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venerdì 13 novembre 2015

La legge del mercato: un nuovo film dalla Francia riflette sulla crisi del lavoro





In Italia è uscito con il titolo La legge del mercato, il titolo anglofono è The measure of a man e quello internazionale recita A simple man: tutti titoli adatti per descrivere, in poche parole, quello che sarà il contenuto dell'ultimo lavoro di Stèphane Brizé grazie al quale Vincent Lindon ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile all'ultima edizione del festival di Cannes. Lindon è qui Thierry Taugordeau, un uomo sulla cinquantina, sposato e con un figlio disabile. L'attore presta il suo volto e il suo sguardo ad una persona che procede per inerzia, che ha perso il lavoro presso un'impresa in cui ha svolto l'attività per venticinque anni, ha poi frequentato molti corsi di formazione, ma non riesce a ricollocarsi nel mondo professionale. Fino a che, un giorno finalmente, trova un impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato. Accetta, anche se si tratta di fare un passo indietro di carriera, ma il problema non sarà questo: il vero problema si porrà nel momento in cui Thierry dovrà denunciare i suoi stessi colleghi oppure le persone che non hanno abbastanza denaro per pagare i prodotti che vorrebbero acquistare.

Lo spettatore entra lentamente nella vita del protagonista e nella società capitalistica: la quotidianità di Thierry si va a scontrare con la crisi economica che colpisce, in maniera indistinta, giovani e meno giovani, professionisti e operai. Una lentezza quasi agonizzante che si allinea alla freddezza delle inquadrature, delle luci e dei paesaggi, tipici di quelle aree metropolitane in cui la povertà si sta divulgando, portando via sogni, sicurezze e voglia di vivere.

Grigio è il volto di Thierry, grigi i volti delle altre persone, tutti attori non professionisti per ricreare sullo schermo la verosomiglianza delle situazioni che si vogliono denunciare; i luoghi fisici sono spesso strade in cui l'uomo cerca un lavoro, le agenzia di collocamento, il supermercato, tutti “non-luoghi” come li definisce Marc Augè, ovvero luoghi di transito dove gli individui camminano, si spostano in cerca di qualcosa oppure dove trascinano la propria esistenza senza creare legami affettivi profondi. Nemmeno in famiglia, Thierry può garantire la propria presenza, o per lo meno una presenza serena: prima perchè è rimasto senza sostentamento e poi perchè si trova a dover affrontare un dilemma etico molto grave.

Il dilemma è, ovviamente, posto anche al pubblico: cosa faremmo al posto di Thierry di fronte a una persona povera che ruba la merce al supermercato? Come dire a un nostro collega che verrà lincenziato, quando sappiamo bene cosa significhi rimanere senza un posto?

L'empatia e l'dentificazione sono meccanismi che dovrebbero scattare grazie all'Arte cinematografica: e forse il regista ha usato il proprio mezzo per far riflettere sulla tragedia che molti, troppi stanno vivendo sulla priopria pelle, anche se i proclama dei governi raccontano una storia molto diversa. Nel film viene rappresentata la solidarietà tra poveri e la guerra tra poveri e, al di sopra di tutti, il Mercato, il Denaro, le nuove divinità a cui siamo costretti ad immolarci anche a scapito della nostra dignità: le telecamere sono appostate ovunque, spiano e registrano ogni parola e ogni movimento, estensione di un Potere occulto, strisciante e imperante. Niente più tempo libero, svaghi, giochi: tutto è ridotto alla sfida, all'eliminazione, alla concorrenza. Perchè in questo tipo di società non c'è più spazio per le relazioni dirette, per i sentimenti e neanche per la salute. Una persona è davvero soltanto considerata come “capitale umano”, per citare un film di Paolo Virzì, e non c'è bisogno di scomodare teorie marxiste o di ricordare Chaplin: basta guardarsi intorno.

Il finale della pellicola rimane aperto perchè siamo nel pieno della crisi, perchè ancora non è migliorato nulla e, perchè, forse nessuno di noi ha la risposta giusta alla domanda: sarei vittima o carnefice?




lunedì 22 dicembre 2014

No al fascismo, No alla violenza




Lo scorso 20 dicembre si è tenuto, a Milano, il congresso dell'estrema destra, di Alba dorata.

Lo stesso giorno si è tenuta, davanti alla sede della Camera del Lavoro, una manifestazione per dire No al razzismo e a tutte le altre forme di violenza.

Ecco il video, per voi milanesi e non.



mercoledì 8 ottobre 2014

La fabbrica del panico, incontro pubblico con l'autore


 



Venerdì 10 ottobre, alle ore 19.00, si terrà un incontro pubblico con Stefano Valenti, autore del romanzo La fabbrica del panico, edito da Feltrinelli e vincitore del premio Campiello – Opera prima.

Presso Spazio Tadini, Via Jommelli, 24 (MM 2 Piola, MM1 Loreto). L'incontro è a cura dell'Associazione per i Diritti Umani.



Immaginava di vivere senza la fabbrica e preparava il corpo con meticolosa accuratezza al grande evento, il momento fatale della separazione.”


Il libro
Una valle severa. In mezzo, il lento andare del fiume. Un uomo tira pietre piatte sull’acqua. Il figlio lo trova assorto, febbricitante, dentro quel paesaggio. è lì che ha cominciato a dipingere, per fare di ogni tela un possibile riscatto, e lì è ritornato ora che il male lo consuma. Ma il male è cominciato molto tempo prima, negli anni settanta, quando il padre-pittore ha abbandonato la sua valle ed è sceso in pianura verso una città estranea, dentro una stanza-cubicolo per dormire, dentro un reparto annebbiato dall’amianto. Fuori dai cancelli della fabbrica si lotta per i turni, per il salario, per ritmi più umani, ma nessuno è ancora veramente consapevole di come il corpo dell’operaio sia esposto alla malattia e alla morte. Lì il padre-pittore ha cominciato a morire. Il figlio ha ereditato un panico che lo inchioda al chiuso, in casa, e dai confini non protetti di quell’esilio spia, a ritroso, il tempo della fabbrica, i sogni che bruciano, l’immaginazione che affonda, il corpo subdolamente offeso di chi ha chiamato ‟lavoro” quell’inferno. Ci vuole l’incontro con Cesare, operaio e sindacalista, per uscire dalla paura e cominciare a ripercorrere la storia del padre-pittore e di tutti i lavoratori morti di tumore ai polmoni. È allora che il ricordo diventa implacabile e cerca colori, amore, un nuovo destino.
Dai primi romanzi di Paolo Volponi nessuno è riuscito a ‟entrare” in fabbrica con la potenza, il nitore, la stupefazione di Stefano Valenti, e quello che sembra un mondo perduto torna come il rimosso infinito della sopraffazione.
(Dal sito www.Feltrinelli.it)





Stefano Valenti ha tradotto numerosi libri sia di narrativa sia di saggistica per diverse case editrici (fra cui Questo non è un Manifesto di Michael Hardt e Antonio Negri, Feltrinelli, 2012 e Invecchiando gli uomini piangono di Jean-Luc Seigle, Feltrinelli, 2013). Ha ancora pubblicato con Feltrinelli La fabbrica del panico (2013), il suo primo romanzo, vincitore del Premio Campiello Opera Prima 2014. Per i “Classici” ha tradotto Germinale (2013) di Émile Zola e Il giro del mondo in ottanta giorni (2014) di Jules Verne.

sabato 24 maggio 2014

Requiem dal sottosuolo




Lettera43.it

301: questo è il numero delle vittime della tragedia avvenuta in miniera. Siamo a Soma, in Turchia. E il popolo si mobilita, si alza il livello di rabbia contro il governo di Erdogan accusato di non aver garantito norme di sicurezza adeguate in nome del guadagno perchè, a seguito della privatizzazione della miniera, il costo di una tonnellata di carbone è sceso a 24 dollari - contro i precedenti 130 - e tutto sulla pelle dei lavoratori. E allora anche Smirne, Ankara, Istanbul si uniscono a Soma, alle famiglie dei minatori, tutti cittadini che non accettano di barattare le proprie vite e quelle dei propri cari in nome di una modernità che arricchisce pochi e potenti e annienta gli altri. La risposta della polizia è stata dura: i manifestanti sono stati caricati con gas lacrimogeni, proiettili di gomma e cannoni ad acqua.
I dirigenti della società privata, la Soma Komur, che gestiva l'impianto avevano tentato una difesa, affermando di non essere stati negligenti perchè gli impianti erano a norma e controllati: ma a distanza di pochi giorni, sono partiti i primi arresti. Circa venti persone, tra dirigenti e responsabili tecnici, e per tre di loro l'accusa provvisoria è di omicidio plurimo colposo.
Abbiamo già affrontato tante, troppe volte, il tema delle morti sul lavoro: con il film di Costanza Quatriglio dal titolo Con il fiato sospeso, con il romanzo La fabbrica del panico di Stefano Valenti, con il pezzo sugli operai cinesi che persero la vita nel rogo di Prato e altre situazioni che abbiamo riportato, di volta in volta, nei nostri articoli o attraverso le parole, i ricordi, le testimonianze di chi ci ha rilasciato le interviste.
In ogni parte del mondo le regole spietate del capitalismo mietono vittime, rubano le esistenze di donne, uomini, spesso anche bambini. Non è mai sufficiente continuare a ripetere che le regole del mercato vanno cambiate, che non ci possono più essere persone di serie A e persone di serie B e che ricominciare dall'etica e dall'umanità sarebbe l'arricchimento più grande.


giovedì 1 maggio 2014

La fabbrica del panico: il lavoro, il dolore




Un uomo tira pietre piatte in riva a un fiume mentre il figlio lo osserva. L'uomo è tornato lì per dipingere ora che il male oscuro si sta impossessando del corpo. Un male vigliacco che si è inoculato in quel corpo forte di padre tanti anni prima, negli anni'70, quando quel padre ha iniziato a lavorare in fabbrica.

Fuori dall'edificio si lotta per turni di lavoro più umani e per una paga giusta, si lotta per i diritti di base, ma tra questi c'è anche il diritto alla salute: dentro, infatti, si respira amianto e si muore, lentamente.

Questa è ala storia-denuncia del romanzo La fabbrica del panico di Stefano Valenti, edito da Feltrinelli.



Abbiamo intervistato l'autore che, gentilmente, ci ha concesso un po' del suo tempo e noi lo ringraziamo. Non a caso, abbiamo concordato con lui di pubblicare oggi, 1 maggio 2014, queste parole.



Nel romanzo si racconta la storia dell'Italia operaia dagli anni cinquanta ad oggi: cosa è cambiato nelle condizioni di vita delle persone che lavorano in fabbrica?

Poco o niente, per molti versi la crisi mondiale ha aggravato la condizione operaia. Con il ricatto della disoccupazione padroni e sindacati confederali obbligano a turni e a ritmi sempre più pesanti. Esistono oltre tre milioni di disoccupati e tuttavia chi ha la 'fortuna' di avere un lavoro è costretto a fare straordinari con turni anche di dodici ore al giorno come è successo alla ThyssenKrupp nel 2007. Così i padroni alimentano la concorrenza fra lavoratori e incrementano i profitti risparmiando sulla manutenzione e sulla sicurezza, come è accaduto all’ Eternit di Casale Monferrato, alla Fibronit di Broni, alla Breda di Sesto San Giovanni e in moltissime fabbriche. La 'normalità' dei morti sul lavoro e di lavoro a causa delle malattie professionali non è un residuo ottocentesco, ma rappresenta semmai la 'modernità' del capitalismo che continua a uccidere. Le morti sul lavoro non sono una fatalità, ma il tributo degli operai alla realizzazione del profitto.


Una storia molto personale che si fa universale: ci conferma che si tratta anche di una storia di denuncia?

Negli ultimi decenni la narrativa italiana ha accuratamente evitato di raccontare parte consistente del Paese, classe operaia e indigenti in particolare. Il postmoderno ha assoggettato la prosa agli automatismi della fiction, prelibata dai media e dal mercato. È arrivato il momento di parlare anche di coloro che sono stati messi da parte.

Per tutti coloro che si sono ammalati in quanto esposti, per anni, a sostanze nocive: sono stati condannati i responsabili della Breda Fucine? Conosce casi simili a quello raccontato nel libro e in cui siano state inflitte pene esemplari oppure è difficile che questo accada?

Per quanto riguarda la Breda fucine, dopo numerose archiviazioni, sono giunti a conclusione due processi. Il primo, nel 2003, ha assolto i dirigenti 'perché il fatto non sussiste', il secondo, nel 2005, pur riconoscendoli colpevoli, li ha condannati per omicidio colposo a diciotto mesi concedendo le attenuanti generiche.

Bisogna ricordare che per anni è esistito un muro di omertà e complicità da parte di Stato, partiti e istituzioni tutte. Oggi la situazione sta cambiando grazie alle lotte degli ultimi anni dei comitati sorti in fabbrica e nel territorio, come quello della Breda fucine, che hanno riunito nel territorio operai e cittadini. Ne sono un esempio i processi ThyssenKrupp ed Eternit in cui sono state comminate pene esemplari sia in primo sia in secondo grado, con pesanti condanne

Come procede l'operato del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, comitato che è stato fondato a Sesto San Giovanni nel 1996? Sono stati ottenuti risultati positivi?
 
Il Comitato che ha sede nel Centro di iniziativa proletaria G. Tagarelli – Giambattista Tagarelli, al quale è stata intitolata la sede, è uno dei fondatori del Comitato ucciso dalle fibre killer – ormai è ramificato sul territorio nazionale ed è diventato un interlocutore stabile delle istituzioni favorendo il riconoscimento dell'esposizione all’amianto e delle malattie professionali di centinaia di ex lavoratori vittime dell’amianto e dei cancerogeni. Il Comitato è tra gli artefici del Coordinamento nazionale amianto che raggruppa decine di associazioni e comitati in tutta Italia. Grazie a lotte e manifestazioni è riuscito a far approvare il Fondo per le vittime dell’amianto e l'assistenza gratuita delle vittime dell'amianto e dei loro famigliari presso la Clinica del lavoro di Milano o nei comuni di residenza. Inoltre nel mese di aprile di ogni anno ricorda pubblicamente tutti i lavoratori morti a causa dello sfruttamento con un corteo a cui invitiamo anche i vostri lettori a partecipare e che si terrà sabato 26 aprile 2014 alle ore 16 con partenza dal Centro di iniziativa proletaria G. Tagarelli di via Magenta 88 a Sesto San Giovanni.

Infine, oltre al romanzo è stato realizzato anche un cortometraggio. Come è nato questo progetto?

Esistono book trailer che rappresentano una sorta di videoclip editoriali. Con Carlo A.Sigon, regista e amico, abbiamo pensato a qualcosa di più compiuto come un cortometraggio, nel quale racchiudere in tre minuti circa tutto il dolore del romanzo.


martedì 25 febbraio 2014

Milano verso il 1 marzo, giornata dello sciopero dei lavoratori migranti



Cari amici, vi riportiamo qui di seguito il comunicato stampa e alcune informazioni importanti per la manifestazione del 1 marzo alla quale saremo presenti anche noi per dare il nostro appoggio ai migranti, agli organizzatori e per fare alcune riprese in modo da poterle condividere ed essere, così, ancora più numerosi.

Grazie a tutti.


 

I DIRITTI PER LE/I MIGRANTI = DIRITTI PER TUTTE E TUTTI 
 
Manifestazione cittadina a Milano 
 
partenza da Piazzale Loreto/arrivo in Duomo 
 
Concentramento alle ore 14,30 
 
La Milano antirazzista si mobilita come "Milano Senza Frontiere" e chiama tutte e tutti a scendere in piazza l’1 marzo per riportare l'attenzione sui diritti negati o violati delle cittadine e dei cittadini migranti. 
 
La manifestazione dell’1 marzo è diventata uno degli appuntamenti simbolo distintivi dell’antirazzismo italiano. 
 
Anche quest’anno vogliamo ribadire in modo nonviolento a gran voce che garantire i diritti delle e dei migranti vuol dire garantire i diritti di tutta la  cittadinanza.
 
Solo insieme, migranti ed autoctoni, possiamo rispondere al clima di razzismo e di paura, che alcuni esponenti di istituzioni, partiti politici o mass media vogliono affermare nel paese. 
 
Solo insieme possiamo costruire una risposta alla crisi economica e reagire contro chi fomenta la guerra tra poveri facendo crescere la solidarietà per rendere concreto il sogno di una società di convivenza, in cui tutte le persone possano godere degli stessi diritti, senza distinzioni basate sulla provenienza  
 
Per ciò chiamiamo tutte e tutti a manifestare l’1 Marzo a Milano, in preparazione della prossima manifestazione nazionale contro ogni forma di razzismo e per i diritti delle e dei migranti. 
 
Il ritrovo è alle 14.30 in Piazzale Loreto/angolo via Padova,fino a Piazza Duomo, dove in ultimo si concentrerà, e dal palco allestito sotto l'Arengario si potranno ascoltare testimonianze e contributi sui temi e le richieste che vogliamo riportare in primo piano nel dibattito politico.
 
Durante la manifestazione verrà richiesto:
  • La chiusura immediata dei Centri di Identificazione ed Espulsione e la chiusura definitiva del Centro di via Corelli a Milano 
  • Una nuova legge sull’immigrazione
  • Svincolare il permesso di soggiorno dal lavoro
  • Il diritto di cittadinanza per le bambine e i bambini nati e/o cresciuti in Italia
  • Il diritto di voto per i/le migranti che risiedono in Italia 
  • Il diritto al lavoro per tutti e tutte come previsto dalla Costituzione 
  • Parità di diritti fra cittadini 
  • Il diritto al reddito per tutti e tutte 
  • Una legge per il diritto d’asilo e reali politiche di accoglienza 
  • No alla discriminazione nell'acceso ai diversi servizi 
  • Garantire l'esercizio della libertà di culto 
               
MILANO SENZA FRONTIERE




    


mercoledì 12 febbraio 2014

Brutto segnale dalla Svizzera




Già da qualche anno, nelle vie e nelle piazze delle città svizzere, campeggiano manifesti “anti-immigrazione”: alcuni mostrano un enorme albero che si schianta sulla mappa della Svizzera, altri una donna velata con la scritta “Un milione di musulmani presto?”; nel 2009 gli elettori approvarono la proposta di vietare la costruzione di nuovi minareti.

Ma gli immigrati che fanno paura non sono solo arabi o musulmani.

Domenica 9 febbraio è passato un referendum dal titolo “Contro l'immigrazione di massa”, fortemente voluto dal partito di destra dell'Unione democratica di centro (Udc/Svp) che ha proposto l'iniziativa, accompagnandola con una serie di slogan che, purtroppo, sentiamo ripetere anche in Italia: l'immigrazione fuori controllo porterebbe all'aumento della disoccupazione per gli “autoctoni”, problemi di sicurezza, aumento degli affitti, treni sovraffollati, etc.

L'iniziativa è stata approvata dal 50,3% dei votanti ed è stata accolta, in particolare, nei cantoni di lingua italiana, tedesca e nelle zone rurali: nel 2011 la Svizzera aveva introdotto delle quote per gli immigrati provenienti da otto Paesi dell'Europa centrale e orientale, ma da oggi le quote si estenderanno anche ai migranti provenienti dall'area occidentale. Il piano, quindi, vede coinvolti cittadini di tutta Europa, frontalieri e richiedenti asilo.

L'esito del referendum che comporta un cambiamento nelle politiche migratorie: viene, infatti, introdotto un nuovo articolo nella Costituzione secondo il quale vengono limitati i permessi di dimora per gli stranieri, attraverso tetti massimi e contingenti annuali, definibili in funzione degli interessi generali dell'economia svizzera. Inoltre, in caso di assunzione di nuovi lavoratori, le imprese devono dare la preferenza agli svizzeri.

Bruxelles ha espresso “rammarico” e un portavoce dell'Ue ha dichiarato: “Esamineremo le implicazioni di questa iniziativa sui rapporti complessivi fra Ue e Svizzera”, anche perchè la Svizzera non è membro dell'Unione, ma ha firmato molti accordi di cooperazione bilaterale con Bruxelles, tra cui quello che garantisce ai cittadini europei di vivere e lavorare in Svizzera e ai cittadini svizzeri di fare lo stesso in Europa. Si attendono, quindi, nuovi negoziati e nuove disposizioni riguardanti l'Accordo sulla libera circolazione delle persone in vigore con l'Ue dal 2002.


mercoledì 11 settembre 2013

Percorsi di memoria: CILE 1973-2013


11 settembre: una data difficile. Per l'attentato alle Torri gemelle di New York nel 2001. Ma non solo.
Esattamente quarant'anni fa i corpi speciali dell'esercito cileno, comandati dal generale Augusto Pinochet, destiuirono il governo di Salvador Allende. Un colpo di Stato militare che portò all'uccisione del presidente Allende e di 50.000 militanti del movimento operaio, e poi lavoratori e studenti, persone comuni. Da allora si instaurò nel Paese una sanguinosa dittatura a cui fecero eco altre in molti Stati sudamericani.
La mostra del cinema di Venezia, alla sua 70ma edizione, ha voluto rendere omaggio al Cile con due opere presentate nella sezione “Settimana della critica” di due registi, entrambi di un cognome molto diffuso: Sepúlveda.
Sebastiàn Sepúlveda, nel suo Las Niñas Quispe, racconta la quotidianità di Justa, Lucia e Luciana, tre sorelle che vivono di pastorizia sull'altopiano. Un visitatore porta loro la notizia dell'inserimento di una nuova legge che sconvolgerà del tutto la loro esistenza, un'esistenza fatta di gesti ripetuti e di lavoro duro, nel vento e nel freddo, ma che rassicura e garantisce stabilità. Donne segnate dalla fatica fisica, silenziose e tenaci. Coraggiose fino all'ultimo, quando faranno la scelta estrema e più difficile. Siamo nel 1974 quando tutti, in città come nelle ande, erano costretti a scegliere tra la libertà e la rassegnazione.
Il silenzio appartiene anche a Ximena, la protagonista del film di Moisès Sepúlveda, intitolato Las analfabetas, tratto dall'omonima pièce teatrale scritta da Pablo Paredes

(cosceneggiatore del film). Ximena ha cinquant'anni, ma non sa né leggere e né scrivere e questo, per lei, è un handicap che le impedisce di stabilire relazioni profonde con gli altri. Un giorno la donna riceve la visita inaspettata della giovane Jackeline, insegnante precaria che si offre di insegnare a Ximena la comunicazione scritta.
Un giorno Jackline trova un foglio gelosamente custodito da Ximena, come se fosse un tesoro prezioso: è la lettera che il padre le ha lasciato prima di abbandonarla. Quel foglio sarà lo strumento e il simbolo di una liberazione “intellettuale” e psicologica che porterà la donna ad uscire dal suo isolamento.
Las Niñas Quispe è un film di fiction che, alternando dialoghi rarefatti alla gestualità semplice e istintiva delle persone, documenta la vita sulle montagne e il percorso interiore di chi è costretto a fare i conti con un cambiamento troppo grande; con Las analfabetas si entra in un piccolo mondo fatto di un tavolo, di una cucina, di un cancello, ma in entrambi la via di fuga c'è: la morte o la cultura. Ma mai la rassegnazione.




Nella citttà di Milano è in programma una serie di iniziative per ricordare la dittatura cilena (e non solo). Riportiamo qui di seguito la comunicazione, ringraziando Monica Macchi per la segnalazione.

Mostra fotografica di Paola Agosti “Il Cile dell’Unidad Popular”, che si terrà in Umanitaria via Daverio, 7 - dal 7 al 12 Settembre. Il giorno dell’inaugurazione – 7 settembre ore 18 oltre all’autrice saranno presenti:
Pier Amos Nannini (Presidente Società Umanitaria), Emilio Barbarani (Diplomatico e scrittore), Marzia Oggiano (Segreteria Camera del Lavoro Metropolitana di Milano), Patricia Mayorga (Giornalista Corrispondente estera “El Mercurio” e scrittrice).
Mostra di immagini e manifesti relativi all’impegno sindacale per il ripristino della democrazia in Cile, in Camera del Lavoro Metropolitana di Milano dal 9 al 12 Settembre.
Concerto della cantattrice Annamaria Castelli in Trio con Giulio D’Agnello (chitarra, strumenti a corda e voce), Carlos Adriàn Fioramonti (chitarra) e con Elisa Roson (attrice), nell’Auditorium Di Vittorio il 10 Settembre alle ore 21;
Proiezione del film “SALVADOR ALLENDE” di Patricio Guzmàn, sempre al “Di Vittorio” alle ore 18 del 12 Settembre. Intervento di Graziano Gorla Segretario Generale
11 settembre alle ore 21 - all’Alcatraz via Valtellina, 25 – Concerto: INTIILLIMANI HISTORICO dal titolo “CANTO PARA NO OLVIDAR” organizzato da CGIL e CISL Lombardia


mercoledì 1 maggio 2013

Primo maggio, festa dei lavoratori: cosa si festeggia?




Picchetti, scioperi, blocchi, manifestazioni: per chiedere lavoro, per chiedere tutela.
Questa è l'Italia, oggi.
Un esempio per tutti: i centri logistici intorno a Milano sono in tumulto; Ikea, Esselunga, la società di spedizioni TNT, Coop sono solo alcune aziende in cui i lavoratori si stanno battendo per vedere affermati i propri diritti.
Come riporta Antonello Mangano nella sua inchiesta per Terrelibere.org intitolata “Cosa succede dentro Ikea? La denuncia dei lavoratori migranti”, del 27 marzo scorso (ma la protesta in alcuni poli dell'azienda svedese e in altre è ancora in corso), una delle più imponenti manifestazioni, da parte dei lavoratori, è stata organizzata anche a Piacenza, dove è situato il grande magazzino Ikea che serve i mercati di Svizzera, Italia e Mediterraneo orientale. Qui lavorano persone che vengono dall'Egitto, dal Pakistan e dall'Albania, ma non sono assunti direttamente: il loro operato è in subappalto ed è gestito da cooperative che, cambiando continuamente nome, riescono ad evadere il pagamento dei contributi pensionistici. Ma non è soltanto un problema di pensione: i lavoratori denunciano di essere sottopagati (7,90 euro lordi), di lavorare in condizioni ambientali inaccettabili, di essere sottoposti a turni massacranti. E non mancano episodi di venato razzismo.
Mohamed Arafat, leader degli scioperi alla TNT, ha affermato: “Noi siamo stranieri di passaggio, ma lottiamo anche per gli italiani” e gli immigrati - che come gli italiani devono mantenere le famiglie, pagare l'affitto della propria casa, mandare i figli a scuola - hanno avuto la solidarietà da parte dei centri sociali, da piccoli sindacati indipendenti, da studenti e attivisti. Il caso TNT è andato a buon fine come Ikea che ha reintegrato otto lavoratori.

Anche il Cinema, qualche volta, può testimoniare la realtà. Lo scorso novembre è stato presentato al Festival di Torino il nuovo lavoro di Ken Loach, da sempre attento ai diritti civili e, in particolare, al diritto al lavoro. Il film, dal titolo in italiano La parte degli angeli, è ambientato a Glasgow e narra di tre teppisti condannati a svolgere lavori socialmente utili per avviare un percorso di riscatto, anche umano. Il genere e lo stile sono quelli propri della commedia, ma - come spesso accade nel cinema del grande vecchio britannico - si tratta di una commedia sarcastica e graffiante che fa riflettere sulla crisi economica (nel passato come nel presente) e sulle conseguenze che condizionano scelte e comportamenti.
Al suo arrivo a Torino, Loach è stato accolto da un gruppo di manifestanti che hanno srotolato uno striscione con scritto: “Vogliamo il pane, ma anche le rose” , in riferimento ad uno dei più celebri film del regista Bread and roses, a sua volta tratto da una citazione di Rosa Luxenburg. E, da parte sua, il cineasta ha rifiutato il Premio Gran Torino, perchè: “ I premi sono importanti, il rispetto del lavoro ancor di più. Mi dispiace per il festival, ma più che i festival sono importanti le persone, i lavoratori che hanno un salario da fame. Questo, e l'esternalizzazione, sono il vero problema”.
Ken Loach ha incontrato anche alcuni lavoratori precari della cooperativa Rear, addetti al Museo del Cinema: tra questi Federico Altieri, licenziato per aver indossato una maglietta con scritto “Adesso sospendeteci tutti” dopo che aveva visto una collega licenziata anche lei dopo 11 anni per aver protestato contro condizioni pessime di lavoro. Loach,a questo proposito, ha affermato: “La mia generazione, negli anni '60, parlava di crisi del capitalismo e pensava a una rivoluzione immediata, che poi non c'è stata. Questo però è il momento giusto: dobbiamo organizzarci perchè stanno scardinando quegli elementi che rendono una società civile. Nel mio Paese si toglie il sostegno ai disabili, gli ospedali sono sovraffollati e in mano a multinazionali, i ragazzi sono costretti a stare a casa: sono stati distrutti gli standard della vita civile. Ora serve un modello economico. E' urgente trovarlo”.
Federico e i suoi colleghi hanno ricordato che guadagnavano 5,16 euro all'ora.



Ken Loach

martedì 30 aprile 2013

Strage di operai in Bangladesh: è rivolta





Più di 340 persone decedute, più di mille ferite e tantissime sotto le macerie. Solo 40 i superstiti. Questi sono i numeri della strage avvenuta a Savar, nel sobborgo della città di Dacca, in Bangladesh, a causa del crollo di un edificio di otto piani che ospitava cinque aziende di abbigliamento per l'esportazione.
In un primo momento, sui muri del palazzo - poi accartocciatosi su se stesso - si erano venute a creare delle crepe e i 3000 dipendenti delle ditte erano stati fatti evacuare, ma successivamente era giunto dai dirigenti l'ordine di tornare al proprio posto di lavoro: e si è verificata la strage. Una strage annunciata dato che l'edificio era in condizioni di sicurezza assolutamente precarie e un ingegnere aveva dato parere contrario al rientro dei lavoratori.
E' esplosa, così, una rivolta messa in atto da parte di cittadini e operai dell'industria tessile che sono scesi in piazza, chiedendo addirittura la pena di morte per i responsabili delle vittime del “Rana Plaza”: armati di bastoni e di spranghe, hanno bloccato un'autostrada, danneggiato automezzi, incendiato negozi e bancarelle e dato alle fiamme dei pneumatici. La polizia ha dovuto ricorrere a gas lacrimogeni e e a proiettili di gomma per disperdere i manifestanti. Si tratta dell'esasperazione e della paura di persone che, secondo il comunicato di Human Rights Watch, vedono i propri diritti continuamente calpestati nel Paese asiatico: in particolare i lavoratori del settore tessile che sono sottoposti a turni faticosissimi e percepiscono uno stipendio mensile medio pari a soli 28 euro. E a questo si aggiunge il rischio giornaliero per la propria salute e per la propria incolumità.
A seguito del crollo del palazzo e della strage di lavoratori sono state arrestate otto persone tra cui il proprietario, il direttore amministrativo di due delle cinque fabbriche e due funzionari municipali che, il giorno precedente, avevano assicurato che non c'era alcun pericolo.