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venerdì 31 luglio 2015

Family reunification not deportation!

di Mayra Landaverde  (Mayralandaverde.it)



Ogni volta che lui era in ritardo anche di soli cinque minuti io pensavo subito che l’avessero fermato. Pensavo gli avessero chiesto i documenti e sapevo bene che andava in giro senza nemmeno una fotocopia del passaporto, perché fra gli stranieri senza permesso di soggiorno si dice così, non portare il passaporto se no ti mandano indietro al tuo paese, invece senza documenti loro non possono sapere da dove vieni.

Io sono stata fermata solo una volta quando non avevo ancora il mio permesso ma non mi hanno fatto niente, mi hanno lasciata andare subito. I poliziotti erano impegnati con due ragazzi che non parlavano l’italiano.

Così quando lui era in ritardo cominciavo ad agitarmi tanto, tantissimo. Perché avevamo già un bambino...Se l’avessero fermato, io cosa avrei fatto? Nel migliore dei casi l’avrebbero espulso, nel peggiore dei casi l’avrebbero rinchiuso in un CIE, e lì sì che sarei andata fuori di testa. Decisi, nel caso l’avessero espulso, di andare subito a vivere nel suo Paese perché volevo vivere con lui e il nostro bimbo, non importa dove.

Non è mai successo, siamo ancora qui a Milano insieme e tutti quanti ora abbiamo il permesso di soggiorno. Anche se ogni due anni ci viene l’ansia del rinnovo, che comunque è legato al lavoro, e si sa, noi siamo solo mano d’opera, mica abbiamo una vita vera.

Il 20 luglio 2015 Emma Sanchez (messicana) e Michael Paulsen (statunitense) si sono sposati con rito cattolico davanti al muro che separa Tijuana in Messico da San Diego negli Stati Uniti.

Non hanno scelto loro il posto. Emma è stata espulsa dagli USA 10 anni fa. Ha vissuto negli Stati Uniti per 5 anni senza permesso di soggiorno, ha conosciuto suo marito, si sono sposati in Comune e hanno avuto dei figli. Così Emma ha deciso di tornare a Ciudad Juarez in Messico per rientrare negli Stati Uniti in modo legale. L’hanno fermata e le hanno dato il divieto di ingresso negli USA per 10 anni, anche se lei era già sposata con un cittadino americano e aveva tre figli.

I suoi figli la vanno a trovare a Tijuana una volta a settimana. Questo è l’ultimo anno dal mandato. L’anno prossimo proverà ancora ad entrare legalmente negli Stati Uniti.

Il governo statunitense deporta in media ogni anno 400.000 migranti, il 75% dei quali sono messicani. Di questi, 152.000 sono genitori di bambini nati su suolo americano, quindi con la cittadinanza americana. I bambini rimangono negli USA con i parenti più vicini oppure nelle strutture fatte apposta per accogliere i figli di migranti deportati.

Nel 2011 erano 5.100 minori. Non ci sono dati attuali precisi, visto che l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) non li considera nemmeno.

Nel 2013 un gruppo di parlamentari repubblicani e democratici ha proposto una riforma alla legge per l’immigrazione con dei punti specifici sulla “Reunification family”. Queste riforme permetterebbero ad esempio di richiedere un visto temporaneo ai genitori deportati affinché regolarizzino la propria situazione rimanendo nel Paese, cioè senza essere obbligati a lasciare i propri figli.

Mentre il parlamento discute questa legge le persone si sposano davanti ai muri di confine, i bambini crescono senza madri o padri e le mogli piangono per i loro mariti. Chi può rispondere ad Alexis Molina, figlio di Sandra Payes deportata da anni in Guatemala, che si chiede come mai sua madre non c’è più?


domenica 31 maggio 2015

#MAIPIUCIE: chiudere definitivamente i CIE


Si è da poco concluso con successo il Festival del Cinema africano, d'Asia e America latina di Milano, giunto alla sua 25ma edizione e l'Associazione per i Diritti Umani è stata invitata a presentare la campagna #MAIPIUCIE. E' stata l'occasione per parlare del documentario Limbo, di e con il regista Matteo Calore che, partendo proprio dalle storie raccontate nel film, ha illustrato quali sono le condizioni all'interno dei CIE e dei CARA, quali le conseguenze di queste vere e proprie detenzioni illegittime, quale la situazione dei familiari dei detenuti migranti anche fuori dalle strutture e, inoltre, quali siano le falle di un sistema politico in tema di migrazioni, sistema – leggi – decisioni improntati alla sicurezza e non alla tutela di chi chiede aiuto.



Per voi, l'Associazione per i Diritti Umani propone il video dell'incontro, ringraziando Matteo Calore, Zalab e il festival.





Vi ricordiamo che potete acquistare la vostra copia del libro “MOSAIKON – Voci e immagini per i Diritti Umani” tramite Pyapall, direttamente dal sito www.peridirittiumani.com. Scriveteci una mail con i dati e indirizzo a : peridirittiumani@gmail.com e vi sarà recapitata per posta nel giro di pochi giorni. Grazie !

venerdì 15 maggio 2015

Appello per un permesso di soggiorno europeo


L'Associazione per i Diritti Umani di Milano si associa al seguente appello di Milanosenzafrontiere e chiede di farlo girare. Grazie.

Per un permesso di soggiorno europeo minimo di due anni e incondizionato! Appello per una giornata di mobilitazione dei migranti, lavoratori e precari sul tema della mobilità e della libertà di muoversi e di restare.

La crisi ha mutato profondamente il quadro politico e sociale. Mentre l’immigrazione entra nel dibattito pubblico come continua ‘emergenza’, solo a ridosso delle
stragi che continuano a ripetersi nel Mediterraneo, una vera e propria guerra contro i migranti viene combattuta sui confini interni ed esterni dell’Europa e dell’Italia.

Il regime di Dublino impedisce a migliaia di uomini e donne di muoversi liberamente una volta arrivati in Europa e il razzismo istituzionale pesa su ormai quasi cinque milioni di uomini e donne che in Italia vivono, lavorano o transitano dipendendo da un permesso di soggiorno. A causa del legame tra permesso di soggiorno, lavoro e reddito sono migliaia i mancati rinnovi dei permessi, i ricongiungimenti familiari negati, i rigetti per le regolarizzazioni tramite sanatoria. A tutto questo si deve aggiungere un aumento silenziosamente pianificato del potere discrezionale di questure e prefetture e un’intensificazione dello sfruttamento nei posti di lavoro. La gestione delle cosiddette migrazioni umanitarie – che vede insieme logica dell’emergenza, business dell’accoglienza e ingresso nel mercato del lavoro in condizioni di ricattabilità – si colloca all’interno di questo contesto, come i tempi infiniti di convalida delle richieste di asilo e le vicende legate a Mafia Capitale confermano ogni giorno.

I partiti e i sindacati, il governo e il suo primo ministro, abituati a cinguettare su tutto, sembrano uniti nello sforzo di alzare un muro di silenzio sulla condizione dei migranti in un paese che è terra di arrivo e di transito dei percorsi migratori globali. Pensano che i migranti possano dimenticare la Bossi/Fini. Tuttavia, di fronte alle sfide poste dal governo della mobilità oggi pienamente dispiegato dentro e attraverso i confini dell’Europa, le lotte dei migranti di questi ultimi anni indicano a tutti la possibilità e la necessità di pensare nuovi processi di organizzazione che sappiano tenere insieme i temi della precarietà, dello sfruttamento, del razzismo e della libertà di movimento. Si tratta di fare un salto in avanti per connettere le tante esperienze e vertenze esistenti e allargarle all’insieme di figure che lottano dentro e contro la precarietà, traducendo il rifiuto del razzismo in una forza politica di connessione tra le diverse figure del lavoro. Si tratta di costruire le condizioni per una presa di parola comune di migranti e precari, donne e uomini, contro un regime di sfruttamento che si fonda su gerarchie definite da confini giuridici e salariali. Si tratta di superare la divisione tra migranti e rifugiati, una divisione funzionale per l’intero assetto del razzismo istituzionale, per affermare il diritto di attraversare un confine senza morire, di muoversi liberamente e di restare all’interno dello spazio europeo per chi arriva e per chi è già arrivato, a prescindere dal suo status.

La rivendicazione di un permesso di soggiorno minimo di due anni, valido a livello europeo e incondizionato rispetto al lavoro e al reddito, rappresenta una
cornice comune per attaccare il principio costitutivo delle politiche migratorie italiane ed europee – il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro – la discrezionalità di prefetture, questure e commissioni territoriali e la distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo.

Per queste ragioni chiamiamo una settimana di lotta e mobilitazione in più città che culmini nella giornata di sabato 13 giugno, in cui la rivendicazione di un permesso di soggiorno minimo di due anni, europeo e incondizionato, sarà avanzata a partire dalle seguenti richieste:

L’introduzione del principio silenzio/assenso per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno dopo i tempi stabiliti per legge;

La rottura del legame tra soggiorno, lavoro e reddito nei processi di rinnovo e rilascio dei permessi di soggiorno;

L’annullamento dei regolamenti di Dublino che impongono di chiedere asilo nel primo paese di arrivo;

Una gestione partecipata da parte dei migranti dei fondi destinati all’accoglienza;

La chiusura di tutti i Centri di Identificazione ed Espulsione.





giovedì 2 aprile 2015

Brescia: il caso dei permessi di soggiorno (e una sentenza positiva)





E' diventato un vero e proprio caso quello che è accaduto a Brescia nei giorni scorsi e si tratta di una situazione ancora irrisolta: Mario Morcone - capo dipartimento Immigrazione del Ministero degli Interni -ha confermato che, per gli immigrati della provincia di Brescia, ci sono solo due possibilità su dieci di ottenere il permesso di soggiorno.

Si parla, in particolare, del permesso di un anno per attesa occupazione. Questo permesso non viene quasi mai rilasciato e il motivo è preciso e riguarda le tempistiche: la questura impiega mediamente più di dodici mesi per rinnovare il documento, quando la stessa legge Bossi-Fini stabilisce, invece, che il termine debba essere al massimo di 60 giorni. Il risultato è che l'80% delle domande da parte dei migranti viene respinto, quando la media italiana è del 20%.

Lo scorso 24 marzo è stato organizzato un presidio di protesta organizzato dalla CGIL, caricato dalla polizia e nella dichiarazione inviata al Ministero dell'Interno si legge: “ l'intervento violento della forza pubblica è stato ingiustificato e controproducente al fine del mantenimento dell'ordine pubblico, così come non è comprensibile la gestione complessiva dell'ordine pubblico che, anziché tendere a contenere e limitare situazioni di tensione, sta contribuendo in questo modo ad esarcebare un clima di tensione”.

La tensione continua perchè sono continuate le proteste dei migrati anche se le manifestazioni sono state vietate dal questore. Il prefetto, Narcisa Brassesco Pace, è indagato per aver chiesto ad un amico di far restituire al figlio la patente ritirata. E in tutto questo risuonano le parole di Salvini e Calderoli. “Noi lottiamo per un Paese normale secondo molti aspetti. Per esempio un Paese in cui non si tengano manifestazioni come quella di oggi a Brescia, dove 2000 immigrati hanno sfilato pretendendo il permesso di soggiorno” questo è Salvini. E ancora: “Viviamo in un Paese al contrario, mentre a Brescia gli immigrati e i centri sociali manifestavano per chiedere ancora più diritti per i clandestini, a Torino qualche centinaio dei soliti violenti si scontrava con le Forze dell'ordine”: slogan, confusione, allarmismi. E in questo Paese i diritti si “pretendono”...



Però vogliamo dare una buona notizia: si tratta della sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 5926 del 25 Marzo 2015.



Nel caso di specie l'interessato, immigrato privo di documenti di riconoscimento, recuperato in mare da un mezzo della Marina militare, impugna il decreto di trattenimento in centro di identificazione ed espulsione lamentando di essere stato immediatamente respinto senza che gli fossero fornite informazioni relative alla procedura di riconoscimento di protezione internazionale.

La Suprema corte accoglie il ricorso confermando che, sebbene nel nostro ordinamento non esista un obbligo formale a provvedere, tale necessità è ricavabile in via interpretativa dal combinato disposto di normativa nazionale ed europea in materia migratoria (nella specie, direttiva 2013/32/UE del 26 Giugno 2013).

Tale obbligo è sancito altresì dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. In definitiva “non può tuttavia continuare ad escludersi che il medesimo dovere sia necessariamente enucleabile in via interpretativa facendo applicazione di regole ermeneutiche pacificamente riconosciute, quali quelle dell'interpretazione conforme alle direttive europee in corso di recepimento e dell'interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto delle norme interposte della CEDU, come a loro volta interpretate dalla giurisprudenza dell'apposita corte sovranazionale”. La presentazione di eventuale domanda di protezione internazionale impedirebbe di fatto al respingimento di operare. (www.StudioCataldi.it)

giovedì 19 febbraio 2015

Giovani profughi si raccontano con la fotografia: “Between – In sospeso”



Parla di giovani profughi in cerca di un futuro, la mostra dal titolo Between – In sospeso della fotografa Nanni Schiffl-Deiler, allestita nel foyer del Goethe Institut Rom, a Roma dal 9 febbario al 9 aprile 2015.                          


Questa mostra evidenzia lo stato dei profughi come esseri umani che si sforzano di esprimere, malgrado tutta la delusione e la disperazione, il loro destino difficilmente sopportabile. Le fotografie di questi giovani rifugiati comunicano come si svolge la loro vita quotidiana: molto vuoto, molto disordine, pochi esseri umani, talvolta solo ombre, sempre nuove strade...”: queste alcune parole con cui Lothar Krappmann – membro del Comitato ONU sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza 2003/2011 – commenta il lavoro della fotografa tedesca.

I ragazzi e le ragazze non sono solo i soggetti delle immagini, illuminati da una luce caravaggesca e spirituale su fondo buio, ma sono anche coloro che hanno usato il mezzo fotografico per esprimere raccontarsi. Un racconto che unisce foto e parole: “ A tutt'oggi non mi è dato sapere se posso rimanere qui in Germania o meno. Così, ogni mia giornata è priva di un futuro perchè non mi è concesso concepirlo” dice Hossein dall'Afghanistan; “ ...Al momento non sto per niente bene perchè non sono soddisfatto del modo in cui sono costretto a vivere. Mi auguro che rpesto cambi qualcosa”, afferma Michel dalla Nigeria; “ Felicità significa per me essere spiritualmente liberi. Se sono libera, anche il mio cuore si affranca”, questa è l'opinione di Eva dall'Uganda.

Nanni Schiffl-Dieler, per questo progetto, è partita dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo e ha voluto lavorare per e con i giovani profughi.



Eccovi la breve intervista che l'Associazione per i Diritti Umani ha fatto alla fotografa. (Ringraziamo anche la traduttrice Claudia Giusto)



Perchè la scelta di parlare dei profughi e dei rifugiati giovani?

Con questa mostra ho voluto richiamare l’attenzione sulla situazione dei profughi minorenni non accompagnati e adolescenti, perché sono proprio loro ad avere bisogno di maggiore protezione. Spesso purtroppo anche qui in Europa al loro arrivo non viene rispettata la convenzione ONU sui i diritti dell’infanzia, sottoscritta dagli stati membri dell’Unione Europea.

Come si è sviluppato il progetto fotografico?

Una fotocamera digitale compatta con il compito di fotografare semplicemente la loro quotidianità. In modo spontaneo, senza un vero tema. Abbiamo parlato dei muri, visibili e invisibili, di fronte ai quali costantemente si ritrovano. Per molto tempo durante i nostri incontri periodici abbiamo osservato le immagini e ne abbiamo discusso. Poi ho fatto loro delle domande e li ho ritratti.

Quali sono le aspettative e le difficoltà di queste persone (considerando anche le differenti aree di provenienza)?

Questi ragazzi desiderano una vita in libertà e sicurezza, un’istruzione, vogliono potersi costruire una famiglia. Tutte cose che fanno parte della dignità umana. Dopo una fuga spesso pericolosa e traumatica, le difficoltà hanno inizio con l’arrivo nella “Fortezza Europa”. Spesso questi ragazzi vengono sistemati in Centri di primo soccorso e accoglienza insieme agli adulti, devono studiare in condizioni molto difficili. L’obbligo di residenza non gli permette di muoversi liberamente. Solitamente devono vivere a lungo nella condizione di sospensione temporanea del provvedimento di espulsione (Duldung), il che comporta un grave peso psicologico. Particolarmente difficile è la situazione dei giovani africani, sempre più svantaggiati rispetto agli altri a causa del colore della loro pelle.

Qual è il loro rapporto con il Paese d'origine e i loro familiari?

La maggior parte di loro non ha più alcun contatto con famiglia, parenti e amici. È un argomento molto delicato, del quale per molto tempo non riescono neppure a parlare. Sentono la mancanza della loro terra di origine e delle persone che hanno lasciato. Alcuni di loro sono stati mandati via proprio dalla famiglia nella speranza di una vita migliore per loro.

Fotografie e parole: due modi diversi di esprimere emozioni...

È la mia prima mostra fotografica nella quale coniugo fotografia e testo. L’argomento è molto complesso e volevo esprimere insieme emozioni e fatti mettendoli sullo stesso piano. In particolare per me era importante far notare la discrepanza tra i Diritti dell’Uomo sanciti dall’ONU, che spettano ad ogni persona indifferentemente dalla razza, e le condizioni di vita nei paesi di origine. E volevo dare visibilità a questi ragazzi attraverso le loro immagini e le loro citazioni, mostrando come ogni profugo, anonimo nella massa, sia sempre una persona.




sabato 7 febbraio 2015

Permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo – La circolare (da stranieriinitalia.it)




Esonerato dal contributo per il "permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo" chi ha lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Rimborso a chi ha già pagato. La circolare



Arriva una buona notizia per i cittadini stranieri fuggiti dai loro Paesi ai quali è stato riconosciuto l'asilo politico o la protezione sussidiaria in Italia.

Quelli che dopo cinque anni di residenza regolare in Italia chiedono il
permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo (la cosiddetta carta di soggiorno) non sono infatti tenuti a effettuare un versamento di 200 euro. Lo ha chiarito il ministero dell'Economia, rispondendo a un quesito posto dalla direzione centrale dell'immigrazione del ministero dell'Interno.

“Nello specifico – spiega
una circolare diffusa il 27 gennaio dal Viminale – è stato chiarito che quel contributo non è dovuto nei casi di istanza di permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo richiesto dai titolari di protezione internazionale (asilo e protezione sussidiaria) atteso che gli stessi sono già in possesso di un permesso di soggiorno esente da tale obbligo”. Gli uffici immigrazione delle Questure che esaminano le domande non dovranno quindi più accertare il versamento.

L'esonero ha anche effetto retroattivo. “Gli stranieri titolari di protezione internazionale che hanno già provveduto al versamento del predetto contributo – si legge ancora nella circolare – hanno
diritto a chiedere il rimborso delle somme non dovute”. Il rimborso uò essere chiesto all'Ufficio stranieri della Questura, compilando un modulo e allegando un “nulla osta al rimborso” rilasciato dallo stesso ufficio oltre alla ricevuta del versamento.
Scarica la circolare del ministero dell'Interno


lunedì 14 aprile 2014

La clandestinità non è più reato



Clandestino”, un aggettivo usato spesso in modo improprio sugli organi di stampa: un aggettivo che ricorda una situazione losca e pericolosa. Affibbiato, poi, a una persona è ancora peggio. Meglio dire “irregolare” quando si parla di persone migranti o immigrate che non hanno ancora ottenuto il permesso di soggiorno, anche perchè la trafila burocratica per riuscire ad ottenerlo è contorta. 

All'inizio del mese di aprile, come già ricordato nei nostri articoli precedenti, la Camera dei Deputati ha dato il sì definitivo al ddl sulle pene alternative al carcere. Il decreto diventato legge prevede anche la depenalizzazione del reato di clandestinità.   


Durante la discussione in Aula non era presente il Ministro dell'Interno, Angelino Alfano, e questo ha scatenato la reazione di alcuni esponenti della Lega, tra cui Massimiliano Fedriga che si è diretto verso i banchi del governo, si è seduto al posto del Ministro, mostrando un cartello con la scritta: “ Ministro Alfano, clandestino è reato”.

Il reato è, invece, stato cancellato ma resta penalmente sanzionabile il reingresso in violazione di un provvedimento di espulsione.

L'Associazione per i Diritti Umani ha chiesto un commento alla notizia della cancellazione del reato di clandestinità all'On. Khalid Chaouki, deputato PD, coordinatore intergruppo immigrazione e cittadinanza, che così ci ha risposto: “Finalmente è stata eliminata una delle più odiose bandierine leghiste, il 2 aprile è stato abrogato il reato di immigrazione clandestina, un reato inutile e lesivo dei diritti che non puniva un’azione ma uno status.

Questa legislatura, con tutte le sue difficoltà si sta dimostrando, passo dopo passo, concreta nel chiudere un capitolo vergognoso della nostra storia in materia di immigrazione, recuperando così credibilità rispetto alle istituzioni europee che più di una volta hanno accusato l’Italia di non rispettare i diritti della persona. Ora dobbiamo con fermezza procedere ad una seria riforma della legge sulla cittadinanza per non tradire le aspettative dei ragazzi, nuovi italiani di fatto, ma ancora stranieri a causa di leggi miopi e discriminatorie”.



lunedì 9 dicembre 2013

Morire di lavoro




Prato, 2013: un capannone-dormitorio per un gruppo di persone di nazionalità cinese si è trasformato in un inferno.
Il capannone era adibito a fabbrica tessile, in cui non veniva osservata alcuna misura di sicurezza: “una tragedia annunciata”, come ha sostenuto il sindaco della città, Roberto Cenni.
Restano pezzi di macchine da cucire e tessuti bruciati, stendini e vetri rotti. Ma resta, soprattutto, la vergogna e l'indignazione per quei sette operai che hanno perso la vita nel rogo, sette persone, emblema degli schiavi contemporanei, vittime di un sistema economico e di un mercato sempre più aggressivi che pretendono produttività e non concedono tutele.
A distanza di pochi giorni dal dramma, l'unico corpo identificato è quello di un irregolare e anche questo mette in luce un problema irrisolto e complesso, la questione che riguarda il lagame tra la possibilità, per gli immigrati, di ottenere un permesso di soggiorno e un lavoro in regola.
Le parole del Procuratore che sta seguendo l'inchiesta, Piero Tony, sottolineano la gravità e le criticità che stanno alla base dell'accaduto: “ La maggior parte delle aziende sono organizzate così: è il far west. I controlli sulla sicurezza e su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l'impegno delle amministrazioni e delle forze dell'ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi come struttura burocatica siamo tarati su una città che non esiste più, una città di 30 anni fa”.
I reati contestati al proprietario italiano della fabbrica abusiva, ad oggi, sono: disastro colposo, omicidio colposo plurimo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di manodopera clandestina. Gli operai lavoravano, ovviamente sottopagati, nel capannone, ma ci vivevano anche: ammassati in un soppalco, suddiviso in piccole stanze con pareti in cartongesso. E qui c'era anche un bambino di quattro anni che è riuscito a fuggire insieme ai genitori. Se questo è il modo di tutelare la dignità della vita, se questo è il modo di accogliere i migranti, se questo vuol dire essere un Paese civile, come tante, troppe volte è stato scritto...

giovedì 31 ottobre 2013

Quella classe di stranieri così vera, così reale: il film di Daniele Gaglianone




A due anni da Ruggine, Daniele Gaglianone torna sui banchi di scuola, in selezione ufficiale alle decima edizione della sezione “Giornate degli Autori” alla Mostra del Cinema di Venezia con il film intitolato “La mia classe”.
Mamon, Bassirou, ShadiShujan, Mahobeboeh, Issa, Mussa e tutti gli altri sono i protagonisti, ciascuno con il proprio vissuto e con le proprie aspettative.
Valerio Mastandrea, unico attore professionista, impersona un insegnante che prepara una classe di 'veri' stranieri, che hanno bisogno di imparare l'italiano, per vivere da noi e per ottenere il permesso di soggiorno. Girato a Roma, il film è diventato un'altra cosa quando, a poche settimane dall'inizio delle riprese è accaduto ad uno dei ragazzi un fatto reale e grave, il mancato rinnovo del documento e il rischio di espulsione.

Abbiamo intervistato Daniele Gaglianone che ringraziamo tantissimo per la sua disponibilità

Come sono stati scelti i ragazzi che hanno preso parte al film?

Li abbiamo scelti in classi vere, siamo andati in giro ad assistere a lezioni vere, reali di insegnanti di italiano per stranieri sia per attrezzarci meglio al personaggio del professore sia per formare la classe. Abbiamo frequentato classi di scuole istituzionali e di associazioni culturali che, attraverso il volontariato, si rivolgono agli stranieri.
Abbiamo composto la classe secondo un criterio molto semplice: eravamo in cerca di persone e non di bandiere. La composizione della classe, infatti, è squilibrata perchè ci sono, ad esempio, tre curdi e tre bengalesi: cioè non ci siamo preoccupati di creare un'omogeneità o di considerare le persone come rappresentanti di etnie e questo perchè il nostro approccio al film voleva andare al di là degli stereotipi.

Avete avuto qualche difficoltà con i ragazzi oppure hanno raccontato con spontaneità il proprio vissuto?

Il rapporto tra noi è stato coltivato, siamo entrati in confidenza piano piano e le cose sono avvenute in maniera abbastanza naturale. Tra aprile e ottobre abbiamo contattato le persone, spiegato il progetto e ci siamo conosciuti in modo tale che, nel momento in cui si doveva lavorare insieme, ci fosse già la sintonia. Poi, come capita nella vita, ci sono persone con cui ti intendi di più e quelle con cui c'è bisogno di più tempo.

Quali sono le richieste o le aspettative espresse dai racconti dei ragazzi?

La cosa fondamentale che chiedono è molto semplice: quella di essere considerati degli individui.
Come il film cerca di dimostrare, la loro condizione li porta davanti a certe questioni in maniera problematica, come, per esempio, alla questione del lavoro: qualcuno è disposto a fare lo “schiavo”, altri no. In fondo, chiedono di poter vivere e non di sopravvivere.

Il personaggio di Valerio Mastrandrea, il professore, non è solo un personaggio  filmico...

Parlare del personaggio di Valerio vuol dire parlare anche della struttura del film. La struttura è, infatti, a più livelli che sono tre: un livello immanente, che comprende i primi due e che si può intuire solo alla fine; un primo livello in cui Valerio interpreta un profesore come attore, e poi c'è il secondo livello in cui Valerio è lui, una persona. Alla fine, il primo e il secondo si confondono, soprattutto quando Valerio recita il monologo.
Nel film ci sono un breve prologo e un breve epilogo, estranei al film che stiamo girando in classe, che hanno reso il progetto rischioso perchè si tratta di un film di finzione, ma girato in modo tale che l'impressione di realtà sia così forte da far dire allo spettatore: “ E' vero o non è vero?”.

Infatti, durante le riprese, è accaduto qualcosa che ha fatto cambiare la direzione...

In realtà è accaduta prima dell'inizio delle riprese.
Di fronte all'impossibilità, da parte di alcuni ragazzi, di lavorare al film ci siamo immaginati che il fatto stesse accadendo in quel momento.
Il film è stato pensato cercando di andare oltre quelle formule che rischiamo di essere ricattatorie per cui tu cogli le persone in difficoltà, all'inizio, e ti relazioni o con indifferenza oppure dando aiuto. Qui, invece, per metà film c'è una dimensione ludica della lezione che porta a far scattare l'empatia con i personaggi, che non è ricattatoria. Ma quando alla fine ti raccontano il loro inferno, a quel punto non sono più cose che accadono al “solito immigrato”, ma accadono a una persona che, nel frattempo, ti è diventata familiare, a un tuo amico.
Non si tratta più di una questione che riguarda gli “altri”, ma è una tua responsabilità perchè quella perosna è entrata nella tua vita.

Quali riflessioni vorresti che scaturissero da questo lavoro?

Mi auguro che questo film venga visto da più persone possibile e che faccia scaturire delle domande diverse. C'è una battuta molto dura che dice Valerio: “Quello che facciamo non serve a un cazzo”: ecco, forse se ce lo diciamo, quello che facciamo può servire sul serio.
Anche se il peso del passato è importante, i protagonisti sono persone e questo al di là della loro nazionalità. E sono perosne in difficoltà.
Forse vorrei che questo fosse un film sull'integrazione, ma sull'integrazione nostra: siamo noi che ci dobbiamo integrare a una situazione nuova, complicata e difficile. 

 


mercoledì 31 luglio 2013

Il diritto di cittadinanza e il diritto alla salute


Perchè il diritto di cittadinanza è connesso al diritto alla salute? Perchè, nella legge n.94 del 15 luglio 2009, è contenuto il cosiddetto “Pacchetto sicurezza” il quale, con l'intento di contrastare la criminalità, ha introdotto, in Italia, il realto di “immigrazione clandestina”: il migrante senza permesso di soggiorno (perchè senza un lavoro e senza dimora, requisiti fondamentali per ottenere il documento), come conseguenza di questa disposizione di legge, non si reca in ospedale o non chiede cure adeguate, in caso di malattia, per paura di essere arrestato. Anche per questo motivo la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 28 aprile 2011, ha censurato l'introduzione del reato di clandestinità in Italia.
Cosa succede a livello sanitario, quindi? Gli stranieri irregolari presenti in tutti gli Stati dell'UE si vedono garantite le cure di emergenza, ma non esiste, da parte dell'Unione Europea, garanzia per la loro assistenza medica e sociale, ovvero la tutela della salute delle persone irregolari è disciplinata dalle norme nazionali, con una grande variabilità tra i Paesi membri dell'UE.
In particolare, nel nostro Paese, il cittadino straniero può godere degli stessi diritti di uno italiano (si può, quindi, iscrivere al SSN, Servizio Sanitario nazionale) se cittadino comunitario, residente in maniera stabile e in possesso del permesso di soggiorno. Lo straniero, invece, sprovvisto del documento può usufruire di cure ambulatoriali o ospedaliere urgenti, di cure continuative per malattie conclamate e di programmi di medicina preventiva, utilizzando i codici STP e ENI i quali permettono le sole cure essenziali e continuative, ma non l'assistenza di un medico di medicina generale.
Questa situazione si ripercuote anche sui figli degli stranieri irregolari: è difficile fare una stima della loro presenza, per cui diventano “invisibili”. Per quanto riguarda l'assistenza pediatrica, questi minori hanno diritto all'assistenza presso consultori familiari, i pronto soccorso, gli ospedali (ma solo per prestazioni urgenti), ma sono esclusi dal diritto di avere un pediatra di famiglia.  
Non solo a livello europeo, ma anche in Italia la situazione cambia tra regione e regione.
E' notizia di pochi giorni fa che il Consiglio regionale lombardo abbia bocciato una mozione con cui si chiedeva proprio di estendere il diritto ad avere il pediatra ai figli di immigrati senza permesso di soggiorno. Questa bocciatura va indiscutibilmente contro la “Convenzione sui diritti del fanciullo” secondo la quale tutti i minori, senza discriminzioni, devono avere accesso all'assitenza sanitaria e va contro anche alla Risoluzione A7-0032/2011 dell'8 febbraio 2011 del Parlamento Europeo che invita gli Stati membri: “ad assicurare che i gruppi più vulnerabili, compresi i migranti sprovvisti di documenti, abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di accesso al sistema sanitario e a garantire che tutte le donne in gravidanza e i bambini, indipendentemente dal loro status, abbiano diritto alla protezione sociale quale definita nella loro legislazione nazionale, e di fatto la ricevano”.
A fronte della decisione del Consiglio regionale lombardo, le associazioni ASGI, Avvocati per Niente e Naga hanno intrapreso un'azione civile presso il Tribunale di Milano, affermando che: “ Il problema si pone sia per i bambini figli di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, sia per i figli di cittadini stranieri comunitari che non hanno i requisiti per l'iscrizione al Sistema sanitario nazionale. La disparità di accesso al sistema sanitario configura una una violazione del principio di parità di trattamento e costituisce pertanto discriminazione. I minori non possono mai essere considerati “irregolari”, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori”.


Una buona notizia, invece, c'è. Lunedi' 15 luglio 2013 a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, Emergency ha aperto un Poliambulatorio, il terzo dell'Ong in Italia.
Nasce dalla collaborazione con Libera, la cooperativa Valle del Marro, la Parrocchia Santa Marina Vergine e la Fondazione “Il cuore si scioglie” di Unicoop Firenze.
Emergency aveva iniziato a lavorare in questa zona quasi due anni fa con un ambulatorio mobile; oggi si stabilisce a Polistena in un palazzo confiscato alla 'ndrangheta per continuare a dare assistenza sanitaria soprattutto ai migranti che lavorano come braccianti nelle campagne di Gioia Tauro e anche a tutti coloro che necessitano di cure.
In particolare i pazienti accusano dolori muscolari e alle ossa, dermatiti e patologie gastrointestinali, malattie causate dalle difficli condizioni di vita e di lavoro.
Presso il Poliambulatorio tre mediatori culturali offrono consulenze socio-sanitarie e si occupano del rilascio del codice Stp (Straniero Temporaneamente Presente, che garantisce agli stranieri irregolari l'accesso al Servizio sanitario pubblico).

Poliambulatorio di Polistena (RC)

Via Catena 45, secondo piano

Lunedì-Venerdì ore: 9.00-18.00

lunedì 4 marzo 2013

Fine “Emergenza Nord Africa”: adesso sì che, per i profughi, è vera emergenza



Pochi giorni fa abbiamo scritto del documentario intitolato “Il rifugio” che raccoglie le storie di alcuni rifugiati, provenienti dalla Libia, parcheggiati in un albergo in alta montagna, in Italia.
Quelle persone hanno fatto parte del piano “Emergenza Nord Africa” voluto dal Ministero dell'Interno, sono stati gestite dalla Protezione Civile e sono stati alloggiati in alberghi e strutture private, da Monte Campione a Napoli, senza la possibilità di avere documenti, soldi, possibilità di movimento. Per due anni. Circa 1200 immigrati coinvolti.
A Piacenza, a metà febbraio, circa un'ottantina di profughi - fuggiti durante i disordini della primavera araba e “ospitati” presso il Ferrohotel della stazione o all'ostello di Calendasco - avevano messo in atto una protesta, chiedendo un po' di denaro per trovare altre sistemazioni oppure per far ritorno nei loro Paesi; a gennaio altri ,rinchiusi in un hotel di Pavia, avevano bloccato, per gli stessi motivi, i binari della stazione, fermando la circolazione sulla tratta Milano-Genova; e poi, ancora, i profughi che,da anni, erano ospitati negli alberghi napoletani,a ridosso di Piazza Garibaldi, rimasti senza assistenza, spesso anche con scarsità di cibo, in attesa dell'esito delle commissioni sul loro status di rifugiati.
Per tutti loro,da due giorni e con la scadenza dell' “Emergenza Nord Africa”, l'emergenza è scoppiata davvero: adesso sono di nuovo in mezzo ad una strada. Alcuni hanno ricevuto 500 euro pro capite dalla Prefettura (per chi eventualmente deciderà di tornare in patria) e altri 500 euro dalla Croce Rossa; alcuni (pochi) sono riusciti ad ottenere anche i permessi di soggiorno per asilo o di tipo umanitario, ma sicuramente non hanno né una casa e né un lavoro.
Il Ministro dell'Interno, in un'intervista rilasciata al quotidiano Avvenire, ha spiegato che non tutti i profughi dovranno uscire dalle strutture che li hanno ospitati per tutti questi mesi: potranno rimanere, ad esempio, i minori, i genitori singles con i figli, le donne in gravidanza, gli anziani e i disabili, le vittime di soprusi o di torture. Il prossimo Parlamento dovrà occuparsi dell'esame delle loro domande di richiesta asilo.
La crisi economica, che grava pesantemente su tutto il sistema welfare, e la crisi politica non depongono a favore di queste persone sempre più in difficoltà.
Comunque, per leggere l'intero documento emanato dall'attuale governo italiano sulla questione, potete cliccare sul link http://www.fondazionexenagos.it/wp-content/uploads/2012/10/ena.pdf

giovedì 28 febbraio 2013

Il rifugio, documentario di Francesco Cannito e Luca Cusani : profughi abbandonati in alta montagna


Nel giungo 2011, 116 profughi, provenienti dalla Libia, sono stati trasferiti in un albergo disabitato sulle Alpi, a 1800 metri. Per mesi hanno vissuto in completo isolamento nell'attesa che venisse riconosciuto il loro status di rifugiati. Il documentario, intitolato Il rifugio di Francesco Cannito e Luca Cusani, racconta la loro vita sospesa tra sogni e aspettative deluse ed è stato proiettato presso la sede del Naga, a pochi giorni dallo scadere del piano “Emergenza nord-africa” che abbandonerà per strada i profughi.
 

Abbiamo rivolto alcune domande a Luca Cusani

Quando avete girato il documentario? E come vi siete relazionati alle persone che hanno partecipato a questo lavoro?

Abbiamo girato dall'agosto 2011 per circa un anno perchè la vicenda è durata a lungo e non si sapeva se, con l'arrivo dell'inverno, gli immigrati sarebbero scesi a valle e, quando hanno cominciato a smistarli nei paesini, a quel punto abbiamo continuato a seguirli per vedere come andava a finire.
Erano tutti uomini, alcuni giovani, altri con qualche anno in più; tutti dell'Africa sub-sahariana. Alcuni erano diffidenti e chiusi, qualcuno da subito si è messo in gioco per raccontare la propria storia e noi abbiamo seguito chi si è dimostrato disponibile.
C'è stato un momento di tensione perchè loro volevano andare via da lì, ma le autorità non glielo permettevano: la nostra presenza, a quel punto, è stata ben accetta perchè potevamo avere un effetto sulle autorità stesse per il fatto di essere lì con le cineprese...

Perchè il loro arrivo è stato gestito come un'emergenza?

L'interpretazione data dalla cooperativa che si è occupata di loro è che i politici non volevano prendersi carico di questa cosa, anzi questa ondata di rifugiati dava fastidio e,quindi, la situazione è stata gestita in modo tale da metterli il più lontano possibile.
Inoltre, è stata gestita dalla Protezione Civile, secondo lo schema che abbiamo visto anche negli anni scorsi: la cosa è stata derubricata come “emergenza” e, quindi, gestita in maniera molto libera, anche affidandosi ai privati. Queste persone, infatti, sono state messe in una struttura privata che ha percepito 46 euro al giorno per ogni profugo, per quattro mesi, con un guadagno di circa 500 mila euro.

Per queste persone, invece, cosa vuol dire essere “rifugiati”?

Lo status di rifugiato permette di stare tranquilli, di avere i documenti in regola, la protezione sussidiaria etc. Però in Italia è difficile ottenere tutto questo: mancano le strutture e non si effettuano inserimenti lavorativi, ad esempio.
Queste persone sono state tenute in stand-by per più di un anno: alcuni non hanno ottenuto i documenti, ma anche quelli che li hanno ottenuti non hanno risolto i problemi pratici. Alcuni profughi sono rimasti in Italia, magari grazie all'aiuto di qualche connazionale; altri sono rimasti nella struttura di Monte Campione e dal 28 febbraio non si sa che fine faranno; altri ancora hanno tentato di andarsene.


Perchè molti di loro non hanno ottenuto i documenti?

Perchè la valutazione da parte delle Commissioni considera una serie di fattori: per esempio, se il Paese di provenienza sia effettivamente rischioso, le storie personali, le condizioni da cui si vuole scappare. Il tutto deve essere supportato da evidenze, da prove. E' una strada molto stretta che tanti non riescono a percorrere.

Il documentario fa emergere tre storie. Puoi anticiparcele?

Abbiamo seguito, in particolare, un nigeriano che si autoproclama un “profeta” e che, per motivi religiosi, è scappato dal Paese percorso da grandi tensioni tra il movimento islamico e i cristiani; un profugo del Gambia fuggito, invece, per motivi politici (in quanto oppositore del regime), con il padre ucciso dalle autorità e lui stesso torturato; e un altro ragazzo, sempre nigeriano, che era approdato in Libia dove era diventato un calciatore professionista, ma - a causa dell'esodo dopo la guerra - è arrivato in Italia, sperando di poter ricostruirsi una vita anche grazie allo sport, e, invece, questo non è accaduto.


venerdì 22 febbraio 2013

STRANIERI: un titolo semplice per uno spettacolo incisivo


Sette persone: quattro donne e tre uomini, chiusi nello scantinato di una qualsiasi città europea e imprigionati nella loro condizione di “clandestini”.
Una ragazza laureata costretta a chiedere l'elemosina; una donna araba, privata della maternità, un'altra, russa, costretta a prostituirsi e Alina che spera di diventare una modella. E poi: l' uomo che viene dalla Libia e sogna di aprire un ristornate, un altro che vuole imparare la lingua e comprarsi una bella, grande casa; e il ragazzo aggressivo, dall'Est, ma dal cuore tenero.
Questi sono i protagonisti di Stranieri, uno spettacolo teatrale - vincitore del Premio Scintille all'ultima edizione del Festival Asti Teatro - e presentato, qualche giorno fa, al Tieffe Teatro Menotti di Milano, davanti ad un pubblico gremito di giovani.
Sì, sono straniere le persone di cui si vuole parlare, ma sono soprattutto uomini e donne che hanno affrontato viaggi pericolosi, in barche instabili o nascosti nei camion; uomini e donne che non conoscono bene la lingua del Paese che dovrebbe accoglierli; che non hanno un lavoro né stabile né dignitoso; che sognano e sperano; che tengono duro anche quando la vita è sempre più faticosa.
Sono gli immigrati, quelli irregolari che non hanno ancora ottenuto il permesso di soggiorno e sono quelli che chiedono asilo perchè nei loro Paesi c'è la guerra o sono discriminati per le proprie idee religiose o politiche; e sono appesi ad un foglio di carta e alla burocrazia, in eterna attesa di una risposta e di un riconoscimento.
Sono gli “invisibili”, quelli che non hanno amici e non sono gli amanti di nessuno, come recita la poesia che chiude lo spettacolo.
La scrittura, la regia e la messa in scena di Stranieri è a cura della Compagnia Zwischentraum Theatre, un'esperienza di lavoro nata alla fine del 2011, in Svizzera. Gli attori, e registi, hanno nazionalità diverse (Germania, Italia, Canada e Belgio),ma hanno condiviso la stessa formazione artistica presso la Scuola Teatro Dimitri. La loro scelta è quella del teatro “fisico”, di comunicare attraverso il linguaggio del corpo: con la danza, con l'acrobatica e con la pantomima. E, a questo, si aggiungono la musica e le parole per emozionare, ma anche riflettere sui temi di attualità.

Abbiamo rivolto alcune domande agli attori e alle attrici del collettivo Zwischentraum Theatre:


Cosa vuol dire lavorare in un “collettivo”?

Lavorare in un collettivo vuol dire portare, ognuno, il proprio punto di vista, le proprie paure, i propri desideri. Non è facile, a volte ci si scontra perchè ognuno ha le proprie idee e anche forti e formare un pensiero teatrale diventa complicato, ma alla fine, si trova il filo rosso, ciò che che ci tiene insieme.

Come vi siete documentati per preparare lo spettacolo ?

Ognuno di noi ha svolto una ricerca su quello che sarebbe diventato il suo personaggio e, insieme, ci siamo dati stimoli a vicenda, consigliandoci libri, film o discutendo dei fatti di cui abbiamo sentito parlare. Alcune fonti – letterarie e cinematografiche – sono state, ad esempio, Bilal di Fabrizio Gatti o Nel mare non ci sono coccodrilli di Fabio Geda, come testi scritti; oppure, come film, Illegal, Hotel Rwanda, Il viaggio della speranza e molti altri ancora.
La costruzione dello spettacolo è stata molto lunga: il nucleo esiste da un anno e mezzo, ma ci abbiamo lavorato a tranche di 20 giorni e, nel frattempo, abbiamo avuto modo di studiare, di prepararci

Qual è il significato della scenografia che avete scelto per Stranieri?

E' ancora un punto di discussione. Per adesso vuole ricreare l'idea di un'unica stanza e la difficoltà di vivere in tanti, insieme, in quello spazio. Abbiamo cercato di separare gli uomini dalle donne per sottolineare la promiscuità di generi che gli immigrati devono accettare per forza, come anche il fatto di condividere lo stesso letto...
La scenografia è essenziale e simbolica - non legata al realismo della situazione – ma vuole rendere la claustrofobia e la mancanza di privacy

Perchè avete scelto di recitare, principalmente, con il corpo?

Noi non siamo attori di prosa, ma ci basiamo sull'espressione del corpo che ha tantissimi colori: può essere poetica e rude, evocativa e concreta, ma mai didascalica.



 

sabato 2 febbraio 2013

Iscrizioni scolastiche on-line: intoppi, per i figli degli immigrati irregolari



Il Ministero dell'Istruzione, da quest'anno, ha introdotto una novità: l'iscrizione on-line per gli studenti che entrano, al primo anno, negli istituti scolastici italiani.
La procedura di iscrizione on-line dovrebbe sveltire il processo e dare un taglio netto alla burocrazia. ma nn è così perchè il sistema non funziona correttamente (si è intasato) ed, inoltre, molte famiglie non hanno la possibilità di usare un computer. ma si è verificato un problema ulteriore: i figli degli immigrati irregolari sono esclusi dalla possibilità di iscrizone alle scuole dell'obbligo perchè, senza il permesso di soggiorno, viene a mancare anche il codice fiscale. L'Agenzia delle Entrate, infatti, lo assegna solo dopo aver attestato la regolarità della persona immigrata.
Il Ministero ha diramato una nota nella quale si legge che i genitori irregolari di ragazzi stranieri devono recarsi direttamente presso le segreteria degli istituti che provvederanno ad acquisire le domande di iscrizione; nella nota si aggiunge che risulta valida un'unica registrazione per chi ha più figli da iscrivere.
La CGIL ha sostenuto che: "Mai prima d'ora in questo Paese era stato messo in discussione il diritto di tutti di andare a scuola".
Il Progetto Melting Pot Europa ha diffidato il MIUR, chiedendo un'immediata modifica del sistema affinche: " L'istruzione sia garantita a tutti i minori, su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalla posizione di soggiorno dei loro genitori".
Interessante sottolineare anche che la prima segnalazione del problema, del malfunzionamento del sistema di iscrizione on-line, sia arrivata dalla rete studenti perchè nessuno dei ragazzi si è potuto iscrivere.

giovedì 10 gennaio 2013

Anche per i CIE: violazione dei diritti umani

Lo ha stabilito il Tribunale di Crotone. La direttiva europea sui rimpatrii 2008/115/CE prescrive che il trattenimento dello straniero irregolare possa essere disposto solo quando ogni altra misura meno afflittiva risulti impossibile o inadeguata.
Il  Tribunale di Crotone si è, quindi, basato sulla giurisdizione europea e ha anche stabilito che le condizioni di vita degli immigrati irregolari all'interno dei CIE siano "lesive della dignità umana" e che configurano la violazione dell'art.3 della Convenzione europea dei Diritti Umani (ICEDU). Non solo una sentenza esemplare per le carceri, ma anche per i CIE che da Centro di Identificazione e Espulsioni si sono trasformati (da subito) in vere e proprie galere.
A.H., cittadino marocchino viveva con la sua famiglia e lavorava come artigiano a Gioia Tauro ed è stato prelevato e portato nel CIE di Capo Rizzuto; così come D.A., tunisino, che stava facendo la spesa con la sua compagna incinta di tre mesi, ed è stato portato via in manette, perchè senza documenti; o come A.A., algerino, che viveva a Viareggio e faceva il cameriere. Loro e altri stranieri hanno denunciato , all'interno dei CIE, condizioni igieniche precarie (che "manco gli animali conoscono"), assenza di tavoli (quindi consumavano i pasti per terra), sottrazione di oggetti personali (come, ad esempio, i telefoni cellulari). Da qui è cominciata la rivolta: i detenuti hanno lanciato pietre e calcinacci contro il personale di vigilanza. Il Tribunale di Crotone li ha assolti per legittima difesa, proporzionata all'offesa subita.
Le due sentenze - degli ultimi giorni - che riguardano le carceri e i CIE, in Italia, segnano un punto e un passo avanti nel percorso verso la giustizia e il rispetto della persona.