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martedì 26 maggio 2015

Ritratto di famiglia con bambina grassa: un inno alle donne, di ieri e di oggi


Pubblicato da Mondadori, Ritratto di famiglia con bambina grassa, della scrittrice e giornalista Margherita Giacobino, è subito diventato un successo. Maria, la madre amatissima, astro nel cielo dell'infanzia, e il padre Gilin, l'uomo di vento; Michin, la caustica e brillante prozia zitella, mai conosciuta ma vicina come una gemella d'anima; e poi Polonia, la zia ostetrica dolce e gaudente... Ma soprattutto c'è magna Ninin, la zia con cui Margherita è cresciuta, brusca e brontolona, sempre presente e insostituibile, «l'origine e l'archetipo. Ninin l'instancabile, Mulier Fabricans». Sì, perché Margherita Giacobino, classe 1952, è cresciuta in una famiglia di donne, e sente più che mai vive le proprie radici silenziose e forti. Nel ripercorrere le ramificazioni della propria famiglia, attraversa oltre un secolo di storia italiana: dalle campagne del Canavese alla fine dell'Ottocento alla Germania in cui il padre viene fatto prigioniero durante la Seconda guerra, dal boom economico fino a oggi. Seguendo le tracce della propria infanzia con l'attenzione e la cura di un archeologo, interroga i suoi familiari, li racconta, ridà loro vita con afflato lirico e acume antropologico, con una scrittura magistrale, con nostalgia e ironia. Con infinito affetto. Perché solo tramite chi ci ha preceduto possiamo arrivare a conoscerci davvero.



L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato per voi Margherita Giacobino. La ringraziamo molto per queste sue parole.





Nel suo ultimo lavoro racconta la storia della sua famiglia tutta al femminile: c'è complicità, oggi, tra le donne?


Nel mio ultimo libro, Ritratto di famiglia con bambina grassa, parlo di una famiglia, la mia, in cui le donne erano molto unite, lavoravano insieme e si aiutavano. Non una famiglia idilliaca, ma una in cui ci si voleva bene e ci si dava riconoscimento a vicenda. Questo è stato molto importante per me, mi ha permesso di fare delle scelte libere nella vita, sentendomi sostenuta dai miei, soprattutto da mia madre.

La parola complicità secondo me non è quella che meglio esprime ciò che mi piacerebbe ci fosse tra donne, cioè la capacità di riconoscersi e sostenersi a vicenda - ma anche di criticarsi, di discutere quando è il caso. Riconoscere alle altre una forza, dei risultati, dei successi, e anche degli errori - essere in grado di parlarne insieme e di insegnarsi qualcosa a vicenda, scambiarsi affetto e buonumore quando si può - (non sempre) - questo sarebbe bello. Attualmente accade solo in parte, credo purtroppo in minima parte. Molte donne sono, ora come in passato, intente a proteggere e salvaguardare un qualche uomo, e a considerarsi insufficienti e incapaci di costituire per se stesse e per le altre delle interlocutrici degne di ascolto. Un grande spreco.



La storia personale è intrecciata alla grande Storia: quali sono le tappe principali del percorso che ha tracciato nel libro, soprattutto in termini di diritti negati o acquisiti?




Nella storia della mia famiglia (che comincia molto prima che io nascessi, a fine Ottocento) ci sono dei momenti di conquista di libertà e diritti, come quando la mia prozia, che all’epoca è una bambina di 12 anni, scende in città dalla montagna per andare a lavorare in fabbrica, sottraendosi così all’autorità e al controllo della famiglia paterna, e aprendo la strada all’emancipazione delle sorelle e della madre. Per me è stato soprattutto importante segnalare come le scelte di dignità e di indipendenza personale fossero collegate al lavoro, e alla possibilità di disporre del proprio denaro, cosa che non era affatto scontata per le donne. Anche il non sposarsi poteva essere, e per le mie zie è stata, una scelta di libertà, in un’epoca in cui il matrimonio era ancora un’istituzione fortemente patriarcale. E poi un’altra tappa importante è stata, per mia madre, la separazione legale in una situazione in cui i debiti di suo marito mettevano in pericolo la sua attività, il suo futuro e il mio. Anni dopo, mia madre ha fatto propaganda tra le sue conoscenze per la legge sul divorzio, e più tardi (scandalizzando molte persone del paese) per quella sull’aborto.



Si può affermare che con questo romanzo, come nelle altre sue opere, vengano affrontati i temi dell'amore (anche omosessuale) e dell'identità?



L’amore è un tema fondamentale in questo libro, anzi è l’energia da cui nasce. L’amore non è soltanto passione e scelta sessuale - mi premeva parlare di amore senza aggettivi, l’amore per la madre, per la donna amata, per i vecchi che mi hanno voluto bene da piccola… Come Audre Lorde, ritrovo nelle mie antenate la forza delle donne che si amano e lavorano insieme, siano essere sorelle o amanti.

Parto dalla mia famiglia materna per rivedere quello che è perduto per sempre nella dimensione del presente, ma che è vivo dentro di me, parte di me: luoghi, paesaggi, miti, passioni e paure, modi di dire, ciò che dà senso alla vita e anima il linguaggio. Questo libro è anche una discesa all’interno di un ‘io’ per vedere quel che c’è di ‘altri’ in me, per riconoscermi figlia di, nipote di, erede di tanti, con le loro abitudini e stranezze, le loro sofferenze e il loro modo di prendere in giro la vita. Un piccolo viaggio all’interno di quel mistero che è ogni essere umano, simile a tanti, diverso da tutti; e anche una ricerca archeologica sui frammenti della memoria, e i disegni che se ne possono ricomporre.



Pare di capire che non le interessi molto il “politically correct”...



Se per politically correct si intende la convinzione di pari diritti per tutti, e la volontà di non svilire nessuno con pregiudizi e stereotipi, mi sembra un ottimo punto di partenza a cui forse un giorno arriveremo, se ci comportiamo bene. Ma se invece si tratta dell’enunciazione di nobili principi o di minute rivendicazioni che serve a mettere chi la fa dalla parte della ragione e gli altri dalla parte del torto, la trovo una cosa che, al suo meglio, può essere fonte d’ispirazione per la satira.



Perchè la scelta di usare anche il dialetto?



Perché è la mia lingua madre. Prima della televisione, nessuno era nato ‘in Italia’, eravamo tutti nati in una qualche città, paese, campagna dell’Italia. E parlavamo tutti diverso. Oggi si parla tanto di salvaguardare la diversità, proprio perché la diversità sta per sparire, in fatto di linguaggi come di tante specie di piante e animali. Ho voluto rivolgere un pensiero d’affetto alla lingua che ha dato forma ai miei primi pensieri.


mercoledì 10 settembre 2014

Si può essere felici anche se si è speciali




Essere genitore di un figlio affetto dalla sindrome di Down ed essere felici: sembra un messaggio positivo, eppure in Francia questa verità è stata censurata. O meglio, è stato censurato un filmato, dal titolo Dear future mom, in cui alcuni ragazzi con questa particolarità cromosomica raccontano a una futura mamma di un bimbo down che suo figlio potrà studiare, lavorare e abbracciarla...Insomma, potrà condurre un'esistenza soddisfacente.

Il Consiglio superiore per l'audiovisivo (Csa), il massimo organo di sorveglianza francese del settore, lo scorso 26 luglio è intervenuto contro i canali televisivi che hanno messo in onda il documentario con la seguente motivazione: “ Il filmato, benchè diffuso a titolo gratuito, non può essere guardato come un messaggio di interesse generale. Indirizzandosi a una futura madre, sembra avere una finalità ambigua e può non suscitare un'adesione spontanea e consensuale”. Il filmato – premiato a Cannes e diffuso anche dall'Onu – è stato ideato in Italia e realizzato da Coordown, il coordinamento di circa ottanta associazioni impegnate nella valorizzazione delle persone affette dalla sindrome, e ha ricevuto il sostegano anche da parte degli Stati Uniti.

Elisa Orlandini, medico del comitato Coordown, ha affermato: “ La campagna, diffusa anche da associazioni laiche, non ha nessun intento antiabortista. Non siamo contrari alla diagnosi prenatale. Anzi, crediamo debba essere sempre più accurata proprio perchè le persone abbiano la possibilità di fare una scelta più libera possibile”.

Se il filmato, come spesso accade, suscita tante polemiche, resta la domanda della mamma protagonista, Martina: “Loro proteggono soltanto i genitori che hanno fatto altre scelte. Ma perchè non ci permettono di dire che noi stiamo bene?”.



 

mercoledì 3 settembre 2014

La controversa Legge 194




di Marina Terragni (già sul blog di Io Donna)



Come saprete il Consiglio d’Europa ha recentemente condannato L’Italia che “a causa dell’elevato numero degli obiettori di coscienza viola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla 194 del 1978 intendono interrompere la gravidanza”. Al momento nessuno sembra occuparsene, ma la sentenza ci obbliga a trovare una soluzione.

La legge 194 è una buona legge, che ha consentito dagli anni Ottanta una riduzione del 54 per cento delle Ivg. Ma oggi è sostanzialmente inapplicata a causa delle altissime percentuali di obiezione di coscienza del personale medico e paramedico: 70 per cento con punte fino al 90 in Campania e oltre l’80 in Lazio, Molise, Sicilia, Veneto e Puglia, e interi ospedali che non garantiscono il servizio (obiezione di struttura). Anche l’attività dei Consultori si è fortemente ridotta: diminuisce il numero (per esempio, in Lombardia si è passati dai 335 Consultori del 1997 agli attuali 216) e viene depotenziata la loro azione.

A ciò si accompagna una vivace ripresa di iniziativa del Movimento per la Vita, in Italia e in Europa, oltre al proliferare dei cimiteri dei non-nati, con cerimonie di sepoltura dei prodotti abortivi (è bene ricordare che il diritto di seppellire i feti di qualunque età gestazionale è già garantito da un decreto presidenziale del 1990. Non vi è quindi alcuna necessità, se non ideologica, di istituire cimiteri dedicati).

La massiccia obiezione è causa di un ritorno all’aborto clandestino (il Ministero della Salute stima 40.000 interruzioni clandestine, numero in difetto perché nelle ostetricie è in costante aumento il numero degli “aborti spontanei”: dei 150 mila aborti spontanei verificatisi nel 2011, almeno un terzo, secondo lo stesso Ministero è attribuibile al “fai da te”, aborti non completi eseguiti in cliniche fuorilegge o provocati con farmaci reperibili sul Web o in farmacie compiacenti).
Altra conseguenza, il
turismo abortivo: migrazioni interne, dal Veneto in Emilia Romagna dove la legge funziona meglio, dal Lazio in Toscana, e così via. Cresce anche il business dell’aborto: per esempio, delle 3776 IVG effettuate nell’ASL di Bari nel 2011,  il 70 per cento è stato praticate in case di cura convenzionate. Il DRG per IVG ammonta a una cifra tra i 1100 e 1600 Euro. Questo significa 3.000.0000 di euro nelle casse del privato (dove l’obiezione è poco significativa).

Perché si obietta tanto? Per ragioni di carriera. Per evitare carichi di lavoro economicamente e professionalmente non remunerativi. Per sindrome da burnout: da non obiettore si diventa obiettore per stanchezza e per le difficoltà connesse a un lavoro che ti pone costantemente di fronte a questioni etiche. Per motivazioni religiose, anche se gli obiettori di coscienza poi sono disponibili a effettuare villocentesi e l’amniocentesi, anche in strutture private convenzionate confessionali dove si pratica l’obiezione di struttura. E tutti sappiamo che amniocentesi e villocentesi sono la “conditio sine qua non” dell’aborto terapeutico.

L’obiezione di coscienza è un diritto garantito dall’articolo 9 della legge 194, che è una legge a rilevanza Costituzionale. E’ garantito anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, laddove sancisce che “gli stati membri sono tenuti a organizzare i loro servizi sanitari in modo da assicurare l’esercizio effettivo della libertà di coscienza dei professionisti della salute”. Ma se il diritto alla obiezione deve essere garantito, la Corte di Strasburgo chiarisce che ciò non deve impedire ai pazienti di accedere a servizi a cui hanno legalmente diritto (sentenza della Corte del 26.5.2011). L’Europa quindi sostiene la necessità che lo Stato preveda l’obiezione a condizione che non ostacoli l’erogazione del servizio.

Il diritto all’obiezione di coscienza non può quindi essere negato. Questo diritto è garantito dall’art 3 della nostra Costituzione, dall’articolo 9 della 194 e dall’Europa.Come si fa, allora, a far funzionare la legge? Nemmeno la mobilità del personale è una soluzione. I medici non obiettori sono pochissimi. Costringerli alla mobilità su più strutture significherebbe “condannarli” a eseguire esclusivamente aborti, negando il resto della loro professionalità.
Molte regioni italiane risolvono il problema chiamando medici non obiettori “a gettone” per garantire la 194, retribuendoli in modo cospicuo: ma non si possono fare soldi sulla pelle delle donne.


Che cosa si può fare, allora?Ogni reparto di ostetricia dovrebbe prevedere il 50 per cento di medici e paramedici non obiettori, con presenza H24 di un’équipe che garantisca l’intera applicazione della legge 194, dalla prescrizione della pillola del giorno dopo all’aborto terapeutico,consentendo così la rotazione del personale medico e paramedico.

Come si può garantire il 50 per cento di non obiettori?

La strada è tracciata da una sentenza del TAR Puglia (14/09/2010, n. 3477, sez. II) nella quale si afferma che:
“ è possibile predisporre per il futuro bandi finalizzati alla pubblicazione dei turni vacanti per i singoli Consultori ed Ospedali che prevedano una
riserva di posti del 50 per cento per medici specialisti che non abbiano prestato obiezione di coscienza e al tempo stesso una riserva di posti del restante 50 per cento per medici specialisti obiettori”.
Opzione equa, ragionevole e praticabile che non si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e consentirebbe la piena applicazione della legge 194.


Il TAR dell’Emilia Romagna ((sez. Parma, 13 dicembre 1982, n. 289, in Foro amm. 1983, 735 ss) chiarisce inoltre che “la clausola che condiziona l’assunzione di un sanitario alla non presentazione dell’obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9 risponde all’esigenza di consentire l’effettuazione del servizio pubblico per il quale il dipendente è assunto, secondo una prospettiva non estranea alle intenzioni del legislatore del 1978”.

(proposta congegnata insieme a Mercedes Lanzilotta)

martedì 11 febbraio 2014

L'ONU, il Vaticano e i diritti dei bambini


Foto Ansa


Papa Francesco Bergoglio sta facendo tutto il possibile per dare alla Chiesa cattolica un'impronta di nuovo pulita, credibile, rassicurante, come è giusto che sia. Ma gli errori gravi di troppi “ministri di Dio” tornano a infangare l'operato dei tanti che, invece, giorno dopo giorno, vivono in nome dei valori cristiani per aiutare il prossimo e alimentare la fiducia nell'umanità.

Gli abusi sessuali dei bambini non sono 'delitti contro la morale', ma crimini”, questa l'accusa pesantissima che, nei giorni scorsi, l'ONU ha rivolto contro la Santa Sede a proposito dei preti pedofili.

In un rapporto di sedici pagine - redatto dopo un'indagine condotta a gennaio con audizioni pubbliche di alti esponenti del Vaticano - il Comitato, formato da 18 esperti indipendenti di diritti umani, denuncia le politiche che hanno permesso e favorito molti abusi, da parte di religiosi, nei confronti di bambini e di ragazzi, violando in questo modo la Convenzione per i diritti dei minori. Il Comitato chiede l'immediata rimozione dei responsabili che dovrebbero essere consegnati alle autorità civili, l'apertura degli archivi sui pedofili e su tutti coloro che hanno coperto le loro azioni e una revisione puntuale del Diritto canonico per garantire una tutela completa ai minori.

Il Vaticano ha risposto all'accusa con una nota in cui si legge: “...Alla Santa Sede rincresce di vedere in alcuni punti delle osservazioni conclusive un tentativo di interferire nell'insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell'esercizio della libertà religiosa”. E Monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore vaticano presso l'ONU di Ginevra, ha aggiunto: “ ...Si vuole, come Papa Francesco insiste, che ci sia trasparenza e che la giustizia abbia il suo corso. Non a caso il primo provvedimento suggerito a Bergoglio dal consiglio degli 'otto saggi' cardinali che lo aiutano nel governo della Chiesa universale e nella riforma della Curia romana, è stato quello di istituire una commissione per la protezione dei minori”. Intanto l'organismo delle Nazioni Unite è stato anche molto critico nei confronti dell'atteggiamento della Chiesa cattolica verso l'omosessualità, la contraccezione e l'aborto.



Nel 2002 il film vincitore del Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia fu Magdalene, scritto e diretto da Peter Mullan.





Nella pellicola Mullan denuncia i soprusi subiti da ragazze-madri “accolte” nelle case Magdalene, tra la fine dell'800 e l'inizio del'900, in Irlanda. L'ultimo convento delle suore Maddalene è stato chiuso nel 1996.

Tu non sei un uomo di Dio” ripete più volte una delle ragazze protagoniste, lo urla e lo incide nei cuori degli spettatori che, come quelle giovani donne, si aspettano comprensione e perdono e, invece, si trovano a dover subire umiliazioni e violenze.

Non faceva sconti, il regista, nel 2002 con questo lavoro crudo e diretto.

Il lungo piano-sequenza iniziale, senza dialoghi, con la scena iniziale del matrimonio; la messa, officiata all'aperto, prima comica e poi tanto drammatica; e la scena di chiusura, dedicata a Crispina (la bravissima Eileen Walsh), rappresentante e vittima sacrificale di tutti quei minori, maschi e femmine, che hanno vissuto sulla propria pelle le meschinità e le bassezze di altri esseri umani: scene di un film che, purtroppo, narrano una realtà che si è perpetrata per troppo tempo. E ora è arrivato il momento di fare chiarezza e di tornare alla Fede della solidarietà, dell'amore e del rispetto reciproco.

sabato 1 febbraio 2014

Le donne in piazza per il diritto all'aborto




YO DECIDO - DECIDO IO”: LE DONNE DI MILANO IN PIAZZA SABATO 1° FEBBRAIO AL CONSOLATO SPAGNOLO. APPUNTAMENTO ALLE 14,30 IN PIAZZA CAVOUR.

Oggi,1° febbraio 2014, in molte città europee si manifesterà sotto le ambasciate e i consolati di Spagna in solidarietà con le donne che in quel paese si oppongono al progetto di riforma della legge sull’aborto, che smantella la legge Zapatero, autorizzandolo solo in caso di stupro o di grave rischio per la salute fisica o psichica della donna certificato da due medici.

Le associazioni di donne manifestano anche contro il Parlamento Europeo che ha respinto la mozione Estrela in difesa dei diritti sessuali e riproduttivi. Ma la manifestazione avrà anche un contenuto più legato alla realtà italiana, dove di giorno in giorno viene messa in discussione dall’obiezione di coscienza (per lo più strumentale), la legge che permette un aborto sicuro e gratuito.

La mobilitazione, organizzata dalla rete WOMENAREUROPE, a Milano è stata promossa da un ampio cartello di associazioni: UsciamodalSilenzio, Libera Università delle Donne, Consultori Privati Laici, Giulia-giornaliste unite libere autonome, La città delle donne di Z3xMi, Tavolo consultori, Casa delle donne Milano, Donne nella crisi, Donne laboratorio dei beni comun, Gruppo Donne comitato zona 3 Milano, DonneInQuota, Donne in rete, Donne della CGIL, Consulta milanese per la Laicità delle Istituzioni, Amici della Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni, Soggettività lesbica, Unione Atei Agnostici Razionalisti. Tra le prime adesioni Monica Chittò, Sindaco, e la Giunta comunale di Sesto S. Giovanni, Sara Valmaggi Vice Presidente Consiglio Regione Lombardia, Adalucia De Cesaris, Vicesindaco, con le Assessore della Giunta del Comune di Milano, Francesca Zajczyk, Delegata alle Pari Opportunità del Comune di Milano, Anita Sonego, Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Milano.




Yo decido. E’ questo lo slogan che le spagnole hanno scelto per affermare la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Alla fine del 2013, infatti, il governo Rajoy ha presentato una legge che, se venisse approvata, limiterebbe la possibilità di interruzione di gravidanza ai casi di stupro o di pericolo per la salute della madre. Un balzo indietro enorme se si pensa alla legge Zapatero del 2010 all’avanguardia in Europa sulla salute e i diritti riproduttivi delle donne.
In Italia abbiamo assistito alla modifica della legge 194 con la pratica dell’obiezione di coscienza: il controllo del corpo e della vita delle donne è da sempre stato utilizzato da governi laici e confessionali di tutto il mondo, come strumento di controllo sociale. Ma è la libertà delle donne la misura della modernità: non a caso le nuove Costituzioni dei paesi del Magreb vengono lette anche dai costituzionalisti in questa chiave ed è bene ricordare anche che la libertà di essere madri alimenta la democrazia.



Qui di seguito pubblichiamo un'intervista che, alcuni mesi, fa abbiamo fatto alla Dott.ssa Marilisa D'Amico sul suo saggio che affronta, tra tanti, anche questo tema importante.



La laicità è donna: per una rinascita culturale declinata al femminile







E' da poco stato pubblicato, per le edizioni L'asino d'oro, un piccolo, ma importante saggio dal titolo La laicità è donna di Marilisa D'Amico.

Marilisa D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista, direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal 2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità costituzionale.

Il testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.




Perché ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?



La scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.

Il brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.

Serve a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.

Teresa Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese, è condizione imprescindibile per la costruzione di una società nuova e più giusta.

Questo brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune, ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.


 

Qual è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?

 

La laicità è un principio costituzionale “supremo”, non espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una fondamentale sentenza del 1989.

Il principio di laicità all’”italiana” è un principio di laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale.

E’ sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita, senza prevaricazioni degli uni sugli altri.



Dal principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il “metodo laico”.

La laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso della loro inclusione.

Il metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa della nostra libertà.



Quale può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?


In uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali, quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono tutela in spazi e in luoghi diversi.

Gli attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i cittadini.

All’interno del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.

Un’ipotesi ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi cittadini, attraverso lo strumento del referendum abrogativo, a intervenire a tutela dei propri diritti.

Esiste, dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta, sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più controverse


Nel libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali: l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come avvocato costituzionalista?



Nella mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente assistita.



Nel 2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della legge n. 40/2004.

In particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto, nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo omologo.

Si trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva, ottenere una gravidanza.

Il limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004 al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte, in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti.



In quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione, dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino, avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.



La soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.

In un sistema come il nostro che non consente al cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla Corte costituzionale.

Di fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte costituzionale.

Da qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.



A che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e libertà?



Nel libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.

Lo smarrimento del principio di laicità costituzionale determina conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini, che la Costituzione tutela al suo articolo 2.

Il significato più profondo della laicità si collega, infatti, al termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in base ai propri convincimenti.

Le soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche, calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro quelli di altri.

Si pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita, emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle coppie.



Ritengo, in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire risposte adeguate.


Infine, può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità è donna


La scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.

Da qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione del principio di laicità costituzionale.


Gli effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono, infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.

Mi riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle istituzioni.

Esempi dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società. Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio, donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.

Donne che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.


Ho scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita, sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e, finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia veramente paritaria.






   


lunedì 6 maggio 2013

Aborto in caso di malattia grave: un dibattito sempre aperto


Si chiama Isabel, ha 22 anni ed è gia madre, ma è incinta di un altro figlio. Isabel vive a El Salvador - un piccolo Stato di un milione di persone, in Centro america - ed è molto malata: è affetta da Lupus eritematoso sistemico, una malattia del sistema immunitario, e da insufficienza renale. La gravidanza peggiora le sue condizioni di salute, tanto da mettere in pericolo la sua vita.
I medici, inoltre, sostengono che il figlio che porta in grembo nascerà morto in quanto è anencefalico - ovvero privo di cervello - per cui Isabel avrebbe deciso di abortire. Ma nel suo Paese l'interruzione di gravidanza è severamente vietata e la pena prevista sarebbe di otto anni di detenzione.
L'opinione pubblica di El Salvador è divisa in due: da una parte i rigidi sostenitori della legge e, dall'altra, i cittadini che vorrebbero vedere salva la vita di Isabel.
Il rappresentante dell'Onu a El salvador, Roberto Valent e il Ministro della salute, Marìa Isabel Rodrìguez, appoggiano la disperata richiesta della ragazza, mentre il Vescovo, Josè Luis Escobar, ha affermato che: “Sembra uno stratagemma per conseguire la legalizzazione dell'aborto. Chiedo all'Alta Corte di ricordare che, per la Costituzione, una persona umana è tale dal concepimento”. E Isabel si è rivolta proprio al Tribunale Supremo che sta valutando il suo caso mentre Amnesty International parla di “norme crudeli e disumane” e di “omicidio di Stato”.
Il dibattito è aperto anche in Cile, nella Repubblica Dominicana, in Honduras e Nicaragua. Ma la storia di Isabel riguarda uomini e donne di tutte le nazionalità,perchè pone al centro della riflessione un dibattito etico e morale di carattere universale. 



mercoledì 24 aprile 2013

La laicità è donna: per una rinascita culturale declinata al femminile



E' da poco stato pubblicato, per le edizioni L'asino d'oro, un piccolo, ma importante saggio dal titolo La laicità è donna di Marilisa D'Amico.
Marilisa D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista, direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal 2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità costituzionale.
Il testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.

Abbiamo rivolto alcune domande alla Prof.ssa Marilisa D'Amico



Perché ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?

La scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.
Il brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.
Serve a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.
Teresa Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese, è condizione imprescindibile per la costruzione di una società nuova e più giusta.
Questo brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune, ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.

Qual è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?

La laicità è un principio costituzionale “supremo”, non espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una fondamentale sentenza del 1989.
Il principio di laicità all’”italiana” è un principio di laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale.
E’ sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita, senza prevaricazioni degli uni sugli altri.

Dal principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il “metodo laico”.
La laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso della loro inclusione.
Il metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa della nostra libertà.

Quale può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?

In uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali, quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono tutela in spazi e in luoghi diversi.
Gli attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i cittadini.
All’interno del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.
Un’ipotesi ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi cittadini, attraverso lo strumento del referendum abrogativo, a intervenire a tutela dei propri diritti.
Esiste, dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta, sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più controverse.


Nel libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali: l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come avvocato costituzionalista?

Nella mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente assistita.

Nel 2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della legge n. 40/2004.
In particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto, nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo omologo.
Si trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva, ottenere una gravidanza.
Il limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004 al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte, in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti.

In quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione, dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino, avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.

La soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.
In un sistema come il nostro che non consente al cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla Corte costituzionale.
Di fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte costituzionale.
Da qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.

A che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e libertà?

Nel libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.
Lo smarrimento del principio di laicità costituzionale determina conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini, che la Costituzione tutela al suo articolo 2.
Il significato più profondo della laicità si collega, infatti, al termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in base ai propri convincimenti.
Le soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche, calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro quelli di altri.
Si pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita, emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle coppie.

Ritengo, in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire risposte adeguate.


Infine, può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità è donna?

La scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.
Da qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione del principio di laicità costituzionale.

Gli effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono, infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.
Mi riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle istituzioni.
Esempi dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società. Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio, donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.
Donne che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.

Ho scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita, sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e, finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia veramente paritaria.


Marilisa D'Amico




lunedì 18 marzo 2013

Il nuovo Papa e il tema dei diritti


Barack Obama lo ha definito il “paladino dei poveri”: l'argentino Josè Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco, fa parte della Compagnia di Gesù e ha sempre affermato che “Cristo si cerca fra i poveri”. Quando era arcivescovo di Buenos Aires, si spostava n metropolitana oppure in autobus e, se i simboli hanno ancora un significato, ha rinunciato alla mozzetta rossa foderata di ermellino e ha indossato la croce pettorale di ferro e non quella dorata. Ma questi, appunto, sono oggetti e scelte simboliche. Più significative sicuramente le sue parole contro il capitalismo esasperato: “ La crisi economico-sociale e il conseguente aumento della povertà ha le sue radici in politiche ispirate da certe forme di neoliberismo che considerano i guadagni e le leggi del mercato come parametri assoluti, a danno delle persone e dei popoli...La povertà è un delitto sociale, anzi una violazione dei diritti umani perchè le grandi disuguaglianze nascono dalla estrema povertà e da condizioni economiche ingiuste”.
Alcuni sostengono che Bergoglio sia stato vicino alla dittatura militare argentina perchè non si è battuto per la liberazione di due sacerdoti rapiti quando era superiore della congregazione dei gesuiti, ma in sua difesa si è schierato Adolfo Perez Esquivel - militante dei diritti umani e Premio Nobel per la Pace - il quale ha affermato: “Io so personalmente che molti vescovi hanno chiesto alla giunta militare la liberazione di prigionieri e sacerdoti e non gliel'hanno concessa”, parole confermate anche da Graciela Fernandez Meijide, ex membro della Commissione nazionale sui desaparecidos, che ha detto: “ Non mi risulta che Bergoglio abbia collaborato con la dittatura. Ho sofferto la scomparsa di un figlio, Perez Esquivel lo hanno quasi fatto fuori e, dunque, per noi è una questione personale. Ma non si può dire che tutti quelli che esercitavano una qualche funzione durante la dittatura erano complici, è un'assurdità”.
Il nuovo papato è solo all'inizio, si intravedono segnali di innovazione di regole e principi anche se Papa Francesco conferma la sua ferma opposizione all'aborto e ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.