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venerdì 11 dicembre 2015

Il vuoto al di qua delle barriere: il razzismo...nel calcio e le parole di un allenatore



di Max Mauro (*) (da La bottega del Barbieri)







Un giocatore dilettante di calcio viene squalificato per dieci giornate per insulti razzisti rivolti a un avversario di origine africana. Capita in Friuli, campionato di prima categoria della provincia di Udine. Così riferisce il quotidiano locale, «Il messaggero veneto». Gli insulti razzisti sono consuetudine domenicale per i calciatori dilettanti di colore, ma il più delle volte non vengono sentiti dall’arbitro e pertanto non finiscono nel referto. Talvolta – raramente – l’autore dell’insulto è così sboccato e sfacciato che l’arbitro non può ignorarlo. Scatta così la squalifica di dieci giornate, introdotta dalla Figc nel 2013 per dare un segnale “forte” di impegno contro il razzismo nel calcio a tutti i livelli, come sollecitato dalla Uefa. In realtà, questa norma è stata applicata in pochissime occasioni.

Nel corso degli ultimi due anni la squalifica per insulti razzisti ha colpito giocatori di diverse categorie dilettantistiche, e perfino un ex giocatore di serie A, Emiliano Bonazzoli, esibitosi in insulti razzisti verso un arbitro di origine immigrata durante una partita di Serie D. A di là del numero di tesserati squalificati, il problema è diffuso, capillare. Il sistema calcio italiano è impregnato di una cultura razzista storicizzata e di pregiudizi verso tutto quello che non è “bianco, italiano, maschio, apparentemente eterosessuale”. Così si spiegano le uscite apertamente razziste del presidente della Figc, Carlo Tavecchio, di quelle altrettanto razziste di Arrigo Sacchi (“troppi neri nelle squadre giovanili”), di Stefano Eranio (“i neri non san difendere”), di Aurelio De Laurentis (“meno male che erano olandesi, mica nigeriani”), di Paolo Berlusconi (“il negretto Balotelli”), di Maurizio Zamparini (“lo zingaro Mutu”), di Marcello Lippi (“nel calcio italiano non esiste razzismo”) giusto per citarne alcuni entrati nelle cronache negli ultimi anni. E che dire delle dichiarazioni dell’ex presidente della Lega Nazionale dilettanti contro il calcio femminile (“quattro lesbiche”) e quelle omofobe dell’allenatore dell’Arezzo (“in campo non voglio checche”).

In questo triste contesto, la storia di Udine diventa significativa soprattutto per le dichiarazioni rilasciate al giornale locale dall’allenatore del giocatore squalificato. Per la cronaca, lo stesso giocatore aveva da poco completato una squalifica di quattro mesi, poi ridotta a due, per aver aggredito l’arbitro durante una partita ufficiale. Nonostante ciò, l’allenatore si perita di difenderlo rivoltando la questione, operando una capriola dialettica inspiegabile con gli strumenti della ragione. Lo fa facendo passare il giocatore razzista e tutti “noi bianchi” (nelle sue parole) come vittime. «Siamo arrivati al punto in cui a essere penalizzati siamo noi bianchi. I giocatori di altra razza possono insultarci passandola sempre liscia, mentre chi offende loro viene punito. Ma forse non è nemmeno il caso di arrabbiarci o meravigliarci, visto che stiamo mettendo in discussione perfino il presepio nelle scuole».

E’ difficile immaginare un’argomentazione così limpidamente, profondamente razzista e allo stesso tempo diretta, comprensibile ai più e destinata a trovare purtroppo consensi. E’ un piccolo saggio di ignoranza storica che andrebbe inserito nei libri di scuola per aiutarci a capire cosa non va in una società che non (ri)conosce il razzismo. Non dimentichiamo che pochi mesi fa il Parlamento italiano ha assolto, con voto trasversale, il senatore della Lega Nord ed ex-ministro Roberto Calderoli che aveva paragonato l’ex ministra Cecile Kyenge a una scimmia. Per i parlamentari di “opposte” fazioni politiche il suo non è un insulto che incita all’odio razziale e non merita di essere giudicato da un tribunale. Conta meno di una querela per diffamazione.

A parte tutto questo, la dichiarazione dell’allenatore di Udine merita una riflessione e una risposta. Non può essere ignorata, perché è molto più grave degli insulti rivolti dal suo giocatore a un avversario di colore e perché fa capire che il problema è più profondo di quello che appare.

Come per altri aspetti, il calcio funziona da amplificatore di sentimenti che scorrono sottopelle nella società e ne rappresentano i tratti meglio di molti testi sociologici o di editoriali giornalistici. In termini rozzi l’allenatore ci dice: il razzismo esiste, ma i razzisti sono “loro”. Per loro si intende tutto quello che è “altro” dall’idea di “italiano” trasmessaci dalla scuola, dalla televisione, dalla politica, dalla società. E’ altro chi ha un colore della pelle un po’ più scuro, èaltro lo straniero in generale, l’immigrato, l’extracomunitario. E’ ovvio che il nero è più “altro” di altri perché quella che è semplicemente una caratteristica somatica assomma nel discorso razzista tutte le altre categorie. E’ l’altro per definizione. James Baldwin, in un illuminante saggio attorno a un suo viaggio in Svizzera negli anni cinquanta del novecento, sottolinea come il nero (the black man) cerca, utilizzando tutte le risorse a sua disposizione, di far sì che il bianco (the white man) smetta di considerarlo un’esotica rarità e lo riconosca come un essere umano. D’altra parte, ricorda Baldwin, è stato l’uomo bianco occidentale a trascinare violentemente il nero dentro la sua storia riducendolo in schiavitù e privandolo irrimediabilmente del suo passato. Baldwin aveva negli occhi la sua stessa storia famigliare, essendo figlio di un figlio di schiavi della Louisiana.

Dunque, le parole dell’allenatore. Come è possibile un simile ragionamento? Da dove nasce un tale vuoto culturale e umano? Perché i grandi veicoli di cultura popolare non fanno uno sforzo per spiegare la società ai suoi cittadini?

Tutte domande che reclamano risposta. Io credo che al di là delle squalifiche quello che può realmente portare un cambiamento, nello sport e nella società, è il dialogo. Il dialogo e l’educazione, intendendo per questo l’intervento formativo delle istituzioni, ma non solo. In questo caso specifico, mi chiedo perché la federazione invece di comminare una squalifica di dieci giornate non ne dia una di cinque ma obbligando lo squalificato a un breve percorso formativo sull’ABC del razzismo. Che so, un incontro di tre ore nella sede della federazione con una persona esperta di interculturalismo e sport. Magari una persona di colore. O l’obbligo ad arbitrare una partita fra bambini di varie origini etniche. Se non si presenta all’incontro la squalifica viene raddoppiata. E’ un’idea, un suggerimento. Ovviamente, nel caso di Udine il percorso formativo sarebbe ancora più necessario per l’allenatore, visto che ricopre la doppia funzione di persona pubblica (rilascia dichiarazioni ai mass media) e di educatore, visto che gestisce un gruppo di giovani uomini, molti ancora ragazzi. La formazione non solo sportiva è il nodo nevralgico del sistema sportivo. L’ignoranza combinata all’arroganza, cioè l’arroganza data dall’ignoranza, trova numerosissimi esponenti nel calcio, a tutti i livelli.

Il problema riguarda non solo gli appassionati di calcio, chi lo pratica e lo gestisce: non è purtroppo nuovo. Quante volte abbiamo dovuto sentire affermare che “sì, insomma, se mi dicono che son grasso mica posso accusarli di razzismo, e cosa vogliono questi, un insulto è un insulto, non c’è differenza tra dare del ciccione a uno o dirgli sporco negro”. Un insulto è un insulto, non c’è differenza. Questo è l’assunto di molte persone, anche laureate, anche impegnate nel sociale. Non è verbo che attecchisce solo nelle menti di moltitudini annebbiate da giornate passate con la televisione accesa e l’occhio alle ultime offerte per un nuovo telefono cellulare. E’ un’idea che ha a che fare con la mancanza di istruzione basica e di informazione.

Un insulto razzista non è un insulto come un altro. Qualsiasi insulto è un gesto violento, che vuole offendere e urtare chi lo riceve. Ma un insulto personale è diretto alla persona o al massimo ai suoi familiari. L’insulto che fa riferimento a un’origine, alla provenienza e soprattutto l’offesa che usa le caratteristiche somatiche – come il colore della pelle – per definire qualcuno (in termini espressamente spregiativi) ha un carico di violenza diverso. Soprattutto ha una storia che non può essere ignorata. E’ un insulto che riguarda moltitudini. Riguarda persone che possono sentirsi comprensibilmente toccate da questo attacco anche senza riceverlo direttamente. Questa è solo una approssimazione dell’insulto razzista. Un tentativo di mirare a un uditorio dall’udito malfunzionante o parzialmente disconnesso come quello rappresentato dall’allenatore sopracitato. L’insulto razzista è solo una componente, la più immediatamente visibile, del razzismo che pervade la società. Per questo non può essere ignorato.

L’insulto razzista va compreso nel quadro di una società, quella italiana, che ha disconosciuto la sua criminogena storia coloniale e le leggi razziali del fascismo (quanto spazio hanno questi temi nei manuali di storia in uso nelle scuole?) e che ha chiamato immigrati perché ne aveva e ne ha bisogno, ma non ha permesso loro e ai loro figli di diventare altro che mano d’opera sottopagata e quando i lavori umili non sono più disponibili o diventano estremamente volatili, lascia loro come destino, spesso, solamente l’emarginazione.

E’ facile dar la colpa a Salvini, alla sua esposizione mediatica, all’arsenale di surreali parabole che infila una dietro l’altra per manipolare la realtà e fare degli immigrati, degli stranieri, il capro espiatorio di tutti problemi. E’ vero, non si può negare la pericolosità di simili discorsi. Allo stesso tempo non va sottovalutata l’importanza della televisione nel dare insistentemente voce a messaggi allucinati e renderli “popolari”. Ma questa è solo una parte della storia. Le parole uscite dal senno dell’allenatore di Udine segnalano un salto di qualità nel razzismo popolare perché identificano una forma di “vittimismo” inedita, almeno in Italia.

Il contesto generale di instabilità economica e sociale (che non è problema esclusivo dell’Italia, va detto, ma trova qui particolare enfasi), i flussi di rifugiati (che fuggono il più delle volte da guerre avviate dall’Occidente), l’idea di un Islam necessariamente ostile reiterata a destra e a manca, contribuiscono a creare un tappeto emotivo di insicurezze dove chi è predisposto ad accettare discorsi razzisti ne diventa latore entusiasta e sordo alla ragione. E riesce perfino a inventarsi vittima. Vittima di cosa? E’ questo che è difficile da comprendere. Serve uno sforzo condiviso per arrivare alle sorgenti di ignoranza. Per esempio, gli stessi che si scandalizzano perché un preside di una scuola multietnica mette in discussione l’opportunità di canti natalizi di una sola religione sono i primi a iscrivere i propri figli in scuole con basse presenze di immigrati. Il pregiudizio è loro, non di chi cerca forme di dialogo che fanno parte della storia di tutte le società, da che mondo è mondo.

Uno sforzo andrebbe anche diretto a comprendere che lo sport, oggi più che mai, va inteso come fenomeno culturale che ha implicazioni nel modo in cui vediamo e capiamo il mondo. Il calcio non può essere lasciato a chi non capisce e non è interessato a fare della società un posto migliore per tutti. Parafrasando quanto scrisse C. R. L. James nel suo straordinario studio sul cricket e il post-colonialismo nei Caraibi potremmo chiederci: cosa capisce di calcio chi solo di calcio sa?

(*) Max Mauro è autore de «La mia casa è dove sono felice» (2005). Nel 2016 manderà alle stampe uno studio sul calcio e i giovani di origine immigrata realizzato in collaborazione con il Cies, Centro internazionale di studi dello sport.



LA VIGNETTA – sulle “gaffes” di Carlo Tavecchio – E’ DI MAURO BIANI.

lunedì 9 novembre 2015

ERRATA CORRIGE - IMPORTANTE

L 'INCONTRO DEL  19 NOVEMBRE presso il Centro Asteria alle ore 19.00

si intitola :

SECONDA GUERRA MONDIALE: gli ideali di allora, la lotta per il bene comune. Cos'è rimasto?


Alla presenza di NICOLETTA BORTOLOTTI autrice del romanzo: " In piedi nella neve"




Ci scusiamo molto per le comunicazioni precedenti !

L'Associazione per i Diritti umani vi aspetta presso il Centro Asteria, in Piazza Carrara 17.1 (ang. Via G. da Cermenate,2 MM Romolo, Famagosta) giovedì 19 novembre, alle ore 19.00 anche per questo incontro.

giovedì 31 luglio 2014

Tavecchio e il razzismo anche nello sport




La segreteria dell'On. Khalid Chaouki ci ha invitati a firmare per la seguente petizione su Change.org e noi, dell'Associazione per i Diritti Umani, lo abbiamo fatto. Per favore, sosteniamola tutti insieme.

   



Crediamo che la frase pronunciata dal candidato alla presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) Carlo Tavecchio:"Qui fanno i titolari quelli che prima mangiavano le banane", sia una frase razzista e di una gravità inaudita, soprattutto se pronunciata da un personaggio pubblico che ha l'ambizione di guidare il calcio italiano.
Lo sport italiano e il calcio in particolare, da anni si trovano di fronte all'offensiva di una minoranza che continua a ostentare slogan e insulti razzisti. Nello stesso tempo va riconosciuto l'impegno delle massime Autorità sportive nazionali e internazionali in una lotta senza quartiere a questa pericolosa deriva attraverso campagne di sensibilizzazione e provvedimenti disciplinari molto severi nei confronti di sportivi e tifoserie che continuano a macchiarsi di gesti e parole razziste.
Dopo tanto impegno per isolare questi fenomeni, non possiamo accettare che il signor Carlo Tavecchio possa rappresentare il calcio italiano e crediamo che il miglior modo per scusarsi dopo questa frase vergognosa, che offende milioni di italiani e "nuovi italiani", sia quello di ritirare la propria candidatura alla presidenza della FIGC.

Michel Platini, Presidente della UEFA
Sepp Blatter, Presidente della FIFA
Govanni Malagò, Presidente del CONI


Tavecchio can't represent italian football

Carlo Tavecchio is the candidate for President of the Italian Football Federation (FIGC). He stated that "We have decision makers that before used to eat bananas", a racist statement, especially serious if pronounced by a public figure who has the ambition to lead the Italian football.
Italian sport and football in particular, are facing the offensive...
Tavecchio can't represent italian football
Carlo Tavecchio is the candidate for President of the Italian Football Federation (FIGC). He stated that "We have decision makers that before used to eat bananas", a racist statement, especially serious if pronounced by a public figure who has the ambition to lead the Italian football.
Italian sport and football in particular, are facing the offensive of a minority that keeps showing racist behaviours. At the same time it must be acknowledged the commitment of the highest authorities in national and international spors for fighting this dangerous drift through awareness campaigns and strict disciplinary actions against athletes and fans that supports racist gestures and words.
After so much effort to isolate those phenomenas, we can not accept that Mr. Carlo Tavecchio may represent Italian football and we believe that the best way to apologize after this shameful sentence, which offends millions of Italians and "new Italians", is to withdraw his candidacy for the presidency of the FIGC.

Tavecchio non può rappresentare il calcio italiano

Crediamo che la frase pronunciata dal candidato alla presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) Carlo Tavecchio: "Qui fanno i titolari quelli che prima mangiavano le banane", sia una frase razzista e di una gravità inaudita, soprattutto se pronunciata da un personaggio pubblico che ha l'ambizione di guidare il calcio italiano.
Lo sport italiano e il calcio in particolare, da anni si trovano di fronte all'offensiva di una minoranza che continua a ostentare slogan e insulti razzisti. Nello stesso tempo va riconosciuto l'impegno delle massime Autorità sportive nazionali e internazionali in una lotta senza quartiere a questa pericolosa deriva attraverso campagne di sensibilizzazione e provvedimenti disciplinari molto severi nei confronti di sportivi e tifoserie che continuano a macchiarsi di gesti e parole razziste.
Dopo tanto impegno per isolare questi fenomeni, non possiamo accettare che il signor Carlo Tavecchio possa rappresentare il calcio italiano e crediamo che il miglior modo per scusarsi dopo questa frase vergognosa, che offende milioni di italiani e "nuovi italiani", sia quello di ritirare la propria candidatura alla presidenza della FIGC.


lunedì 14 luglio 2014

Altro che mondiali !



E' terminato anche il campionato mondiale di calcio 2014 con una pessima figura da parte della squadra e dei dirigenti italiani. Ma non tutto è perduto! Vi vogliamo far conoscere, infatti, un'altra piccola-grande squadra...CasaSport: un team speciale, formato da ragazzi stranieri che cercano, nel gioco di squadra, un momento di svago, di condivisione, di gioia. E chissà...magari anche di riscatto. Sosteniamoli insieme.

Ecco le parole di CasaSport:  




Siamo nati a settembre 2013 per partecipare al Campionato Provinciale di US Acli Milano, che ringraziamo per la grande opportunità che ci ha dato e per la disponibilità con cui ci è venuto incontro.

Siamo una squadra di calcio che vuole essere all'altezza del torneo e delle altre partecipanti. Vogliamo giocare e migliorarci, competere con tutti, fare bene in campo ed essere leali nei comportamenti.
Siamo una squadra di calcio come le altre, che però ha alcune caratteristiche particolari.


Per cominciare, solo di uno di noi è nato in Italia. Tutti gli altri provengono da molti paesi, soprattutto africani: Togo, Egitto, Niger, Marocco, Camerun, Gambia, Ghana, Nigeria, Costa d'Avorio, solo per citarne alcuni. Viviamo in Italia chi da anni, chi da pochi mesi.

Un'altra caratteristica particolare è che tra noi non tutti abitiamo in una casa. O meglio, viviamo in una struttura di accoglienza che per noi è una vera e propria abitazione e che si chiama Casa della carità. Ha sede in via Brambilla, a Crescenzago, accanto al campo dove giochiamo e insieme a noi ci sono anche altri ospiti, italiani e stranieri, giovani e anziani, uomini, donne e famiglie. E' una struttura che accoglie persone in difficoltà aiutandole anche a trovare un lavoro e una casa. Quelli di noi che invece risiedono in un'abitazione sono comunque transitati, in questi anni, dalla Casa della carità. Perché tutti abbiamo alle spalle storie difficili, di guerre e di povertà, da cui siamo fuggiti.

Casasport è oggi rivolto a ragazzi ed adulti, italiani e stranieri, che vedono nello sport e nel calcio una possibilità di integrazione, condivisione e divertimento.

Giochiamo insieme a pallone dal 2009. Ci siamo allenati con tecnici di Inter Campus e partecipiamo regolarmente al Torneo estivo dei centri sociali e delle comunità straniere (nel 2011 lo abbiamo anche vinto!!!) organizzato da Olinda. Però quel torneo dura poco: un girone con tre gare e poi eliminazione diretta dagli ottavi in avanti. Se perdiamo ci tocca aspettare un anno per ritornare in campo.

Per questo abbiamo deciso di iscriverci al campionato di US Acli Milano. Per questo nato è nato il Casasport: perché ci piace molto giocare a pallone e vogliamo farlo per tante partite. Con voglia, passione, coraggio e divertimento. Grazie, dunque, a tutti quelli che condivideranno con noi questa bella avventura!

Alessandro, Camilla, Generoso, Giovanni, Guido, Marco, Paolo, Peppe.


Casasport vuole diventare una realtà sportiva a sottoscrizione popolare.

Cosa significa? Che i soci sostenitori siano a tutti gli effetti i motori di Casasport; questo avviene anche in società sportive molto importanti come il Barcellona F.C.

Cosa significa essere socio? Riceverete a casa la tessera associativa con un numero identificativo: ogni settimana per mailing list potrete avere tutti gli aggiornamenti su risultati e classifiche, potrete venire in prima persona a tifarci nelle gare ufficiali ed inoltre attivarvi sul nostro blog partecipando da tifosi alla vita di Casasport.



Per ulteriori informazioni e per aderire alla campagna di CasaSport: www.limoney.it

giovedì 10 luglio 2014

I mondiali e i bambini di Gaza (e news dalla Striscia)



Prima di archiviare questo campionato mondiale di calcio che ha regalato forti emozioni, nel bene e nel male, vogliamo ricordare la decisione della squadra dell'Algeria che ha deciso di devolvere in beneficienza il premio ottenuto per il risultato raggiunto. Un gesto simbolico di quello che dovrebbe tornare ad essere questo sport.

La federazione algerina è stata la miglior squadra africana in campo, si è battuta fino all'ultimo per arrivare agli ottavi di finale (risultato mai raggiunto in precedenza), ma il goal più bello lo ha fatto al rientro, proprio con la decisione di regalare i 9 milioni di dollari del premio ai bambini della Striscia di Gaza.

Loro ne hanno più bisogno di noi”, ha scritto su Facebook l'attaccante Islam Slimani. La Striscia, infatti, sta attraversando un altro momento delicato e pericoloso dopo l'uccisione dei tre ragazzi ebrei e la rappresaglia che ha visto la morte atroce di un ragazzo arabo.

Nella regione vivono, segregati dall'embargo israeliano, più di un milione di persone: spesso viene a mancare l'elettricità, con gravi danni per le poche strutture sanitarie e per l'approvvigionamento; mancano, infatti, alimenti di prima necessità e medicine. E a pagarne il prezzo più alto, di solito, sono i bambini.

Riportiamo, qui di seguito, un paio di messaggi - e ne attendiamo altri - che un uomo è riuscito, nonostante le difficoltà, a mandarci da Gaza e anche una fotografia di quello che sta accadendo proprio in questi giorni. La persona, che ha dichiarato di non essere del tutto in linea con le decisioni del partito, vuole rimanere anonima per paura di ritorsioni da parte di Hamas...

Una situazione complicata, quella nella Striscia, sia per la guerra con Israele sia per la realtà interna.

Il gesto delle “volpi del deserto”, quindi, diventa ancora più importante. Bravi giocatori sul campo di calcio, persone serie nelle vita.



 يكون صعب جدا بعد الان في غزة بسبب
العثور على المستوطنين الثلاثة المختفين مقتولين في حلحول بالخليل
الجميع هنا خائف سيكون قصف شديد على غزة وممكن حرب

Sarà molto difficile da adesso a Gaza,perchè a Halul vicino a Hebron hanno ritorvato morti i 3 coloni scomparsi
Tutti qui hanno paura che ci saranno bombardamenti pesanti su Gaza e forse la guerra







اكثر من 200 صاروخ من الصباح حتى الان و12 شهيد في غزة
وفي الليل كان هناك قصف شديد جدا جدا بالقرب من منزلي وهذه هي صورة القصف بعد منتصف الليل

Più di 200 razzi dalla mattina fino ad ora, ci sono stati 12 martiri qui a Gaza
Di notte ci sono stati bombardamenti molto pesanti, molto, molto vicino a casa mia e questa è l'immagine del bombardamento dopo mezzanotte







sabato 5 luglio 2014

Per parlare di disabilità oltre i preconcetti



Oltre le barriere è il nome del programma radiofonico ideato e condotto da Andrea Ferrero e Andrea Mameli per Radio X Cagliari Social Radio (96,8 Mhz, live e podcast dal sito http://www.radiox.it). L’idea è nata dopo che Andrea Mameli ha ascoltato Andrea Ferrero parlare in pubblico della sua disabilità (nel 1998 la retinite pigmentosa gli ha portato via, gradualmente, la vista) e i due hanno deciso di portare in radio le storie di chi non si arrende di fronte a ostacoli di varia natura e di chi aiuta a superarli.
Radio X con il progetto Cagliari Social Radio è stato il naturale approdo di questo progetto: dal 18 giugno 2014 la trasmissione va in onda ogni mercoledì alle 20 (e in replica il giovedì mattina e la domenica mattina).
La prima puntata era dedicata alla storia di Andrea Ferrero (intervistato da Andrea Mameli) e al superamento delle barriere che un non vedente incontra ogni giorno.
Ospite della seconda puntata (andata in onda il 25 giugno) era Cinzia Mocci: una dipendente dell’Università di Cagliari che già da studentessa si era battuta per il superamento delle barriere architettoniche che impedivano alla sua sedia a ruote di raggiungere le aule per le lezioni e gli esami.
Nella terza puntata (mercoledì 2 luglio) Andrea Ferrero e Andrea Mameli intervistano il radiocronista Vittorio Sanna, voce storica del Cagliari nei campionati di calcio, il quale racconta la sua storia professionale e spiega come la voce può consentire di “vedere” gli eventi sportivi.
Seguiranno altre 4 puntate, fino a tutto luglio, nelle quali Andrea Ferrero e Andrea Mameli intervisteranno altre persone che hanno lottato per superare difficoltà di vario genere connesse con la disabilità ma anche istruttori sportivi e formatori impegnati nel fornire preziose indicazioni per il superamento delle barriere.
«Oltre le barriere» è anche un blog –
http://oltrelebarriereradiox.blogspot.it/ – nel quale saranno raccolti altri contributi sul tema, interviste, approfondimenti, link.
Per commentare le puntate o per suggerire temi da affrontare:
oltrelebarriere@radiox.it
 


(da: danielebarbieri@wordpress.com)

venerdì 13 giugno 2014

Quel calcio al popolo brasiliano


Ci  siamo: da poche ore si è dato il via ai mondiali di calcio in Brasile. A distanza di qualche decennio da quel 1950 quando il Brasile fu sconfitto, in finale, dall'Uruguay e questo causò la morte per infarto di alcuni tifosi sugli spalti del celebre stadio Maracanã, suicidi e depressioni: una sconfitta non solo sportiva. Un ulteriore sconfitta di un Paese ancora povero che riponeva, nell'evento, una speranza di riscatto anche da quegli stessi gerarchi che avevano letto i discorsi vittoriosi ancor prima
Oggi il Brasile sta diventando una delle potenze economiche emergenti, ma la strada è ancora lunga soprattutto per quella gran parte della popolazione che vive ai margini. E allora un evento sportivo, oggi mediaticamente imponente, dalla valenza commerciale spropositata, diventa la miccia per sfogare rabbia ed esasperazione.



Nel pomeriggio di ieri, 12 giugno 2014, in attesa della cerimonia di inaugurazione e della prima partita tra Brasile e Croazia, a San Paolo è entrato in azione il Movimento Não vai ter Copa! (che comprende sette gruppi antigovernativi), causando incidenti e scontri con la Polizia in cui sono state ferite anche due giornalsite della CNN, una colpita da schegge di vetro e l'altra da pallottole di gomma che le hanno causato la frattura ad un braccio.

La Policia Militar ha reagito lanciando gas lacrimogeni e usando i manganelli; i manifestanti hanno lanciato bombe molotov. Insomma, un'atmosfera poco festosa tanto che la Presidente del Paese, Dilma Roussef, ha deciso di non pronunciare il discorso di apertura della manifestazione. Un Paese piegato anche dagli scioperi che hanno toccato le città principali. Gli slogan più frequenti – con i quali i manifestanti esprimono i motivi della loro protesta – sono ad esempio: “ Soldi per la Coppa, niente per i salari”, “FIFA torna a casa in Svizzera”, “Hey, FIFA; pagami le bollette”. Famiglie in difficoltà, mancanza di lavoro, diritti negati per i più disagiati. Quegli 11 miliardi di dollari spesi per l'evento sportivo non vanno giù a chi chiede risorse per la sanità, la scuola, gli alloggi e i trasporti. Tifiamo le squadre del cuore, godiamoci lo spettacolo, ma se il nord e il sud del mondo facessero davvero squadra allora sì che vinceremmo tutti. La violenza dei black bloc o dei poliziotti, invece,è sempre sconfitta, umana e sociale.

 






mercoledì 7 maggio 2014

Un calcio alle favelas

Foto di Ohrem-Leclef

Meno quaranta, meno trentanove, meno trentotto...gli appassionati di calcio stanno sicuramente facendo il conto alla rovescia: mancano meno di 40 giorni all'inizio dei mondiali di calcio 2014 in Brasile. Ma il campionato e le Olimpiadi del 2016 rischiano di far perdere di vista i problemi seri che tengono sotto scacco milioni di persone, in particolare quelle che vivono nelle favelas arroccate vicino alle magalopoli.

A Rocinha, una delle più grandi bidonville di Rio de Janeiro, una notte della settimana scorsa, si è verificata una sparatoria violentissima tra poliziotti e narcotrafficanti che ha causato la morte di un criminale e il ferimento di altre persone; nel complesso di favelas di Alemao, occupato dalla polizia nel 2011, si sono verificati altri scontri che hanno avuto come conseguenza il ferimento di quattro agenti. Gli scontri vedono protagoniste anche le favelas che fanno parte del progetto dell' Unità di Policìa Pacificadora (UPP) adottato nel 2007 dal segretario della Sicurezza pubblica di Rio per espellere i narcotrafficanti ma questo, evidentemente, non è bastato e, inoltre, sono tantissime le vittime innocenti degli scontri tra polizia e trafficanti.
Foto di Oherem-Leclef

Risulta difficile scardinare il potere della criminalità, soprattutto all'interno delle aree più disagiate, nel momento in cui i poliziotti non sono riusciti a creare una relazione di fiducia con gli abitanti delle comunità e il governo non ha messo in piedi progetti di recupero sociale rivolti sia ai luoghi sia alle persone. Ecco, le persone appunto.

Per ospitare altre migliaia e migliaia di turisti - che andranno in Brasile per assistere alle manifestazioni sportive - si stanno sistemando strade, alberghi, edifici, ma tutto questo viene pagato, giorno dopo giorno, dai brasiliani più poveri. E' stata costruita, ad esempio, la “TransOlympic Highway” al posto di piccole case con giardino che sono state rase al suolo: lo sfratto degli inquilini è avvenuto con la forza e senza preavviso. Gli stadi “usa e getta” , che saranno usati solo per i due eventi sportivi, sono stati costruiti sulle aree di molte favelas i cui abitanti sono stati cacciati senza preoccuparsi di dare loro un alloggio alternativo.

Da una parte si stanno verificando, quindi, casi sempre più numerosi e gravi di violenza, dall'altra molti cittadini stanno mettendo in atto una vera e propria resistenza, innalzando una torcia olimpica davanti alle loro baracche per dire “Io da qui non mi muovo”. Il fotografo Oherem-Leclef ha ritratto queste persone nel bel libro Olympic favela, pubblicato da Damiani.

E intanto sui muri delle baracche degli sfrattati la polizia scrive con lo spray “Vai com deus”.


venerdì 21 marzo 2014

La X settimana contro il razzismo




Pubblichiamo per voi il lancio della X SETTIMANA CONTRO IL RAZZISMO, indetta dall'UNAR.


Come ogni anno, in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, che si celebra in tutto il mondo il 21 marzo, l’UNAR l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità ha organizzato la Settimana di azione contro il razzismo, campagna di sensibilizzazione giunta ormai alla sua decima edizione, in programma dal 17 al 23 marzo 2014.

L’iniziativa prevede il lancio di una campagna di sensibilizzazione e di informazione con I’obiettivo di promuovere i valori del dialogo interculturale nell’opinione pubblica e, in particolare, fra i giovani. Durante la Settimana sono previste iniziative nel mondo della scuola, delle università, dello sport, della cultura e delle associazioni al fine di coinvolgere Ia cittadinanza sui temi della diversità e promuovere la ricchezza derivante da una società multietnica e multiculturale.

A tal proposito, in occasione del decennale, I’UNAR con la collaborazione dell’ANCI e del MIUR ha chiesto a tutti i Comuni, alle scuole, ai cittadini, un semplice gesto da compiere durante il 21 marzo, che testimoni I’adesione alla campagna, ovvero colorare di arancione la “propria città, la propria scuola” o realizzare momenti di incontro e di riflessione sui temi della prevenzione della discriminazione razziale e della tutela dei diritti umani.

Numerosissime le adesioni fino ad oggi, che porteranno oltre 150 comuni ed enti locali, e tantissime scuole ed associazioni a compiere iniziative simboliche all’insegna dell’arancione, scelto come colore distintivo della lotta al razzismo in Italia.

Ufficialmente la settimana prenderà il via lunedì 17 marzo alle ore 10, presso la facoltà di Economia dell’Università Sapienza di Roma con il convegno “I costi economici della discriminazione” con l’apertura dei lavori da parte di Giuseppe Ciccarone, Preside della Facoltà di Economia e di Marco De Giorgi, Direttore generale dell’UNAR. Il convegno sarà moderato da Barbara De Micheli della Fondazione Giacomo Brodolini.

Nel pomeriggio, sempre a Roma presso la Camera dei Deputati – Sala delle Colonne, Palazzo Marini è in programma il dibattito “Raccontare l’Italia che cambia con le migrazioni”, coordinato dall’on. Khalid Chaouki.

Il 18 marzo presso la camera di commercio di Napoli, CGIL CISL UIL della Campania, presentano i risultati dell’indagine conoscitiva sui fenomeni di discriminazione razziale “I nostri diritti sono anche i tuoi”. Il progetto, sostenuto dall’UNAR, vuole evidenziare le criticità avvertite e vissute dai cittadini immigrati presenti in Campania ed offrire uno strumento alle forze politiche, istituzionali e sociali, per avviare una discussione costruttiva su questi temi.

Nel corso della Settimana le amministrazioni comunali di Torino e Napoli hanno annunciato che illumineranno simbolicamente di arancione, rispettivamente, la Mole Antonelliana ed il Maschio Angioino. Stessa iniziativa a Piacenza e a Monserrato, mentre tantissimi edifici, piazze, biblioteche di comuni, grandi e piccoli, esporranno striscioni, bandiere o drappi arancioni, da Nord a Sud, da Treviso a Monteroni di Lecce.

La partecipazione delle amministrazioni comunali, testimonia quest’anno, tra le tantissime iniziative descritte nel programma, un segnale di forte volontà di integrazione, ad esempio con cerimonie di conferimento della cittadinanza onoraria ai giovani stranieri nati in Italia, organizzate, tra gli altri, dal comune di Torre Pellice (TO) e di Mandello del Lario (LC).

Anche lo SPRAR, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, racconterà attraverso foto, video e parole le esperienze di convivenza tra rifugiati e cittadini italiani.

Dal mondo del calcio al mondo del lavoro, alla scuola, alla cultura e all’intrattenimento, tante le opportunità per riflettere su stereotipi, pregiudizi e discriminazione.

Il 20 Marzo alle ore 12, presso la Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si svolgerà la conferenza stampa di lancio dell’Asta “Espelli il Razzismo dal Calcio” con le magliette di calciatori famosi. L’iniziativa realizzata grazie al supporto dell’Associazione Italiana Calciatori e Lega Calcio, si svolgerà alla presenza del Vicepresidente dell’Aic Simone Perrotta ed il ricavato sarà destinato a progetti di integrazione di bambini stranieri attraverso lo sport.

Nella Giornata mondiale contro il razzismo, il 21 marzo ci sarà una grande iniziativa pubblica a Torino, presso il Palazzo dei Senatori del Comune, con il convegno “Il razzismo in Europa e in Italia” organizzato da CIE in collaborazione con UNAR, in occasione della presentazione dello Shadow Report 2013 dell’ENAR. Al dibattito saranno presenti il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, l’ex Ministra Cécile Kyenge Kashetu e il Direttore de La Stampa Mario Calabresi.

Sempre nella stessa giornata, a Torino, ci sarà la proiezione speciale per le scuole del Film “La mia Classe” di Daniele Gaglianone, mentre dall’altra parte della Penisola, nelle scuole di Marsala e di Agrigento, il comico di Zelig Salvatore Marino presenterà lo spettacolo “Abbronzato più o meno Integrato”.

La settimana inoltre vedrà un forte impegno dei giovani e delle seconde generazioni che, coordinati dalla Rete Near, improvviseranno eventi e flash mob in molti comuni di Italia.

La campagna di quest’anno all’insegna del colore “arancione” potrà essere testimoniata anche da singoli cittadini invitati ad indossare per un giorno un capo di abbigliamento di colore arancione, a utilizzare sui socialnetwork i tag #unar #noalrazzismo #coloradiarancione, ed a partecipare al concorso fotografico Istagram italia “Colora di arancione il tuo istagram”.

Per ulteriori informazioni sulle varie iniziative organizzate in tutta Italia, potete consultare il sito www.unar.it

lunedì 4 novembre 2013

Quando il gioco del calcio è scuola di vita



Si chiama Afronapoli, l'associazione sportiva dilettantistica nata nell'ottobre del 2009 con l'obiettivo di favorire la convivenza tra napoletani e immigrati e di combattere le discriminazioni.
L'iniziativa parte da Antonio Gargiulo, Sow Hamath e Watt Samba Babaly che hanno selezionato i calciatori che provengono da molti Paesi africani - Senegal, Costa d'Avorio, Nigeria, Capo Verde, Niger, Tunisia - ma anche da altre aree del mondo, come Asia , America latina ed Est Europa. Molti di loro abitano nelle zone più disagiate della città partenopea e nella parte più popolare del centro storico: vivono, infatti, nei quartiri Stella, Sanità, Materdei, Arenaccia.
Una squadra che rispetta le diversità: tutti i giocatori hanno nazionalità diverse, alcuni hanno un lavoro e altri no, molti fanno ancora fatica a parlare italiano; spesso sono rifugiati politici, altri sono ragazzi nati e cresciuti in Italia e appartengono alla cosiddetta “seconda generazione” , o meglio sono i “nuovi italiani”.
Nel testo di presentazione della squadra si legge che lo sport è un potenziale strumento di aggregazione e di coesione sociale e che, il campo di calcio in particolare, è il luogo in cui l'interazione sembra essere riuscita in molti casi (e questo dovrebbe essere di sempio per le partire di campionato e per le gare internazionali, purtroppo ancora rovinate da cori e insulti dal sapore razzista). L'AfroNapoli United, invece, vuole attenersi al principio secondo il quale lo sport deve essere, oltra a una disciplina per il fisico, anche un veicolo di valori etici e sociali.
La scorsa estate, per la prima volta, il team dei giocatori stranieri ha partecipato ad un campionato di Fgci e ed è iscritto alla Terza categoria, che partirà a novembre, grazie al fatto che le modifiche al regolamento della Federazione hanno reso più agevole l'accesso ai giocatori migranti. Parlando dei risultati della “sua” squadra, Gargiulo ha affermato: “Il bilancio è più che positivo. Abbiamo dato l'opportunità di giocare a pallone a decine di ragazzi. Abbiamo unito persone con esperienze completamente diverse tra loro, che ora si frequentano anche fuori dal campo. Con tutti suoi difetti il calcio è uno strumento straordinario per abbattere le barriere, prima di tutto quelle comunicative. Ci riesce quasi sempre e lo fa molto in fretta”.
Interessante, infine, anche sottolineare che il ritiro estivo della squadra è stato fatto a Chiaiano, sul primo terreno agricolo sequestrato alla camorra nel napoletano, in una zona infestata dai veleni e dai rifiuti tossici: “Questo è il territorio di chi vive qua e anche di chi qui è arrivato”, ha continuato Gargiulo, “Dobbiamo averlo a cuore e sensibilizzare l'opinione pubblica sulla battaglia contro la criminalità organizzata e per la difesa dell'ambiente. Senza una coscienza sociale non c'è vera integrazione”.

martedì 28 maggio 2013

La Uefa: stop al razzismo


Dal prossimo 1° giugno entreranno in vigore le nuove norme contro casi di razzismo.
Nei giorni scorsi si è riunito, a Londra, il congresso delle 53 federazioni nazionali il cui Comitato Esecutivo ha deciso che le norme riguarderanno le gare internazionali organizzate dall'UEFA e, per quanto riguarda l'Italia, il presidente della Figc, Abete, ha affermato che verranno inserite nel codice di giustizia sportiva, affermando: “ Porterò le indicazioni Uefa in Consiglio federale e il nostro codice di giustizia cambierà di conseguenza”.
In caso di cori, striscioni, slogan a sfondo razzista e di comportamenti discriminatori sugli spalti, l'Esecutivo ha deciso che, per la partita successiva all'accaduto, verrà chiuso il settore dello stadio coinvolto; per la recidiva è prevista la chiusura dell'impianto con una multa di 50mila euro. Un cambiamento di rotta, quindi, se si considera che, secondo il nostro codice attuale, è prevista un'ammenda nel primo caso, un'ammenda con diffida per la recidiva e, solo alla terza occasione, la chiusura dello stadio.
Inasprite anche le norme che vedono coinvolti i tesserati, compresi i dirigenti e i calciatori; se a compierli dovessero essere ufficiali di gara e incaricati della giustizia sportiva (che, nel nostro Paese, sono gli uomini della procura federale), la sanzione sarà di 10 turni di squalifica.
La Fifa, inoltre, fisserà regole generali contro il razzismo e i provvedimenti di cui già si parla sono: l'inserimento della figura di un commissario incaricata di individuare gli atti di razzismo presenti nello stadio; l' attribuzione di un'ammonizione o di una multa per la prima infrazione lieve e, a seguire, la decisione di giocare la partita a porte chiuse; per la recidiva sono previsti punti di penalizzazione, retrocessione e l'esclusione dalla competizione.
Politica di tolleranza zero, quindi, da parte della Uefa e di tutto il mondo del calcio, come era anche emerso attraverso la risoluzione adottata dal Consiglio Strategico per il Calcio Professionistico, del 27 marzo 2013, a Sofia tanto che, per approfondire l'operazione di “pulizia” del settore, agli organi disciplinari Uefa, inoltre, è stata accordata piena libertà di agire nel caso in cui fossero accertate di azioni di combine, di corruzione e di doping.
Infine, il Comune di Milano ha lanciato la proposta di un fondo nazionale antirazzismo: una proposta per prendere posizione contro i recenti fatti che hanno visto i calciatori, Mario Balotelli e Kevin Prince Boateng, vittime di insulti e cori offensivi. L'assessore allo Sport, Chiara Bisconti, ha sottolineato che il fondo potrebbe essere utilizzato: “per iniziative di sensibilizzazione e di educazione così che le ammende possano diventare utili risorse per il territorio, per finanziare attivitità di prevenzione”. Il fondo nazionale antirazzismo, infatti, verrebbe finanziato con le migliaia di euro che, ogni anno, le società calcistiche devono pagare per colpa di cori o comportamenti discriminatori.

domenica 17 febbraio 2013

La squadra di calcio israeliana contro l'acquisto di due giocatori musulmani

La squadra israeliana è il Beitar Gerusalemme: i suoi tifosi sono stai protagonisti, negli anni, di episodi e aggressioni razziste nei confronti delle minoranze etniche e religiose, al grido di “Il Beitar sempre puro” e , domenica scorsa, hanno ripreso con le pratiche discriminatorie, durante la partita con il Bnei Sakhnin, un'altra squadra israeliana a maggioranza araba: 400 poliziotti e 200 guardie private , schierati al Teddy Stadium, hanno impedito la scoppio della violenza tra le due tifoserie.
Ma non è bastato. Il giocatore Gabriel Kadiev – nuovo acquisto del Beitar e primo non ebreo nella storia del club – è stato oggetto di insulti e cori razzisti fin dal suo ingresso in campo.
Il Beitar e la squadra del quartiere sudoccidentale di Gerusalemme e si è sempre “vantata” di non avere , tra le sue fila, né arabi né musulmani, ma l'annuncio, da parte dei dirigenti, dell'acquisto di Kadiev e di Zaur Sadaev (anche lui ceceno e musulmano) ha fatto scoppiare il risentimento dei tifosi.
Ma chi è il presidente della società israeliana? Si tratta di Arcadi Gaydamak, trafficante d'armi di origine russa e presidente anche del partito di estrema destra - il Social Justice (!) - e amico del presidente ceceno Kadyrov, accusato di ripetute violazioni dei diritti umani. Nonostante queste premesse, Gaydamak ha confermato l'acquisto, per la sua squadra, dei due giocatori ceceni e musulmani i quali sono accolti, a ogni allenamento, da sputi e parolacce e sono costretti a vivere sotto scorta per paura di essere aggrediti dalla loro stessa tifoseria.
Il Presidente israeliano, Shimon Peres, ha scritto una lettera alla Football Association in cui si legge che: “Il razzismo ha colpito il popolo ebraico in un modo più invasivo rispetto a qualsiasi altra nazione nel mondo. Tutto il paese è sconvolto da questo fenomeno e non sarà mai d'accrdo nel venire a patti con esso”. Anche l'ex primo Ministro ha detto di non voler più assistere a questi episodi e ha aggiunto che: “ Si tratta di una questione che riguarda tutti noi. O riusciremo a tagliar fuori questo gruppo di razzisti o siamo tutti come loro”. 



martedì 29 gennaio 2013

L'Egitto si infiamma ancora


Era una sera di febbraio, di un anno fa, a Port Said, sulla costa del Mediterraneo.
Una sfida di campionato di calcio si è trasformata in una tragedia. Due squadre in campo: Al Ahly, i cui ultras sono considerati tra le menti della rivoluzione che portò alla cacciata di Mubarak e Al Masri, i cui tifosi sono fedeli, invece, al regime del raìs.
Ufficialmente si era parlato di “scontri tra tifoserie rivali” , invece si è trattato di una resa dei conti a sfondo politico, di una spedizione punitiva – con mazze e coltelli – che ha visto come vittime i tifosi dell'Al Ahly, con il risultato (purtroppo non calcistico) di 74 morti e centinaia di feriti.
Nel frattempo si è giocata la Champions africana e l' Al Ahly ha vinto contro l'Esperance di Tunisi, ma si è trattato di un amaro successo dato che la squadra non ha potuto disputare nemmeno una partita, sostenuta dai suoi tifosi, a Il Cairo.
Ieri, 26 gennaio 2013, è stata emessa la sentenza nel processo per quel massacro: la corte ha chiesto la condanna a morte per 21 dei 74 imputati. Per legge le condanne dovranno essere confermate dal Gran Muftì d'Egitto; la sentenza per gli altri imputati – tra cui nove poliziotti e tre manager della squadra avversaria – sarà pronunciata il 9 marzo.
Centinaia di ultras e tifosi dell' Al Ahly hanno festeggiato la sentenza nei pressi della sede del club: il padre di un ragazzo di 17 anni morto nell'attacco allo stadio ha detto: “Ora voglio vedere quegli uomini morire davanti ai miei occhi, come loro hanno visto l'omicidio di mio figlio” e un altro tifoso ha aggiunto: “La nostra situazione a Port said è molto grave perchè i bambini vengono presi dalle loro case e sono costretti a indossare le magliette verdi”, facendo riferimento alle divise della squadra dell' Al-Masry.
Molti attivisti ed osservatori sono convinti che l'attacco di un anno fa sia stato premeditato. Alla lettura della sentenza, i parenti delle vittime hanno esulato al grido di “Viva la giustizia!” e “Allah akhbar”, ma in città regna il caos. Negozi e uffici sono stati chiusi, nelle strade sono stati dati alle fiamme copertoni di auto; nei pressi del Ministero dell'Interno centinaia di supporters dell'Ahly hanno chiesto che vengano giudicati anche i poliziotti che, all'epoca, secondo loro, non hanno agito per fermare la tragedia . E la Polizia ha risposto con lancio di lacrimogeni e proiettili veri. L'esercito è schierato in tutta la città per contenere la violenza.
Mentre il presidente, Mohamed Morsi, ha cancellato un viaggio in Etiopia: avrebbe dovuto recarsi ad Addis Abeba per partecipare al summit dell'Unione Africana; ieri, invece, ha dichiarato ieri lo stato d'emergenza nelle città di Port Said, Suez e Ismalia dopo giorni di proteste violente e scontri che hanno fatto almeno 33 vittime. 

 


lunedì 21 gennaio 2013

Ancora razzismo nel mondo del calcio

Dopo l'episodio accaduto qualche giorno fa, dobbiamo ancora parlare di calcio e razzismo.
Ed è ancora coinvolta la Pro Patria.
Sabato scorso, infatti, durante un incontro tra le formazioni giovanili della Berretti, la partita Casale-Pro Patria è stata interrotta a causa di un insulto razzista nei confronti di un giocatore, Fabiano Ribeiro.
La Pro Patria esclude l'episodio razzista, mentre il tecnico della formazione di casa ha dichiarato: “ Quello che è accaduto questa sera è un fatto grave e vergognoso, che va preso nelle sue giuste proporzioni e lo è ancora di più se si pensa che è avvenuto all'interno di una partita giocata tra ragazzi. E' tempo di dare un segnale forte considerato che già ci era capitato in precedenza di sentire insulti razzisti. Un fenomeno che va arginato.
La Lega Pro ha, intanto, deciso di rivolgersi alla Procura federale. Il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, ha sostenuto che “se dall'inchiesta risultasse che si è compiuto un atto di razzismo, La Lega Pro prenderà tutti i provvedimenti necessari per condannare il gesto. Tali comportamenti razzisti non possono essere più ammessi e tollerati. Andremo fino in fondo all'indagine, porteremo avanti una lotta senza quartiere, non sono questi i valori che il calcio e la società devono trasmettere”.




sabato 5 gennaio 2013

Calcio e razzismo


C'era una volta un'epoca in cui il gioco del calcio era uno sport sano e divertente. L'epoca dei grandi campioni, delle grandi squadre (soprattutto italiane) e quella era l'epoca in cui il gioco del calcio era metafora della vita all'interno di una società funzionante.
Da qualche tempo, invece , il calcio italiano si è trasformato. E anche la società stessa lo ha fatto. Il mondo dei calciatori e dei dirigenti si è rivelato marcio, abbruttito da partite truccate, scommesse e denaro sporco. Molti allenatori non allenano più ai valori corretti, molti giocatori non seguono più le regole, i campioni non sono “generosi” in campo per far ottenere alla squadra il risultato migliore.
Ma non finisce qui.
A peggiorare la situazione, da un po' di tempo - anzi, da troppo tempo - i cori che incitavano la squadra del cuore o l'atleta più bravo si sono trasformati in cori sì, ma di insulti, fischi, versacci rivolti ai giocatori stranieri. A volte gli slogan riguardano gli “ebrei” (termine usato dai facinorosi in senso offensivo e negativo), ma ancor più spesso gli slogan e le ingiurie vengono rivolti ai giocatori neri, come è capitato solamente due giorni fa a Busto Arsizio (VA) durante la partita amichevole tra Milan e Pro Patria, altra storica società milanese.
Il 2013 non è iniziato nel migliore dei modi se ragazzi sportivi – come Boateng, Niang, Emanuelson, Muntari – vengono offesi dai tifosi avversari. Boateng ha deciso di reagire: si è tolto la maglia, ha preso il pallone in mano e lo ha lanciato contro la tribuna dove si trovavano i fanatici intolleranti. E la partita è stata sospesa.
Ma non si tratta solo di un gesto di esasperazione e di un incontro saltato. Si parla di qualcosa di più importante e di più profondo.
E' uno, l'ultimo, dei numerosi episodi che danno un allarme, che sono il segno di una malattia sociale. Di una società ancora incivile, ineducata e violenta, perchè anche le parole sono un'arma. Dalle parole soprattutto da certe parole, possono scaturire stereotipi, opinioni scorrette, comportamenti aggressivi.
Molti politici hanno condannato l'accaduto ( Roberto Maroni, Roberto Formigoni, il sindaco Giuliano Pisapia “ Da interista, esprimo il mio apprezzamento al Milan) così come i dirigenti delle squadre e della FIGC. Ma tutta la società civile deve provare vergogna e mobilitarsi affinchè questi episodi non cadano nel dimenticatoio, ma vengano puniti severamente. Perchè non si tratta di un gioco, si parla di convivenza, rispetto, giustizia e di molto altro ancora che ci riguarda da vicino e che che riguarda tutti noi.