i suoi gestori”, prosegue il presidente del Naga. "Ci sembra che le parole di Salvatore Buzzi, presidente del consorzio di cooperative Eriches, intercettato nell'inchiesta Mafia Capitale e gestore di molti luoghi di accoglienza a Roma, sintetizzino perfettamente lo stato delle cose '
si fanno più soldi con gli immigrati che con il traffico di droga'. Alimentare l’emergenza è quindi utile e non è un caso che strutture di accoglienza non adeguate come i Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo (CARA) e i Centri di accoglienza straordinaria (CAS), centri di grande capienza e sottoposti a scarsi controlli e generatori di alti profitti, continuino ad essere utilizzati. Sarebbero invece da privilegiare sistemi molto più piccoli, dislocati e che prevedono precorsi di inserimento come il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), ma che evidentemente non danno gli stessi frutti economici. Gli immigrati sono merce preziosa dal punto di vista economico oltre che politico, e mantenerli il più possibile in condizioni di scacco e ricattabilità fa comodo a molti.”Conclude il presidente del Naga.



lunedì 1 luglio 2013

Video della serata in occasione della campagna sulle tre leggi popolari: tortura, droga e carceri

Pubblichiamo il video della serata che l'Associazione per i Diritti Umani, in collaborazione con Spazio Tadini, ha organizzato in occasione della campagna per la raccolta firme sulle tre leggi popolari riguardanti l'inserimento del reato di tortura nel nostro sistema legislativo, l'uso di droghe e sostanze stupefacenti e le condizioni dei detenuti nelle carceri; una campagna nata dopo la sanzione che il nostro Paese ha ricevuto, a gennaio, dalla Corte europea per i diritti umani a causa del sovraffollamento degli istituti di pena. Una serata molto importante che si è potuta realizzare, nonostante il nubifragio a Milano, grazie alla presenza dei relatori, all'interesse del pubblico e all'impegno di tutti. Ringraziamo anche Mattia e Alessandro Levratti che, non potendo partecipare di persona, hanno realizzato una presentazione video del loro documentario intitolato “La prigione degli altri” che è stato molto apprezzato.





 

giovedì 27 giugno 2013

Le vittime sono ancora i bambini



Mercoledì 26 giugno: ieri è stata la giornata internazionale contro la droga e le tossicodipendenze di cui, spesso, anche i bambini ne sono le vittime incosapevoli. E noi vogliamo raccontarvi una storia.
E' quella dei tarahumara, una popolazione indigena che risiede in Messico, chiamati così dagli Spagnoli: loro si definiscono “raràmuri” che significa “pianta adatta per la corsa”, perchè la corsa è da loro molto seguita. Si contano tra i 50.000 e i 70.000 tarahumara, alcuni di loro sono transumanti, altri stanziali: vivono nelle grotte tra le montagne o in piccole capanne di legno o pietra, coltivano mais e fagioli e si dedicano all'allevamento.
Dal punto di vista religioso, i “dottori” o le “guide spirituali” praticano la magia bianca e la magia nera e lo sciamano è il guardiano che deve sovraintendere alla comunità, facendo da tramite tra gli uomini e gli astri. Il “Male” è spesso identificato con l'uomo bianco che approfitta della persone, che non rispetta la Natura, che vuole impossessarsi delle ricchezze senza condividerle. Tutto questo è frutto della colonizzazione, irrispettosa e violenta.
Secondo la tradizione tarahumara, Dio creò i raràmuri, mentre il diavolo gli chacabochi e la leggenda vuole che i raràmuri furono sconfitti, in una sfida, dai chacabochi per cui Dio si arrabbiò e condannò i raràmuri alla povertà. I raràmuri, ancora oggi, vivono nelle foreste, tra i monti, nella miseria e, spesso, i bambini fanno uso di sostanze stupefacenti ma, cosa ancor più grave, vengono sfruttati dai narcotrafficanti.
La droga arricchisce le grandi organizzazioni criminali e alimenta un commercio illegale basato sul sangue, sulla violenza e sugli abusi proprio dei più deboli. In Messico (come in molti altri Paesi del centro e sud America) il problema del narcotraffico è aumentato in maniera esponenziale: dopo l'egemonia della Colombia negli anni '90, i “cartelli” messicani hanno preso il sopravvento, favoriti dalla coltivazione in loco e dal traffico della droga sintetizzata e destinata agli Stati Uniti e all' Europa.
Tra le numerose zone impervie, all'interno del Messico, vi è la Sierra Tarahumara, una catena montuosa situata nel nord-ovest del Paese, un'area molto isolata e difficile da raggiungere e, proprio qui, vivono i raràmuri. A peggiorare la situazione, nell'ultimo anno, una terribile siccità ha colpito la sierra, esponendo gli indigeni al rischio di malnutrizione se non addirittura, alla fame: problema ulteriore che si è andato ad aggiungere, come dicevamo, all'indigenza e all'analfebetismo. Proprio a causa di questa debolezza economica e sociale, i raràmuri (e, in particolare, i bambini e gli adolescenti) sono preda dei narcotrafficanti che - con le minacce o con la promessa di denaro - li arruolano negli eserciti del crimine.
La Fondazione Fratelli dimenticati ha, quindi, deciso di aprire, nei villaggi, numerosi centri in cui i bambini e i ragazzi possano frequentare la scuola e, quindi, essere inseriti in percorsi di prevenzione e di reinserimento, attraverso l'educazione all'amore, al rispetto dell'Altro e della vita, alla cooperazione: ai valori positivi. Per offrire questa opportunità ai giovani, la Fondazione ristruttura vecchi edifici, acquista lavabi, materassi e anche librerie; ha dovuto, nel corso del tempo, sistemare anche le cisterne per la raccolta dell'acqua, costruire le tettoie per i sebatoi del gas e garantire assistenza sanitaria: i progetti, infatti, si articolano in attività che si pongono l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione da tutti i punti di vista: quello pratico e quello cuturale. Perchè si deve partire proprio dalla cultura, per cambiare mentalità e stile di vita. E ricominciare a credere, onestamente, nel futuro.

La Fondazione Fratelli Dimenticati Onlus, per poter continuare a realizzare tutto questo, vi chiede un contributo per il sostegno a distanza; un sostegno che serve ad abbattere i costi di gestione dei vari progetti: http://www.fratellidimenticati.it/sostegno-a-distanza/

Per effettuare le offerte:

Paypal, con versamento in conto corrente postale n. 11482353, con bonifico bancario (fiscalmente deducibili), oppure direttamente presso le filiali de “I fratelli dimenticati”


lunedì 17 giugno 2013

GIUSTIZIA E DIRITTI: TRE LEGGI POPOLARI SU TORTURA, CARCERI E DROGHE Iniziativa con raccolta firme su tre proposte di legge

L'associazione per i Diritti Umani e Spazio Tadini organizzano l'incontro dal titolo:
 
GIUSTIZIA E DIRITTI: TRE LEGGI POPOLARI SU TORTURA, CARCERI E DROGHE
Iniziativa con raccolta firme su tre proposte di legge

GIOVEDI’ 27 GIUGNO 2013
ore 18
presso

SPAZIO TADINI
Via Jommelli, 24 (MM Loreto/Piola)
Milano

- Ingresso gratuito a tutti gli associati Per i Diritti Umani e Spazio Tadini –
E’ possibile sottoscrivere le tessere delle associazioni in loco al costo agevolato a partire da € 3,00

Milano, 7 giugno 2013, L’Associazione per i Diritti Umani e Spazio Tadini presentano in collaborazione con l’Associazione Antigone e l’Associazione Naga: Giustizia e Diritti: tre leggi popolari su tortura, carceri e uso di droghe Presso Spazio Tadini, Via Jommelli, 24 (MM Loreto/Piola) a Milano alle ore 18.30.

La serata si propone di presentare una discussione ragionata sul sistema carcerario italiano: dopo la condanna del nostro Paese, da parte dell’ Unione europea, per il sovraffollamento dei nostri istituti detentivi, è nata la campagna di raccolta firme a cui le associazioni per i Diritti Umani e Spazio Tadini intendono aderire.
La campagna è promossa e organizzata, infatti, da decine di associazioni e movimenti che tutelano i diritti di tutti e intende portare avanti la raccolta firme per introdurre, nel sistema legislativo italiano, tre norme sulla tortura, sulle carceri e sulla droga.
In particolare si vuole introdurre il REATO di tortura, pene ALTERNATIVE al carcere e DEPENALIZZAZIONE del consumo di droghe: oltre a questo, però, è importante cambiare la mentalità riguardo ai temi della giustizia e della punizione.
Durante la serata sarà possibile sottoscrivere la raccolta firme per le tre proposte di legge (chi fosse interessato deve portare un documento di identità).

Interverranno sul tema:

  • Valeria Verdolini, rappresentante dell’Associazione Antigone
  • Maria Vittoria Mora, referente del servizio carcere per l’Associazione Naga
  • Francesco Tadini, fondatore di Spazio Tadini che riporterà la sua testimonianza sulla vita carceraria.
  • Alessandro Giungi, Consigliere del Comune di Milano

Coordina: Alessandra Montesanto, Vicepresidente Associazione per i Diritti Umani
Introduce: Melina Scalise, Presidente Spazio Tadini e mediatore civile.


Al termine degli interventi:

  • alle ore 19 sarà proiettato il documentario LA PRIGIONE DEGLI ALTRI (50 minuti) con l’intervento in video dei registi, Alessandro e Mattia Levratti per il Naga.

Il film è realizzato per il Gruppo Carcere del NAGA e raccoglie interviste ad alcuni immigrati oggi liberi oppure agli arresti domiciliari che raccontano la loro esperienza carceraria e aiutano lo spettatore ad aprire una riflessione sulla funzione delle carceri italiani nei confronti dei detenuti immigrati, ma non solo. Il carcere riduce davvero la microcriminalità? o la riproduce? Il carcere ha una funzione riabilitativa?
Queste sono solo alcune domande su cui vertono il documentario e la serata che proponiamo. Ma è solo un primo incontro che apre una serie di iniziative sul tema della giustizia.

Il filosofo Norberto Bobbio ricorda che la giustizia è una virtù, una delle virtù etiche fondamentali. Oggi è considerata, troppo spesso, come una vendetta oppure una punizione disgiunta dal rispetto per la vita. Se c'è qualcuno che non ha rispetto per gli altri, va punito; ma chi punisce – lo Stato, la società – non deve perdere di vista il valore della dignità umana”, Alessandra Montesanto, Vicepresidente dell'Associazione per i Diritti Umani

  • alle ore 21 segue lo spettacolo di teatro danza della Compagnia OpificioTrame AB (Against Body)

Uno spettacolo che mette in primo piano il corpo, il suo significato sociale, il suo “esistere oggi” toccando vari aspetti come la guerra, l’uso commerciale,la percezione individuale del corpo alterata da canoni estetici e da una cultura che penalizza o altera il corretto equilibrio tra mente e corpo.
AB [Against Bodies] è una produzione del 2010. Lo spettacolo prosegue la ricerca sul corpo, tra bellezza, crudeltà e inappagato, iniziata da Federicapaola Capecchi e Lutz Gregor con con “Raft of Medusa“, all’interno di Choreographic Collision Part 2, parte del 6° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia.

Normalmente il video ci trasmette meat market quotidiani, violenza, e non solo quella reale in sé ma, peggio, quella della ripetizione dell’inutile, del mediocre, della stupidità. Against Bodies, tutto sembra contro il corpo ed il suo valore. Ma dov'è il corpo? Cos'è, oggi? Oppure sono i corpi…contro. Un muro, una gabbia di corpi in movimento, forse al rallentatore, o forse solo come tale lo percepiamo. Un basso rilievo di corpi vivi da cui prende forma e vita il rincorrersi di incontri, avvicinamenti, crudeltà? E ripetizioni. Attraverso 4 prove rituali – lavoro, silenzio, fame, preghiera - una continua incorporazione dell’inappagato. Tentando di generare un ritmo di logorio che raccolga, però, ciò che è stato perso.Federicapaola Capecchi

Coreografia e regia: Federicapaola Capecchi
Con: Federicapaola Capecchi, Marco De Meo, Francesco Napoli, Elena Rossetti, Stefano Roveda
Produzione: OpificioTrame e Spazio Tadini

martedì 11 giugno 2013

Il caso di Stefano Cucchi

La morte di mio fratello non è un caso di malasanità: Stefano non sarebbe mai arrivato in ospedale se non fosse stato massacrato”. E i medici, “indegni di indossare il camice”, “hanno le loro responsabilità, loro lo hanno lasciato morire”. Queste sono state le prime parole pronunciate da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, che si è sempre battuta per far emergere la verità sulla morte del fratello e che continuerà a farlo, anche dopo la sentenza di primo grado.
Ma ripercorriamo, brevemente, la vicenda, premettendo che, nella maggior parte dei casi, i poliziotti e i medici, in Italia, lavorano bene, proteggono, salvano, tutelano e curano i cittadini ma, qualche volta, si verificano delle eccezioni. Che fanno paura, che fanno rabbia.
Stefano aveva 31 anni, era un geometra, appassionato di boxe. Ma soffriva anche di epilessia ed era tossicodipendente e, per questo, era stato in cura presso alcune comunità terapeutiche.
Il 15 ottobre 2009 viene trovato in possesso di 21 grammi di hashish e il giudice decide per la custodia cautelare. Una settimana dopo, Stefano Cucchi muore.
Al momento dell'arresto pesava 43 kg (per 176 cm di altezza) magro sì, ma in buone condizioni fisiche. Il giorno successivo, durante il processo - avvenuto per direttissima - il ragazzo presenta difficoltà a camminare e a parlare e ha evidenti ematomi agli occhi; ancora una volta, il giudice stabilisce, per lui, la custodia cautelare. Le condizioni di Stefano continuano a peggiorare: la visita presso l'ospedale Fatebenefratelli accerta lesioni ed ecchimosi alle gambe, la frattura di una mascella e alla colonna vertebrale e un'emorragia alla vescica: il 22 ottobre, Stefano muore all'ospedale Sandro Pertini.
Cosa è successo dopo il decesso?
Il personale carcerario nega di aver picchiato Stefano e sostiene che il ragazzo sia morto a causa della tossicodipendenza oppure per condizioni fisiche già precarie oppure ancora per aver rifiutato il ricovero al Fatebenefratelli; il sottosegretario di Stato, Carlo Giovanardi, insiste col dire che sia morto sempre per abuso di sostanze stupefacenti o per anoressia, aggiungendo anche che fosse sieropositivo (in seguito si è dovuto scusare con i familiari di Cucchi per queste sue dichiarazioni); i medici sostengono che il giovane rifiutava il cibo e le cure. Con le indagini preliminari si riesce a dimostrare che, a causare la morte, sarebbero stati i traumi causati dalla violenza subita in carcere e dall'ipoglicemia causata dal digiuno per la mancata assistenza sia da parte degli operatori sanitari sia da parte degli agenti penitenziari.
Le indagini procedono, dal 2009 al 2013, e il 13 dicembre 2012 i periti incaricati anche dalla Corte stabiliscono che le lesioni riscontrate sul corpo del ragazzo potrebbero essere state causate da un pestaggio o da una caduta accidentale e che “non vi sono elementi che facciano propendere per l'una piuttosto che per l'altra dinamica lesiva”, nonostante le testimonianze di alcuni detenuti che fanno chiari riferimenti all'uso della violenza da parte dei secondini.
Il 5 giugno scorso, la III Corte d'Assise condanna in primo grado sei medici dell'ospedale Sandro Pertini a due anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa) e assolve sei persone, tra infermieri e guardie penitenziarie, per non aver commesso alcuna azione che abbia contribuito al decesso di Stefano Cucchi o, per dirla con precisione, per “mancanza di prove”.
La lettura della sentenza ha suscitato lo sdegno da parte del pubblico in aula e le lacrime di Ilaria, la sorella di Stefano che continuerà a combattere per affermare la verità e la giustizia.
Molti gli omaggi, le dediche e anche gli approfondimenti culturali su questa vicenda: ricordiamo, ad esempio, il documentario 148 Stefano, mostri dell'inerzia, realizzato da Maurizio Cartolano e sponsorizzato da Amnesty e Articolo 21 e anche la canzone Fermi con le mani di Fabrizio Moro, un modo diretto per veicolare un messaggio sul diritto alla vita e per avvicinare anche i più giovani a questa storia e alle necessarie riflessioni che essa fa scaturire.