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venerdì 11 dicembre 2015

Il vuoto al di qua delle barriere: il razzismo...nel calcio e le parole di un allenatore



di Max Mauro (*) (da La bottega del Barbieri)







Un giocatore dilettante di calcio viene squalificato per dieci giornate per insulti razzisti rivolti a un avversario di origine africana. Capita in Friuli, campionato di prima categoria della provincia di Udine. Così riferisce il quotidiano locale, «Il messaggero veneto». Gli insulti razzisti sono consuetudine domenicale per i calciatori dilettanti di colore, ma il più delle volte non vengono sentiti dall’arbitro e pertanto non finiscono nel referto. Talvolta – raramente – l’autore dell’insulto è così sboccato e sfacciato che l’arbitro non può ignorarlo. Scatta così la squalifica di dieci giornate, introdotta dalla Figc nel 2013 per dare un segnale “forte” di impegno contro il razzismo nel calcio a tutti i livelli, come sollecitato dalla Uefa. In realtà, questa norma è stata applicata in pochissime occasioni.

Nel corso degli ultimi due anni la squalifica per insulti razzisti ha colpito giocatori di diverse categorie dilettantistiche, e perfino un ex giocatore di serie A, Emiliano Bonazzoli, esibitosi in insulti razzisti verso un arbitro di origine immigrata durante una partita di Serie D. A di là del numero di tesserati squalificati, il problema è diffuso, capillare. Il sistema calcio italiano è impregnato di una cultura razzista storicizzata e di pregiudizi verso tutto quello che non è “bianco, italiano, maschio, apparentemente eterosessuale”. Così si spiegano le uscite apertamente razziste del presidente della Figc, Carlo Tavecchio, di quelle altrettanto razziste di Arrigo Sacchi (“troppi neri nelle squadre giovanili”), di Stefano Eranio (“i neri non san difendere”), di Aurelio De Laurentis (“meno male che erano olandesi, mica nigeriani”), di Paolo Berlusconi (“il negretto Balotelli”), di Maurizio Zamparini (“lo zingaro Mutu”), di Marcello Lippi (“nel calcio italiano non esiste razzismo”) giusto per citarne alcuni entrati nelle cronache negli ultimi anni. E che dire delle dichiarazioni dell’ex presidente della Lega Nazionale dilettanti contro il calcio femminile (“quattro lesbiche”) e quelle omofobe dell’allenatore dell’Arezzo (“in campo non voglio checche”).

In questo triste contesto, la storia di Udine diventa significativa soprattutto per le dichiarazioni rilasciate al giornale locale dall’allenatore del giocatore squalificato. Per la cronaca, lo stesso giocatore aveva da poco completato una squalifica di quattro mesi, poi ridotta a due, per aver aggredito l’arbitro durante una partita ufficiale. Nonostante ciò, l’allenatore si perita di difenderlo rivoltando la questione, operando una capriola dialettica inspiegabile con gli strumenti della ragione. Lo fa facendo passare il giocatore razzista e tutti “noi bianchi” (nelle sue parole) come vittime. «Siamo arrivati al punto in cui a essere penalizzati siamo noi bianchi. I giocatori di altra razza possono insultarci passandola sempre liscia, mentre chi offende loro viene punito. Ma forse non è nemmeno il caso di arrabbiarci o meravigliarci, visto che stiamo mettendo in discussione perfino il presepio nelle scuole».

E’ difficile immaginare un’argomentazione così limpidamente, profondamente razzista e allo stesso tempo diretta, comprensibile ai più e destinata a trovare purtroppo consensi. E’ un piccolo saggio di ignoranza storica che andrebbe inserito nei libri di scuola per aiutarci a capire cosa non va in una società che non (ri)conosce il razzismo. Non dimentichiamo che pochi mesi fa il Parlamento italiano ha assolto, con voto trasversale, il senatore della Lega Nord ed ex-ministro Roberto Calderoli che aveva paragonato l’ex ministra Cecile Kyenge a una scimmia. Per i parlamentari di “opposte” fazioni politiche il suo non è un insulto che incita all’odio razziale e non merita di essere giudicato da un tribunale. Conta meno di una querela per diffamazione.

A parte tutto questo, la dichiarazione dell’allenatore di Udine merita una riflessione e una risposta. Non può essere ignorata, perché è molto più grave degli insulti rivolti dal suo giocatore a un avversario di colore e perché fa capire che il problema è più profondo di quello che appare.

Come per altri aspetti, il calcio funziona da amplificatore di sentimenti che scorrono sottopelle nella società e ne rappresentano i tratti meglio di molti testi sociologici o di editoriali giornalistici. In termini rozzi l’allenatore ci dice: il razzismo esiste, ma i razzisti sono “loro”. Per loro si intende tutto quello che è “altro” dall’idea di “italiano” trasmessaci dalla scuola, dalla televisione, dalla politica, dalla società. E’ altro chi ha un colore della pelle un po’ più scuro, èaltro lo straniero in generale, l’immigrato, l’extracomunitario. E’ ovvio che il nero è più “altro” di altri perché quella che è semplicemente una caratteristica somatica assomma nel discorso razzista tutte le altre categorie. E’ l’altro per definizione. James Baldwin, in un illuminante saggio attorno a un suo viaggio in Svizzera negli anni cinquanta del novecento, sottolinea come il nero (the black man) cerca, utilizzando tutte le risorse a sua disposizione, di far sì che il bianco (the white man) smetta di considerarlo un’esotica rarità e lo riconosca come un essere umano. D’altra parte, ricorda Baldwin, è stato l’uomo bianco occidentale a trascinare violentemente il nero dentro la sua storia riducendolo in schiavitù e privandolo irrimediabilmente del suo passato. Baldwin aveva negli occhi la sua stessa storia famigliare, essendo figlio di un figlio di schiavi della Louisiana.

Dunque, le parole dell’allenatore. Come è possibile un simile ragionamento? Da dove nasce un tale vuoto culturale e umano? Perché i grandi veicoli di cultura popolare non fanno uno sforzo per spiegare la società ai suoi cittadini?

Tutte domande che reclamano risposta. Io credo che al di là delle squalifiche quello che può realmente portare un cambiamento, nello sport e nella società, è il dialogo. Il dialogo e l’educazione, intendendo per questo l’intervento formativo delle istituzioni, ma non solo. In questo caso specifico, mi chiedo perché la federazione invece di comminare una squalifica di dieci giornate non ne dia una di cinque ma obbligando lo squalificato a un breve percorso formativo sull’ABC del razzismo. Che so, un incontro di tre ore nella sede della federazione con una persona esperta di interculturalismo e sport. Magari una persona di colore. O l’obbligo ad arbitrare una partita fra bambini di varie origini etniche. Se non si presenta all’incontro la squalifica viene raddoppiata. E’ un’idea, un suggerimento. Ovviamente, nel caso di Udine il percorso formativo sarebbe ancora più necessario per l’allenatore, visto che ricopre la doppia funzione di persona pubblica (rilascia dichiarazioni ai mass media) e di educatore, visto che gestisce un gruppo di giovani uomini, molti ancora ragazzi. La formazione non solo sportiva è il nodo nevralgico del sistema sportivo. L’ignoranza combinata all’arroganza, cioè l’arroganza data dall’ignoranza, trova numerosissimi esponenti nel calcio, a tutti i livelli.

Il problema riguarda non solo gli appassionati di calcio, chi lo pratica e lo gestisce: non è purtroppo nuovo. Quante volte abbiamo dovuto sentire affermare che “sì, insomma, se mi dicono che son grasso mica posso accusarli di razzismo, e cosa vogliono questi, un insulto è un insulto, non c’è differenza tra dare del ciccione a uno o dirgli sporco negro”. Un insulto è un insulto, non c’è differenza. Questo è l’assunto di molte persone, anche laureate, anche impegnate nel sociale. Non è verbo che attecchisce solo nelle menti di moltitudini annebbiate da giornate passate con la televisione accesa e l’occhio alle ultime offerte per un nuovo telefono cellulare. E’ un’idea che ha a che fare con la mancanza di istruzione basica e di informazione.

Un insulto razzista non è un insulto come un altro. Qualsiasi insulto è un gesto violento, che vuole offendere e urtare chi lo riceve. Ma un insulto personale è diretto alla persona o al massimo ai suoi familiari. L’insulto che fa riferimento a un’origine, alla provenienza e soprattutto l’offesa che usa le caratteristiche somatiche – come il colore della pelle – per definire qualcuno (in termini espressamente spregiativi) ha un carico di violenza diverso. Soprattutto ha una storia che non può essere ignorata. E’ un insulto che riguarda moltitudini. Riguarda persone che possono sentirsi comprensibilmente toccate da questo attacco anche senza riceverlo direttamente. Questa è solo una approssimazione dell’insulto razzista. Un tentativo di mirare a un uditorio dall’udito malfunzionante o parzialmente disconnesso come quello rappresentato dall’allenatore sopracitato. L’insulto razzista è solo una componente, la più immediatamente visibile, del razzismo che pervade la società. Per questo non può essere ignorato.

L’insulto razzista va compreso nel quadro di una società, quella italiana, che ha disconosciuto la sua criminogena storia coloniale e le leggi razziali del fascismo (quanto spazio hanno questi temi nei manuali di storia in uso nelle scuole?) e che ha chiamato immigrati perché ne aveva e ne ha bisogno, ma non ha permesso loro e ai loro figli di diventare altro che mano d’opera sottopagata e quando i lavori umili non sono più disponibili o diventano estremamente volatili, lascia loro come destino, spesso, solamente l’emarginazione.

E’ facile dar la colpa a Salvini, alla sua esposizione mediatica, all’arsenale di surreali parabole che infila una dietro l’altra per manipolare la realtà e fare degli immigrati, degli stranieri, il capro espiatorio di tutti problemi. E’ vero, non si può negare la pericolosità di simili discorsi. Allo stesso tempo non va sottovalutata l’importanza della televisione nel dare insistentemente voce a messaggi allucinati e renderli “popolari”. Ma questa è solo una parte della storia. Le parole uscite dal senno dell’allenatore di Udine segnalano un salto di qualità nel razzismo popolare perché identificano una forma di “vittimismo” inedita, almeno in Italia.

Il contesto generale di instabilità economica e sociale (che non è problema esclusivo dell’Italia, va detto, ma trova qui particolare enfasi), i flussi di rifugiati (che fuggono il più delle volte da guerre avviate dall’Occidente), l’idea di un Islam necessariamente ostile reiterata a destra e a manca, contribuiscono a creare un tappeto emotivo di insicurezze dove chi è predisposto ad accettare discorsi razzisti ne diventa latore entusiasta e sordo alla ragione. E riesce perfino a inventarsi vittima. Vittima di cosa? E’ questo che è difficile da comprendere. Serve uno sforzo condiviso per arrivare alle sorgenti di ignoranza. Per esempio, gli stessi che si scandalizzano perché un preside di una scuola multietnica mette in discussione l’opportunità di canti natalizi di una sola religione sono i primi a iscrivere i propri figli in scuole con basse presenze di immigrati. Il pregiudizio è loro, non di chi cerca forme di dialogo che fanno parte della storia di tutte le società, da che mondo è mondo.

Uno sforzo andrebbe anche diretto a comprendere che lo sport, oggi più che mai, va inteso come fenomeno culturale che ha implicazioni nel modo in cui vediamo e capiamo il mondo. Il calcio non può essere lasciato a chi non capisce e non è interessato a fare della società un posto migliore per tutti. Parafrasando quanto scrisse C. R. L. James nel suo straordinario studio sul cricket e il post-colonialismo nei Caraibi potremmo chiederci: cosa capisce di calcio chi solo di calcio sa?

(*) Max Mauro è autore de «La mia casa è dove sono felice» (2005). Nel 2016 manderà alle stampe uno studio sul calcio e i giovani di origine immigrata realizzato in collaborazione con il Cies, Centro internazionale di studi dello sport.



LA VIGNETTA – sulle “gaffes” di Carlo Tavecchio – E’ DI MAURO BIANI.

martedì 8 dicembre 2015

Nicole, 4 ori contro i pregiudizi



«Adoro la vita, mi piace vincere»

Il record ai Mondiali per atleti down in Sudafrica: «Lo dedico a mia nonna»


di Elena Tebano (dal Corriere della sera.it)




Avvolta nel tricolore sul podio più alto dei Mondiali, in Sudafrica, Nicole Orlando ha alzato gli occhi al cielo e ha iniziato a piangere. Lacrime di gioia e commozione. «Stava pensando alla nonna, che è morta l’anno scorso e avrebbe dovuto accompagnarla nella trasferta africana», racconta la madre, Roberta Becchia. «Però c’era il nonno, che ho convinto io a venire perché all’inizio non voleva: sono molto fiera di lui» ribatte Nicole, 22 anni. Di lei, che la settimana scorsa si è portata a casa 4 ori (100 metri, salto in lungo, triathlon, con record del mondo, staffetta 4 per 100) e un argento (nei 200) è orgoglioso il premier Matteo Renzi: ieri l’ha ringraziata su Facebook per «aver reso onore all’Italia» insieme agli altri atleti della Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale, che in tutto hanno conquistato 27 titoli nell’atletica leggera e 5 nel tennis tavolo. Nicole ha la sindrome di Down e tra le sue vittorie c’è anche quella di abbattere un bel po’ di pregiudizi. «Sono contenta: mi piace vincere le medaglie» dice al telefono da Biella, dove vive, in una pausa tra l’allenamento di nuoto e quello di atletica. Guarda al prossimo traguardo: «Mi devo preparare alle Olimpiadi di luglio, a Firenze».

 



Nicole Orlando, 22 anni, si commuove sul podio dopo aver vinto la sua prima medaglia d’oro ai Mondiali del Sudafrica. Nicole fa parte della Nazionale degli atleti con disabilità intellettive o relazionale (foto Mauro Ficerai)



E aggiunge con tutta la sincerità del mondo che sì, a Bloemfontein in Sudafrica «mi aspettavo di vincere». «Io l’avevo avvertita: guarda che ci sono le messicane che sono molto forti, sarà dura — dice la madre Roberta —. Mi ha risposto di non preoccuparmi. Lei è così, molto determinata: il suo allenatore assicura che se tutti i suoi sportivi avessero la stessa concentrazione, vincerebbero molto di più. Lo spirito agonistico non le manca: suo fratello e sua sorella non le hanno mai fatto passare niente e lei ha sempre cercato di competere». Lo sport l’ha bevuto con il latte: il padre Giovanni ha giocato a calcio in serie C, la madre a pallacanestro, sempre in serie C. Il resto lo ha fatto una famiglia che si è rifiutata di guardare alla disabilità come alla fine di tutto. «Ci avevano detto che i ragazzi Down hanno i legamenti laschi e quindi sono lenti e pigri. Per stimolarla, l’abbiamo portata in piscina che aveva appena un anno. Quando ha iniziato a camminare è stata la volta della ginnastica artistica». Nicole ha avuto un’allenatrice d’eccezione: Anna Miglietta, 71 anni, ex atleta e poi coach della nazionale di ritmica.

«Era stata la mia insegnante di educazione fisica: sapevo che era molto severa e che le sue regole erano le stesse per tutti. Se Nicole provava ad arrampicarsi sulla spalliera le correva dietro. Ha imparato subito, e grazie ai suoi legamenti laschi era la più brava a fare le spaccate» ricorda la madre. Nicole è entrata nel gruppo dei normodotati: «Era il modo migliore per aiutarla a maturare — racconta Miglietta —. Non facevo fatica a insegnarle: aveva questa voglia enorme di riuscire, gli occhi grandi sempre spalancati a cercare di capire tutto». E un’energia incontenibile come la sua voglia di vivere: dalla ginnastica è passata al nuoto e all’atletica. La settimana scorsa i Mondiali. «E adesso Nicole parteciperà al musical che mettiamo in scena venerdì con i ragazzi della palestra». È ispirato alla serie tv Glee. Nicole ha già imparato a memoria le battute: «Perché mi dite così? Perché sono diversa? In che senso diversa? — recita precisa al telefono —. Non posso anche esser stupida, cicciona, prima donna o lesbica? O devo essere sempre solo quella con la sindrome di Down?». Oggi, intanto è una campionessa della Nazionale.


lunedì 12 ottobre 2015

Cyberbullismo: da “Una vita da Social” a “Scelgo io!”. Ecco tutte le iniziative in Italia



(da www.intreccio.eu)





Concorsi, incontri, nuove guide e nuova campagna di comunicazione; ecco gli appuntamenti lanciati in tutt’Italia per navigare sicuri in Rete, dove gli unici veri protagonisti sono soprattutto gli studenti di ogni ordine e grado.

I Supererrori. Le regole del supernavigante” è uno dei progetti contro il cyberbullismo, a firma di “Generazioni Connesse” il Safer Internet Centre italiano, lanciato in occasione di “Tutti a scuola 2015”, l’iniziativa coordinata dal Miur, ministero dell’Istruzione. Attraverso sette mini spot, colorati e divertenti, i ragazzi possono imparare velocemente le regole per una sicura navigazione in Internet. Il linguaggio e la semplicità del messaggio rende l’iniziativa utile anche ai più piccoli. Il primo dei sette cortometraggi sarà lanciato sui canali social di “Generazioni Connesse” e le storie saranno impersonate da sette personaggi.

 
 
Di fondamentale importanza, anche contro il cyberbullismo, è inoltre la Helpline, la piattaforma di Telefono Azzurro costituita dalla linea telefonica gratuita 1.96.96, attiva 24 ore al giorno, e la chat online a disposizione di bambini, adolescenti e adulti, attiva tutti i giorni dalle 8 alle 22 (sabato e domenica dalle 8 alle 20). È possibile, segnalare anche in maniera anonima i contenuti illegali o potenzialmente dannosi, presenti sul web, attraverso due Hotlines direttamente collegate con la Polizia Postale – www.stop-it.it di Save the Children e “Clicca e segnala” di Telefono Azzurro su www.azzurro.it. Completa il progetto il portale Skuola.net, la scuola virtuale più frequentata dagli studenti italiani, che dedicherà un intero canale tematico agli oltre 3 milioni di studenti che ogni mese accedono al sito.
 



Per gli studenti di tutte le scuole d’Italia arriva infine “Scelgo io!”, il concorso di selezione di scrittura creativa, arti visive e multimediali dove una giuria valuterà i lavori e sceglierà i migliori.



Altra iniziativa, mirata alla lotta contro il cyberbullismo, che chiama a raccolta alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado, insegnanti e genitori, è “Una Vita da social”, la campagna itinerante giunta alla terza edizione, organizzata della Polizia postale, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e Skuola.net. Gli incontri avverranno sul truck, un camion allestito come un’aula multimediale dove gli esperti della polizia Postale incontreranno i giovani e i loro insegnanti e genitori nelle maggiori piazze di 58 città italiane.


Da non dimenticare il 9 febbraio 2016 la tredicesima edizione Safer Internet Day, celebrata in tutto il mondo. Il tema di quest’anno sarà: “Gioca la tua parte per un internet migliore” e lo scopo è quello di costruire un Internet migliore per tutti, ma soprattutto i bambini e i giovani .

domenica 11 ottobre 2015

Corso: CINEMA e DIRITTI


L'Associazione per i Diritti Umani

in collaborazione con Arci Scuotivento di MONZA

presenta il corso di cinematografia:

CINEMA e DIRITTI



TEMI

Un corso di cinema – declinato in vari modi: tecniche, generi, approfondimenti tematici, etc. - riguarda la capacità di leggere un film come se fosse un testo scritto. La domanda principale è : “Da quali elementi è costituito un film?”. Il Cinema può essere usato come momento di approfondimento per alcune materie di studio e di argomenti di grande attualità (Storia, Intercultura, Geografia/Geopolitica, Filosofia, Sociologia) .

Il linguaggio cinematografico è, infatti, caratterizzato da un codice , come un testo letterario, che va decifrato per coglierne i significati profondi, i messaggi diretti e indiretti in modo che, chi guarda e ascolta un'opera filmica (come un'altra opera d'ARTE) sia consapevole del contenuto della stessa.

Ecco, quindi, che proponiamo un corso che coniuga l'aspetto tecnico con il contenuto. Verranno analizzati cortometraggi, documentari sui temi dei diritti umani, verranno analizzati spezzondi di film che hanno segnato la Cinematografia per una riflessione partecipata sugli argomenti trattati e sulle tecniche di comunicazione degli stessi.

Siamo – soprattutto i giovani- costantemente bombardati da immagini e dal linguaggio dei mass-media che è composto da immagini, appunto, suoni, parole. Pensiamo alla tv, al computer con Internet, al Cinema, ai videogames...In questa giungla di sollecitazioni è necessario saper scegliere il prodotto utile alla crescita, alla giusta e corretta informazione, alla buona conoscenza di sé e di ciò che accade intorno a noi.



FINALITA’ e OBIETTIVI

La finalità principale è quella di dare agli utenti tutti gli strumenti per decodificare il linguaggio delle immagini, da cui siamo costantemente stimolati. Ogni prodotto audiovisivo, infatti, è veicolo di comunicazione di un messaggio: ma di quali messaggi ? E come tali messaggi vengono comunicati ?

Come già detto, i percorsi si pongono gli obiettivi di insegnare a scegliere, tra i vari messaggi,quelli positivi; di stabilire quale sia un buon prodotto filmico; di “difendersi” dalle informazioni, opinioni e altro che pilotano le nostre scelte all’interno della società contemporanea, società dell’immagine e non del contenuto.

METODOLOGIA

Il progetto prevede 4 incontri in cui l’esperto parlerà, con lezioni frontali, delle tecniche cinematografiche di base ( a cui potranno seguire approfondimenti). Ogni lezione sarà accompagnata dalla visione guidata di spezzoni tratti dai film più importanti della cinematografia mondiale, passata e recente. Analisi critica degli spezzoni insieme ai partecipanti.

Alla fine del percorso, si lavorerà insieme sulla decodifica di un cortometraggio. Verranno consegnate dispense sui termini tecnici più usati.



DURATA e COSTI

4 incontri di 90 minuti ciascuno

Quota per partecipante: 60 euro



DATE e ORARI

 

venerdì 30 ottobre, ore 21.00

venerdì 6 novembre, ore 21.00

venerdì 13 novembre, ore 21.00

venerdì 20 novembre, ore 21.00


giovedì 8 ottobre 2015

Incontri con autori ed esperti di materia per scuole medie


L'ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI UMANI





INCONTRI CON GLI AUTORI:

proposte per le classi seconde e terze medie




IL ROMANZO: “In piedi nella neve” di Nicoletta Bortolotti, edito da Einaudi



IL LIBRO:

Sasha ha quasi tredici anni e una passione bruciante: il calcio. Come potrebbe essere altrimenti? Suo padre è Nikolai Trusevyc, portiere della squadra più forte del Paese: la Dynamo Kiev. Ma in Ucraina, nel 1942, il pallone non è cosa per ragazze. E dopo l'invasione da parte del Reich non è cosa nemmeno per i campioni della Dynamo: accusati dai nazisti di collaborare con i sovietici e ridotti per questo alla fame e all'inattività, i giocatori hanno perso la voglia di vivere. Quando, a sorpresa, i tedeschi organizzano un campionato cittadino, non lo fanno certo per perdere; Sasha, d'altra parte, sa che suo padre e i compagni giocano sempre per vincere... Stavolta, però, vincere significherebbe morire. E qual è la vera vittoria? Lottare fino all'ultima azione, come chiede il pallone, o sabotare la partita, come le ha intimato un misterioso spettro, nel buio di un sottopasso? Mentre il fiume Dnepr, gelido, si porta via l'infanzia di Sasha, la Storia segue il proprio corso: il match avrà un esito cosi incredibile che nessuno, per lungo tempo, potrà raccontarlo.



IL ROMANZO: “Sulle onde della libertà” di Nicoletta Bortolotti , edito da Mondadori

Il LIBRO:

"Mi chiamo Mahmud e abito in un posto che dicono terra di tutti e di nessuno.
O anche prigione a cielo aperto. Ma il suo vero nome è Gaza City. Ho un'unica passione, un unico sogno, un'unica fissa: il surf."
Mahmud vive a Gaza City, una città colpita ogni giorno dai bombardamenti, e adora il surf. Anche Samir adora il surf. Ma il primo è palestinese e l'altro israeliano. Ma che differenza fa? Hanno tutti e due gli stessi sogni e aspettano tutti e due la stessa onda da cavalcare. E non importa se quell'onda sarà israeliana o palestinese...

Nicoletta Bortolotti, nata in Svizzera, vive in provincia di Milano. Lavora come redattrice e ghost writer nell’editoria per ragazzi, e ha firmato diversi libri di successo per adulti, tra i quali E qualcosa rimane (Sperling&Kupfer). Mamma di due bambini trova il tempo di scrivere in treno, che è la sua “casa viaggiante”.



RACCOLTA DI RACCONTI: “CHIAMARLO AMORE NON SI PUO'. La violenza di genere”, di 23 autrici, edito da MAMMEONLINE



IL LIBRO:

Cari ragazzi e care ragazze che vi affacciate al mondo dei grandi, questo libro è per voi. Perché impariate dai nostri errori, impariate che amore vuol dire rispetto e non sopraffazione, che amare vuol dire permettere all'altro/a di essere se stessi. Insomma l'amore non può essere egoista, altrimenti non lo si può chiamare amore.
23 scrittrici per ragazzi vi offrono questi racconti per aiutarvi a riflettere e a dialogare, perché non rimaniate in silenzio di fronte ai tremendi fatti di cronaca. Ma anche perchè sappiate reagire a ciò che può succedere intorno a voi, non solo quando si tratta di violenza fisica, ma anche di gesti e comportamenti che comunque feriscono profondamente.
Non è facile crescere, né diventare uomini né diventare donne, e noi adulti non vi stiamo offrendo dei grandi modelli. I messaggi proposti dai nostri media spesso denigrano il corpo e il ruolo di voi ragazze e così facendo offendono e confondono anche voi ragazzi. E tutto diventa più difficile se ai modelli dei media si sovrappongono quelli familiari, poi quelli educativi e ancora quelli delle diverse culture che vanno mescolandosi nella nostra società sempre più multiculturale ma ancora non interculturale.
Per tutti questi motivi contiamo sull'enorme importanza dell'educazione affettiva e sentimentale. E nell'educazione al genere, di cui tutti ci dobbiamo fare carico, come famiglia, come scuola, come società.
Ed è per questo motivo che il nostro libro è per tutti.


Romanzo/Diario: Il diario di Edo. Un adolescente in tempesta, di Fabiana Sarcuno, La spina Edizioni

Il LIBRO:

La storia parla di un ragazzo di nome Edo, il quale sta attraversando un periodo difficile ma molto importante per il resto della sua vita.
Reduce dalla separazione dei suoi genitori, il protagonista deve affrontare un altro faticoso anno scolastico nel quale ci saranno molti cambiamenti: l’arrivo del Prof Verano e il cambio di scuola di un suo compagno.
Il nuovo anno è difficile anche per Aurora, una grande amica e anche “l’amore” del protagonista, la quale ha scoperto di avere una malattia grave.
Tra mille avventure i ragazzi (il protagonista ed i suoi amici), tra le quali il viaggio a Praga, alla fine dell’anno si vedono molto diversi da i ragazzi che erano il settembre dell’anno precedente; queste esperienze infatti hanno aiutato loro a crescere.


Fabiana Sarcuno, Contestualmente al lavoro scolastico, svolgo l'attività di autrice, rivolgendomi soprattutto al pubblico degli adolescenti e dei preadolescenti. Inoltre, sempre nell'ambito della narrativa per ragazzi, eseguo curatele di classici, curandone la redazione e l'apparato didattico.

DOCUMENTARIO: “LEVARSI LA CISPA DAGLI OCCHI”, di Carlo Concina e Cristina Maurelli

IL FILM/DOC: dalla presentazione di Vito Mancuso

La realtà del progetto "leggere libera-mente" la sto seguendo da qualche mese ma dopo essere stato all'interno delle mura di Opera mi sono reso conto che quest'idea meravigliosa sarebbe potuta diventare patrimonio di molte persone attraverso l'invito del film.
"Levatevi la cispa dagli occhi" viene rivolto in primo luogo a chi è fuori dalle mura: liberatevi dall'idea comune che avete dal carcere perchè ad Opera sta succedendo qualcosa che può diventare modello per altri sistemi carcerari.
I detenuti che si vedono in questo film sono persone libere nello spirito, hanno ritrovato un nuova libertà, un motivo di vita all'interno del carcere attraverso i percorsi di lettura e scrittura creativa. In secondo luogo l'invito è rivolto a chi è dentro e non vuole vedere l'opportunità che gli è davanti agli occhi.
L'immagine che più mi ha colpito della giornata all'interno del carcere è quella dopo la proiezione: i protagonisti del film sono saliti su palco e si sono rivolti a tutti gli altri detenuti che probabilmente non credono all'importanza del progetto. E allora l'invito più forte è rivolto a loro con le parole di Dino: "Leggere e scrivere all'interno del carcere è importantissimo per non essere fagocitati da questa realtà".
Mi auguro che questo film possa far conoscere questo progetto a più persone possibili, a partire dai giovani, che sono la nuova generazione, all'interno della quale deve formarsi l'idea che il carcere non deve solo essere "punitivo" ma anche "costruttivo".





INFORMAZIONI

Coordina gli incontri: Alessandra Montesanto, Vicepresidente dell'Associazione per i Diritti Umani



Gli alunni possono realizzare un loro lavoro sulle tematiche proposte: un video, un reportage fotografico, un contributo scritto che:



sarà pubblicato su www.peridirittiumani.com

sarà presentato durante l'incontro con gli autori



COSTI:



Contributo di 4 euro per alunno partecipante



Eventuali spese di viaggio per i relatori



Gli incontri potranno svolgersi al mattino oppure al pomeriggio, in base alle esigenze scolastiche. Si terranno direttamente nelle scuole, anche a classi accorpate.



Per ulteriori informazioni e prenotazioni, scrivere a: peridirittiumani@gmail.com

mercoledì 9 settembre 2015

Monica Priore si racconta: la malattia, lo sport, la vita









Monica Priore: all’età di 11 anni comincia ad avvicinarsi al mondo sportivo entrando a far parte di una squadra di pallavolo. La sua militanza nella squadra cessa quando nessun medico vuole prendersi la responsabilità di rilasciarle il certificato di idoneità medica di cui necessita. Decide allora di cambiare sport ed inizia a praticare nuoto. Nel febbraio 2004 partecipa al suo primo campionato regionale aggiudicandosi una medaglia di bronzo. Il 23 Aprile 2007 ha ricevuto la targa del CONI di Brindisi la “Forza dello Sport”.

Monica Priore racconta la sua storia nel libro intitolato “Il mio mare ha l'acqua dolce”, edito da Mondadori e l'Associazione per i Diritti Umani l'ha intervistata per voi. 



“Ero una bambina con i riccioli, volevo costruire castelli di sabbia in spiaggia con mio fratello e i miei cugini, ma ho dovuto cambiare programma. Siamo tornati in città e le vacanze le abbiamo passate nel reparto di Diabetologia per adulti. Avevo braccia lunghe e magre, livide dal gomito in giù: mi facevano un buco ogni due ore. Ora le mie braccia sono remi: sento la forza che irradiano, sento i muscoli tendersi, le spalle ruotare, le mani irrigidirsi nell'impatto con l'acqua. A ogni spinta avanzo, a ogni spinta mi allontano dalla Monica che ha sofferto, che si è sentita in colpa per essersi ammalata, che si è sentita vittima. Toccare riva è il mio riscatto, la mia conquista. Poche bracciate ancora e sono libera: libera dalla mia rabbia, libera dall'idea di me come malata. Libera di essere solo Monica, la fondista, la prima donna diabetica di tipo 1 in Europa ad avere attraversato a nuoto lo stretto di Messina." Se Monica Priore avesse dato retta ai medici, oggi non sarebbe più sana e nemmeno più felice. Impugnando la diagnosi di diabete di tipo 1, la medicina ufficiale la obbligava a una specie di vita a ostacoli: dieta ferrea, tanta insulina, orari rigidi e una blanda attività fisica per scongiurare il rischio di crisi ipoglicemiche. Un vero inferno. Ma Monica ha sempre sentito nel profondo della sua anima che, se avesse imparato a gestire la sua malattia, avrebbe potuto condurre una vita quasi normale”.

Quando si è ammalata aveva cinque anni e, forse, i ricordi non sono vividi, ma cosa le hanno raccontato i suoi familiari di quel primo periodo ?


Del primo periodo effettivamente ricordo poco, ero piccola avevo 5 anni, i miei raccontano che non feci una piega quando gli infermieri cominciarono a bucarmi, per i prelievi e per le iniezioni di insulina, piangevo solo quando le braccine erano oramai livide e non reggevo più il dolore. Mi chiedevo perché fosse accaduta quella cosa a me e spesso sfogavo la mia rabbia con la mamma dicendole che era colpa sua se avevo il diabete, mortificandola ulteriormente.


Che sentimenti prova quando pensa alla sua infanzia e adolescenza ?


I sentimenti sono diversi, ma quello più forte è la tristezza, perché se all'epoca fossi stata la persona che sono oggi, avrei vissuto meglio quei periodi ed avrei sofferto meno.


Che cosa le avevano detto i medici, all'inizio, riguardo al suo futuro?


I medici non parlavano mai del futuro, ma solo del presente, perché le conoscenze sul diabete mellito di tipo 1 erano poche, e credo che neanche loro sapessero con esattezza come sarebbe potuta essere la mia vita.

In che modo ha deciso di gestire la malattia?

Ho deciso di gestire la malattia con lo sport, non piangendomi a dosso e dando sempre il massimo delle mie potenzialità in ogni circostanza. Il diabete è un ostacolo in più, ma la vita è sempre vita, magari la si guarda da una prospettiva diversa, ma sempre vita è.


Che donna è, oggi?


Oggi sono Monica, una donna tenace, testarda e un po guerriera, non so come sarei stata senza il diabete, ma so che è merito suo se oggi sono più forte.
   

mercoledì 2 settembre 2015

Proposte di incontri con gli autori per le scuole (e altro)

Carissimi docenti,
speriamo che abbiate trascorso delle buone vacanze e che siate pronti, come noi, a ricominciare!
Oggi pubblichiamo le proposte dell'Associazione per i Diritti Umani rivolte agli alunni delle scuole MEDIE.

Nei prossimi giorni pubblicheremo anche le proposte per le scuole SUPERIORI, le UNIVERSITA' e il PROGRAMMA degli incontri pubblici che si terranno a Milano, ma che potrebbero essere organizzati anche in altri luoghi.

Per qualsiasi informazione, potete scriverci all'indirizzo mail: peridirittiumani@gmail.com

A presto e buona lettura!




INCONTRI CON GLI AUTORI:

proposte per le classi seconde e terze medie




IL ROMANZO: “In piedi nella neve” di Nicoletta Bortolotti, edito da Einaudi



IL LIBRO:


Sasha ha quasi tredici anni e una passione bruciante: il calcio. Come potrebbe

essere altrimenti? Suo padre è Nikolai Trusevyc, portiere della squadra più forte del Paese: la Dynamo Kiev. Ma in Ucraina, nel 1942, il pallone non è cosa per ragazze.

E dopo l'invasione da parte del Reich non è cosa nemmeno per i campioni della Dynamo: accusati dai nazisti di collaborare con i sovietici e ridotti per questo alla fame e all'inattività, i giocatori hanno perso la voglia di vivere. Quando, a sorpresa, i tedeschi organizzano

un campionato cittadino, non lo fanno certo per perdere; Sasha, d'altra parte, sa che suo padre e i compagni giocano sempre per vincere... Stavolta, però, vincere significherebbe morire. E qual è la vera vittoria? Lottare fino all'ultima azione, come chiede il pallone,

o sabotare la partita, come le ha intimato un misterioso spettro, nel buio di un sottopasso? Mentre il fiume Dnepr, gelido, si porta via l'infanzia di Sasha, la Storia segue il proprio corso: il match avrà un esito cosi incredibile che nessuno, per lungo tempo, potrà raccontarlo. 





IL ROMANZO: “Sulle onde della libertà” di Nicoletta Bortolotti , edito da Mondadori

Il LIBRO:

"Mi chiamo Mahmud e abito in un posto che dicono terra di tutti e di nessuno.
O anche prigione a cielo aperto. Ma il suo vero nome è Gaza City. Ho un'unica passione, un unico sogno, un'unica fissa: il surf."
Mahmud vive a Gaza City, una città colpita ogni giorno dai bombardamenti, e adora il surf. Anche Samir adora il surf. Ma il primo è palestinese e l'altro israeliano. Ma che differenza fa? Hanno tutti e due gli stessi sogni e aspettano tutti e due la stessa onda da cavalcare. E non importa se quell'onda sarà israeliana o palestinese...

Nicoletta Bortolotti, nata in Svizzera, vive in provincia di Milano. Lavora come redattrice e ghost writer nell’editoria per ragazzi, e ha firmato diversi libri di successo per adulti, tra i quali E qualcosa rimane (Sperling&Kupfer). Mamma di due bambini trova il tempo di scrivere in treno, che è la sua “casa viaggiante”.



RACCOLTA DI RACCONTI: “CHIAMARLO AMORE NON SI PUO'. La violenza di genere”, di 23 autrici, edito da MAMMEONLINE



IL LIBRO:

Cari ragazzi e care ragazze che vi affacciate al mondo dei grandi, questo libro è per voi. Perché impariate dai nostri errori, impariate che amore vuol dire rispetto e non sopraffazione, che amare vuol dire permettere all'altro/a di essere se stessi. Insomma l'amore non può essere egoista, altrimenti non lo si può chiamare amore.
23 scrittrici per ragazzi vi offrono questi racconti per aiutarvi a riflettere e a dialogare, perché non rimaniate in silenzio di fronte ai tremendi fatti di cronaca. Ma anche perchè sappiate reagire a ciò che può succedere intorno a voi, non solo quando si tratta di violenza fisica, ma anche di gesti e comportamenti che comunque feriscono profondamente.
Non è facile crescere, né diventare uomini né diventare donne, e noi adulti non vi stiamo offrendo dei grandi modelli. I messaggi proposti dai nostri media spesso denigrano il corpo e il ruolo di voi ragazze e così facendo offendono e confondono anche voi ragazzi. E tutto diventa più difficile se ai modelli dei media si sovrappongono quelli familiari, poi quelli educativi e ancora quelli delle diverse culture che vanno mescolandosi nella nostra società sempre più multiculturale ma ancora non interculturale.
Per tutti questi motivi contiamo sull'enorme importanza dell'educazione affettiva e sentimentale. E nell'educazione al genere, di cui tutti ci dobbiamo fare carico, come famiglia, come scuola, come società.
Ed è per questo motivo che il nostro libro è per tutti.


Romanzo/Diario: Il diario di Edo. Un adolescente in tempesta, di Fabiana Sarcuno, La spina Edizioni

Il LIBRO:

La storia parla di un ragazzo di nome Edo, il quale sta attraversando un periodo difficile ma molto importante per il resto della sua vita.
Reduce dalla separazione dei suoi genitori, il protagonista deve affrontare un altro faticoso anno scolastico nel quale ci saranno molti cambiamenti: l’arrivo del Prof Verano e il cambio di scuola di un suo compagno.
Il nuovo anno è difficile anche per Aurora, una grande amica e anche “l’amore” del protagonista, la quale ha scoperto di avere una malattia grave.
Tra mille avventure i ragazzi (il protagonista ed i suoi amici), tra le quali il viaggio a Praga, alla fine dell’anno si vedono molto diversi da i ragazzi che erano il settembre dell’anno precedente; queste esperienze infatti hanno aiutato loro a crescere.


Fabiana Sarcuno, Contestualmente al lavoro scolastico, svolgo l'attività di autrice, rivolgendomi soprattutto al pubblico degli adolescenti e dei preadolescenti. Inoltre, sempre nell'ambito della narrativa per ragazzi, eseguo curatele di classici, curandone la redazione e l'apparato didattico.

DOCUMENTARIO: “LEVARSI LA CISPA DAGLI OCCHI”, di Carlo Concina e Cristina Maurelli

IL FILM/DOC: dalla presentazione di Vito Mancuso

La realtà del progetto "leggere libera-mente" la sto seguendo da qualche mese ma dopo essere stato all'interno delle mura di Opera mi sono reso conto che quest'idea meravigliosa sarebbe potuta diventare patrimonio di molte persone attraverso l'invito del film.
"Levatevi la cispa dagli occhi" viene rivolto in primo luogo a chi è fuori dalle mura: liberatevi dall'idea comune che avete dal carcere perchè ad Opera sta succedendo qualcosa che può diventare modello per altri sistemi carcerari.
I detenuti che si vedono in questo film sono persone libere nello spirito, hanno ritrovato un nuova libertà, un motivo di vita all'interno del carcere attraverso i percorsi di lettura e scrittura creativa. In secondo luogo l'invito è rivolto a chi è dentro e non vuole vedere l'opportunità che gli è davanti agli occhi.
L'immagine che più mi ha colpito della giornata all'interno del carcere è quella dopo la proiezione: i protagonisti del film sono saliti su palco e si sono rivolti a tutti gli altri detenuti che probabilmente non credono all'importanza del progetto. E allora l'invito più forte è rivolto a loro con le parole di Dino: "Leggere e scrivere all'interno del carcere è importantissimo per non essere fagocitati da questa realtà".
Mi auguro che questo film possa far conoscere questo progetto a più persone possibili, a partire dai giovani, che sono la nuova generazione, all'interno della quale deve formarsi l'idea che il carcere non deve solo essere "punitivo" ma anche "costruttivo".





INFORMAZIONI

Coordina gli incontri: Alessandra Montesanto, Vicepresidente dell'Associazione per i Diritti Umani



Gli alunni possono realizzare un loro lavoro sulle tematiche proposte: un video, un reportage fotografico, un contributo scritto che:



sarà pubblicato su www.peridirittiumani.com

sarà presentato durante l'incontro con gli autori



COSTI:



Contributo di 4 euro per alunno partecipante



Eventuali spese di viaggio per i relatori



Gli incontri potranno svolgersi al mattino oppure al pomeriggio, in base alle esigenze scolastiche. Si terranno direttamente nelle scuole, anche a classi accorpate.



Per ulteriori informazioni e prenotazioni, scrivere a: peridirittiumani@gmail.com

domenica 10 maggio 2015

L'esecuzione di Farzad Kamangar



In memoria dell'esecuzione di Farzad Kamangar (di cui abbiamo già parlato a proposito del romanzo “Lullaby”) vi proponiamo questo intervento che ci ha mandato l'associazione Novel Rights, con cui collaboriamo e che vogliamo ringraziare.


Dear Friends and supporters,


Today we mark the 5th anniversary of Farzad Kamangar's execution.





"How did Farzad move so many people? Was it something in his voice, spreading across the internet and making him one of the most influential Iranian figures of 2010? Did he hypnotize us with his poems? His letters?

Farzad Kamangar couldn’t stop his torturers from breaking his chin and teeth, but he was able to maintain the life within him through imagination and literature. “I won’t let them kill me inside,” was his goal—and he reached it."




Ava Homa
Ava Homa/ Author; Lullaby

I will eventually get out of here. The butterfly that flew away in the night told me my fortune,” Farzad Kamangar wrote in prison, shortly before the Iranian government made the decision to place a noose around his neck.

It was on May 10, 2010—Mother’s Day—that Farzad’s mother heard through the media that her son, who had been told he would be released, was killed.

He had such a tender soul. He loved his students to pieces. Spring was his favorite season. He was born in spring,” his mother says in a video posted on YouTube. But tears stop her from continuing—from telling us that he was executed in his favorite season.

This man who loved spring and his students was charged with moharebeh (enmity with God and the state) and terrorism. It is true. Teaching young children their banned mother tongue terrorizes the Iranian oppressor.

special sale

Farzad Kamangar was tremendously popular, cherished by Kurds and non-Kurds, young and old, men and women. The love others had for him was, ironically, what convinced the authorities to execute him despite his obvious innocence. Popularity terrorizes dictators, who are nourished by hostility and antipathy in their nation.

How did Farzad move so many people? Was it something in his voice, spreading across the internet and making him one of the most influential Iranian figures of 2010? Did he hypnotize us with his poems? His letters?

Farzad Kamangar couldn’t stop his torturers from breaking his chin and teeth, but he was able to maintain the life within him through imagination and literature. “I won’t let them kill me inside,” was his goal—and he reached it.

In one of his letters—hich are still available on the internet—he describes being transported to Sanandaj Prison, Kurdistan. He paints a vivid picture of Kurdistan in the autumn for us through his view—not only from the window of the plane, but also through the window of his imagination. He writes little about his anguish, but instead about his moments of falling in love while listening to the music of legendary singer Abbas Kamandy and of hiking the Awyar Mountain. He is distracted from these memories only when the bitterness of the blood he accidentally swallows threatens to suffocate him.

The prison guard who anxiously checks that Farzad has survived a severe beating doesn’t know, cannot know, that Farzad, in his mind, is dancing at his wedding, waving his chopi—his handkerchief—in the air and shouting, “Cheers! Cheers to all the prisoners’ mothers who are awaiting reunion with their children. Cheers to all the men and women who lost their lives for their ideals.”

That is what has made Farzad Kamangar a legend. He is one of the few people on the planet—like Nelson Mandela, like Leila Zana—who was not broken under torture.

Lullaby / Ava Homa
Farzad Kamangar / Illustration: Tamar Levi

Farzad Kamangar was a teacher devoted to improving the life of village children. He was all too familiar with suffering, both directly in his own life and indirectly through others’ experiences. Farzad knew the pain of Kurds, the pain of ethnocide and linguicide. He was familiar with the widespread poverty in Kurdistan resulting from politicization of the region, with the abuse and violence suffered by women because of the government’s gender policies. For Farzad, the hurt wasn’t just the physical torture he endured—it was the pain of his nation.

His voice, his imagination, his words, his ability to touch the agony of others made Farzad Kamangar an icon representing all political prisoners who have been executed at the hands of the Iranian government. He was and still is a strong inspiration. He continues to live in the heart of all those who admire him. His voice continues to be heard not only through his own writing, but also in the poems and stories he inspired.

Novel Rights has published a short story inspired by Farzad Kamangar’s letters from prison: “Lullaby” offers a glimpse of his powerful reality.










giovedì 9 aprile 2015


Corso di lingua ITALIANA per alunni STRANIERI
 
 

La scuola è il luogo che, più di altri, può e deve favorire l'inclusione dei ragazzi stranieri nelle città e nelle società in cui vivono. Spesso vengono introdotti in classe dopo aver lasciato il proprio Paese d'origine e senza aver avuto il tempo e la possibilità di adattarsi alle nuove abitudini, alla nuova lingua, alla nuova situazione.

I ragazzi di “seconda generazione” (ovvero i figli di persone immigrate) in casa parlano la lingua dei genitori e questo comporta una difficoltà ulteriore ad imparare la lingua italiana.

Per questi motivi l'Associazione per i Diritti Umani - www.peridirittiumani.com - propone alcune lezioni rivolte agli alunni stranieri che debbano migliorare l'uso della lingua italiana (parlata e scritta).

Le lezioni prevedono:

esercizi di grammatica, elaborazione di testi scritti e conversazioni con l'insegnante e in gruppo.



MODALITA'

Il corso si svolge dal 15 giugno al 20 luglio

Presso la sede scolastica (mattino o pomeriggio)

Gruppi composti da 10 alunni



ORARI e COSTI

Ogni lezione è della durata di 90 minuti



5 lezioni = 60 euro ad alunno

10 lezioni = 100 euro ad alunno

15 lezioni = 130 euro ad alunno



Per ulteriori informazioni: peridirittiumani@gmail.com

domenica 5 aprile 2015

Io ME LA GIOCO! Progetto giovani e nuove dipendenze





Il teatro parla DEI giovani e si rivolge direttamente a loro: la storia di un padre, di un figlio e di un insegnante. Una storia di relazioni, inficiate dal vizio del gioco d'azzardo. Una storia di dipendenza, di vuoti affettivi e di modelli educativi.

Questo e molto altro nello spettacolo intitolato Io me la gioco!, in scena presso il Teatro Verdi di Milano dal 16 al 26 aprile.

La produzione è del Teatro del Buratto, per la scrittura e la regia di Ranata Coluccini.

Nello spettacolo si è deciso di mettere in scena gli adulti e di presentare i giovani con immagini per sottolineare la condizione di “inafferrabilità” di un mondo, quello adolescenziale, da parte dei più grandi.



Per i lettori del nostro sito e per chi segue l'Associazione per i Diritti Umani, il teatro Verdi propone una promozione:

Biglietti scontati a 14€ anziché 20€ (previa prenotazione: prenotazioni@teatrodelburatto.it – 02 27002476), un ulteriore sconto pari al 50% - quindi biglietti a 10€ per un gruppo di minimo 10 persone.

Teatro Verdi, Via Pastrengo 16 Milano







mercoledì 25 marzo 2015


Corso di lingua ITALIANA per alunni STRANIERI
 

La scuola è il luogo che, più di altri, può e deve favorire l'inclusione dei ragazzi stranieri nelle città e nelle società in cui vivono. Spesso vengono introdotti in classe dopo aver lasciato il proprio Paese d'origine e senza aver avuto il tempo e la possibilità di adattarsi alle nuove abitudini, alla nuova lingua, alla nuova situazione.

I ragazzi di “seconda generazione” (ovvero i figli di persone immigrate) in casa parlano la lingua dei genitori e questo comporta una difficoltà ulteriore ad imparare la lingua italiana.

Per questi motivi l'Associazione per i Diritti Umani - www.peridirittiumani.com - propone alcune lezioni rivolte agli alunni stranieri che debbano migliorare l'uso della lingua italiana (parlata e scritta).

Le lezioni prevedono:

esercizi di grammatica, elaborazione di testi scritti e conversazioni con l'insegnante e in gruppo.



MODALITA'

Il corso si svolge dal 15 giugno al 20 luglio

Presso la sede scolastica (mattino o pomeriggio)

Gruppi composti da 10 alunni



ORARI e COSTI

Ogni lezione è della durata di 90 minuti



5 lezioni = 60 euro ad alunno

10 lezioni = 100 euro ad alunno

15 lezioni = 130 euro ad alunno



Per ulteriori informazioni: peridirittiumani@gmail.com

venerdì 20 febbraio 2015

Ho fatto della rabbia la mia spinta, così ho vinto contro il bullismo (da Nobullismo.it)



La mia storia ha inizio in prima media, quando d’un tratto hanno iniziato ad umiliarmi in ogni modo possibile e inimmaginabile. Niente violenza fisica, quella se la sono risparmiati, ma una violenza psicologica continua, che per quattro anni ho subito in silenzio. Ho sopportato tutto e i professori non facevano niente, guardavano e incolpavano me. Ecco allora la bocciatura e la rabbia. Tanta rabbia, non verso gli altri, ma verso me stessa, per aver acconsentito che mi trattassero cosi per tutto quel tempo.
E’ la rabbia che mi ha dato la spinta per reagire e rialzarmi.
Sono diventata più sicura, dura e cattiva con chi se lo meritava e ho fatto di tutto per riconquistare una parvenza della felicita che mi avevano strappato, come squali e ci sono riuscita.

Ho vinto io non il bullismo. A volte scherzando dico di aver giocato i miei Hunger Games e si, io li ho vinti. Mi ritengo fortunata di non avere le problematiche che purtroppo hanno ancora le ex vittime, come problemi di ansia, di insicurezza. Per altri è stato ed è difficile rialzarsi ed andare avanti.

Sono fortunata e ringrazio la rabbia costruttiva che mi ha guidata. A piccoli passi ho riconquistata un’autostima disintegrata e con pazienza l’ho ricomposta. Ho alti e bassi ma sto in piedi alla faccia dei miei ex bulli, sono felice e serena. La mia rivincita è ogni giorno, quando mi alzo dal letto e vado avanti con la mia vita,non mi volto certo indietro. Guardo avanti.

Penso che per risolvere il problema si dovrebbe sensibilizzare prima di tutto il corpo docente in materia e introdurre pene severe, visto che in alcuni casi ci sono stati dei suicidi che io definisco “omicidio premeditato”. Attuerei l’ergastolo, visto la gravità del bullismo, che induce al suicidio vittime innocenti.

Questa è la mia storia e adesso nessuno potrà farmi del male, sono rinata, e sono più forte che mai!

A tutti i ragazzi, usate la vostra rabbia, la vostra energia e le vostre emozioni come spinta per andare avanti, per superare i bulli e vincere la vostra battaglia. Non lasciate che vi fermino e vi facciano cadere.