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martedì 17 novembre 2015

Bollino rosso



di Mayra Landaverde



Finchè non sono arrivata in Italia non ero pienamente consapevole di tutti i diritti che venivano negati sistematicamente alle donne in Messico. Non che in Italia non ci siano problemi di violenza sulle donne ma obiettivamente si sta meglio da queste parti.

Nel mio primo ritorno al mio Paese ho capito che non sarei stata capace di rimanere per lunghi periodi.

Una sera mentre aspettavo per strada un taxi , mi sono accesa una sigaretta. Due signore mi hanno insultato perché era ignobile guardare una donna fumare in pubblico, che svergognata!

Un vecchio mi ha chiesto se ero prostituta ed io ho deciso di spegnere la sigaretta. Avrei fumato comunque nel locale con le mie amiche.

Trovato il taxi, ovviamente guidato da un maschio che non ha smesso di farmi dei “complimenti” e di provarci insistentemente, sono arrivata al locale, pieno di ragazze in minigonna, tacchi alti, truccate. Si fumava si beveva e si ballava. Tutti, maschi e femmine.

Finalmente, eravamo tutti dei giovani con la voglia di divertirci, ero sicura di passare una bella serata con gli amici. Lì nessuno mi ha detto niente. Fumavo tranquilla, ho bevuto la birra e ho ballato. Pensavo che dopo tutto il Messico non era male, che a volte qualcuno ti diceva qualcosa in merito al tuo corpo ma non per offenderti. O sì?

 

Da tutte le conversazioni che ho sostenuto con le donne in questo mio viaggio, nove su dieci avevano subìto in qualche modo degli abusi fisici o psicologici da parte di un maschio.



Insomma se voglio andare avanti al lavoro devo lasciarmi palpeggiare dal capo ogni volta che ci passo vicina. Ma non c’è la faccio più, dovrò per forza trovarmi un altro impiego”: questo lo raccontava A mentre eravamo in bagno al locale. Io sono rimasta stupita che la cosa che più preoccupava la ragazza non fosse il fatto dell’abuso di potere del capo nei suoi confronti nè l’umiliazione subìta in quanto donna. No, la cosa che la preoccupava di più era che cambiare lavoro sarebbe stato difficile. Certo che pensava a quello, ha un bambino, ha un mutuo, deve mangiare, deve pagare le bollette, quindi la violenza di genere in questo caso passa in secondo piano. Ed è sempre così. Ormai noi donne pensiamo che il nostro corpo sia un oggetto. Ce l’hanno sempre detto, allora sarà vero. Vediamo donne- oggetto in tv, nelle pubblicità, ovunque. E se il capo ti molesta o stai zitta e glielo fai fare oppure cambi lavoro. Ma di lavoro ce n'è pochissimo.



La vicina di casa di mia sorella era convinta (e forse lo è ancora adesso) che il marito potesse forzarla ad avere rapporti sessuali solo in quanto è suo marito: le ho spiegato che quello si chiama stupro ma lei quasi offesa mi ha chiesto ma come fa a violentarmi? Lui è mio marito! .

In Messico ogni 4 minuti e mezzo viene stuprata una donna e, nella maggior parte dei casi avviene in casa, da parte del coniuge. Le denunce di questi casi sono in pratica inesistenti.



Quest’anno il Ministero degli Interni ha annunciato alerta de género in 11 località del paese.

La “alerta de género” è una specie di bollino rosso che nomina le città in cui più donne muoiono in modo violento, per stupri, torture, sequestri ecc. Violenza sulle donne. Soltanto quest’anno se ne parla apertamente.



Il governo messicano forse si sta dimenticando dei femminicidi di Cd. Juarez.

Dal 1993 si contano più di 700 donne violentate, torturate, uccise e abbandonate nel deserto.

Le primissime vittime erano tutte bambine.

Nel 2006 hanno trovato il corpo irriconoscibile di una bambina di tre anni.

Nello stesso anno la polizia messicana arrestò e incarcerò un cittadino egiziano di nome Omar Sherif Latifh con l'accusa di guidare una banda di delinquenti e stupratori. Secondo le indagini avrebbero fatto tutto; stranamente le donne hanno continuato a sparire da vive e ritrovate da morte. Anche adesso nel 2015.

Davanti a così tanta corruzione e indifferenza mi sembra inutile scrivere su tutte le altre false indagini e arresti che la Polizia ha fatto. Nessuna ha portato a niente. Le donne vengono lasciate morire dallo Stato. Vengono lasciate anche le famiglie che, al contrario delle istituzioni governative, si sono ben organizzate per protestare, chiedendo una reazione forte da parte dello Stato.

Stiamo ancora aspettando risposte. Anzi stiamo ancora aspettando azioni concrete che fermino la violenza smisurata sulle donne messicane. Metterci su un bollino rosso come allarme non serve a nulla. Servono delle azioni reali. Ora.






martedì 3 novembre 2015

America latina: i diritti negati



LA 72”



di Mayra Landaverde


Situato nel comune di Tenosique, Tabasco, "Il rifugio 72 casa per gli immigrati" dà loro uno spazio che ospita temporaneamente le difficoltà della strada. Qui ci si aspetta il treno “La Bestia” si riposa, si mangia. Si tengono anche delle visite mediche per chi ne abbia bisogno. Qui è un rifugio anche per nascondersi dalla criminalità organizzata.


Ma questo luogo, che dovrebbe essere di passaggio, per molti alla fine diventa una sorta di limbo dove si aspetta: si aspetta il denaro inviato dalle famiglie, si aspetta di trovare un lavoro, si aspetta di guadagnare forze. La vita in "La 72" prende per questa parte di migranti un'atmosfera di una calma domesticità in cui è difficile andarsene, dinamiche in cui questi uomini (la maggior parte degli ospiti sono maschi) ormai si erano abituati. Un vero rifugio dove fanno amicizia, dove mangiano insieme agli altri, dove ognuno si racconta. Ma alla fine tutti partono sempre con la speranza di riuscire ad arrivare dall’altra parte della frontiera e compiere il sogno americano.

* Questa serie di scatti fotografici di OLIVIA VIVANCO ha vinto il terzo posto nel XXXII Concorso di fotografia antropologica “Migrazioni” della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia, l’INAH e il Ministero per la cultura e le arti.




 
 
 
 
 




Olivia Vivanco è nata a Città del Messico. Ha un diplomato alla Scuola Nazionale di Arti Plastiche e fotografia dell’UNAM e un Seminario di fotografia contemporanea 2007 svolto nel Centro de la imagen.


Ha esposto il suo lavoro in luoghi come il Museo dell'Università del Chopo, CNDH, ENAH, Centro de la imagen, Festival internazionale della della fotografia latina nel 2006 e nel 2007 a Parigi e nella Sala della fotografia documentaria per i diritti umani, l'infanzia e la gioventù in Colombia. Ha pubblicato in riviste Mexicanisimo, Picnic Bizco Magazine, Spleen Journal, Registro e Voces de Altaïr. Insegna presso l'Università del Claustro di Sor Juana. Ha ottenuto una borsa di studio nel 2010 per promuovere progetti culturali.


martedì 27 ottobre 2015

Carlos Pronzato: un regista militante in Sudamerica



L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato per voi il regista Carlos Pronzato: figlio di piemontesi, si è trasferito con la sua famiglia in Argentina. Viaggiatore e documentarista indipendente racconta, con i suoi lavori, l'America latina di oggi, i cambiamenti, le crisi, le conseguenze sulle popolazioni delle scelte economico-politiche del Nord del mondo. 
 
 



Ecco le sue parole. Ringraziamo moltissimo Carlos Pronzato per la sua disponibilità.



Il suo è stato definito un cinema "militante": è corretta questa definizione?

 

Questa definizione è in un certo senso corretta se riferita alla parte più rappresentativa della mia opera cioè la descrizione dei movimenti sociali attuali in costante lotta contro l’oppressione del capitale e degli Stati. Un cinema documentale fatto di interventi sociali e politici a lato dei movimenti insurrezionali in America Latina i cui protagonisti sono in maggioranza i militanti; da questo deriva l’espressione “cinema militante”, un cinema che beve alle fonti ispiratrici degli anni ‘60 ed è un riflesso di questa lotta che si estende fino ai giorni nostri, soprattutto nelle strade. Si può dire che è anche militante da un punto di vista economico giacchè è realizzato con un risorse minime attraverso l’appoggio di enti, organizzazioni e contributi di singole persone; e direi anche che forse è ancora più militante per l'abbandono consapevole di altre possibilità estetiche, diciamo così, di lavorare in un ambiente economicamente più vantaggioso, ma in questo modo il regista si prende un impegno politico con il suo tempo.



La sua è una famiglia di artisti: l'arte dei suoi genitori ha influito sulle scelte per il uo lavoro? L'estetica, gli argomenti, etc...



Certamente! L'influenza è stata totale, innanzitutto nel campo artistico, nella conoscenza e nel mondo dell’estetica alleata sempre alla sua funzione etica e sociale e come possibilità estetica e funzionale. Soprattutto nel campo del teatro, della letteratura e del cinema. In particolare nella questione cinematografica che sviluppo io, sono stati cruciali gli anni delle mie esperienze in molti Paesi dell'America Latina prima di stabilirmi in Brasile e anche l'influenza di uno dei film interpretato da mio padre, Victor Proncet, che è stato anche sceneggiatore e autore del racconto che ha dato origine al film: “I traditori” del regista desapararecido Raymundo Gleizer, regista e film icona del cinema politico di tutto il mondo.



E' vero che il Brasile sta vivendo una fase di crescita economica? E allora perché molti criticano il governo attuale?



Il Brasile ha attraversato un periodo di crescita economica spettacolare negli ultimi anni, ed è riuscito a superare i tempi duri dopo il 2008, ma adesso è entrato in una fase di recessione e nella crisi globale. Questo è un dato fondamentale anche per capire il rifiuto nella popolazione contro le indicazioni del governo del PT e la sua alleanza di mera governabilità con altri partiti (tra cui anche figure storiche della politica brasiliana) e non solo di centro-sinistra. Un governo socialdemocratico che ha saputo distribuire le prestazioni sociali durante i periodi positivi (ma in parallelo a questo è necessario registrare i profitti record delle banche e delle multinazionali presenti nel Paese), ma che si è allontanato dalle sue basi sociali e dai movimenti che gli hanno dato la possibilità di accedere al potere politico, mentre il potere economico resta intoccabile. Le critiche e le grandi mobilitazioni che ci sono ora in Brasile contro il governo sono espressioni di una disputa elettorale che punta al 2018, di contenuto politico molto basso, interpretato dai settori di una élite che ha perso i settori chiave dello Stato per il loro business e che ora sono manipolati da un altro gruppo politico. Nel mese di giugno 2013 ci sono state mobilitazioni molto più potenti ed esplosive nel contenuto socio-politico che puntavano molto oltre al governo di turno, puntavano a un sistema, a un ordine capitalistico che sembra immutabile e continua a distruggere il pianeta, come già successo in varie parti del mondo. Ma quelle manifestazioni di ribellione legittime e autentiche alla ricerca di qualcosa di nuovo continuano ad essere offuscate dalle marce costanti e padronali dal profilo elettorale. Qui si fa riferimento a una “elezione Fla-Flu” (squadre di calcio brasiliane molto popolari), come fosse una disputa calcistica.



In generale, quali sono i rapporti tra l'America latina e il Nordamerica (soprattutto per quanto riguarda l'accoglienza dei migranti) ?



Le relazioni tra l'America Latina e il Nord America, in termini di migrazione, sia obbligatoria che volontaria, sono molte. Entrambe le aree geografiche hanno ricevuto milioni di schiavi dall’ Africa, uomini e donne, che hanno costruito questi Paesi, e al di là dei loro contributi culturali e delle relazioni sociali, il razzismo ha avuto risposte diverse ma tutte terribili fino ad oggi, per la loro dignità. A proposito di gruppi provenienti da altri luoghi, me compreso, come discendente di italiani (padre italiano) e galiziani (madre nipote di galiziani), la loro presenza è stata determinante nella costruzione di un'identità (ancora in formazione) realizzata sulla distruzione dei popoli indigeni di entrambe le regioni. Questo è stato un incendio, letteralmente, ma bisogna prendere in considerazione anche gli aspetti culturali positivi. Qui, nel sud, ci sono tanti che difendono un’unificazione latino-indo-afro, unificando tutte le radici, le origini e le terre in cui vivono, ma ci sono anche altri che si palesano proprio nel campo economico e nel raggio d’azione americano. A seconda della vicinanza geografica agli Stati Uniti, questa influenza sarà maggiore o minore. Per alcuni, questa vicinanza, come ha detto una volta lo scrittore messicano Carlos Fuentes, non è così benefica: “Tanto lontani da Dio e tanto vicini agli Stati Uniti".



Perché ha deciso di raccontare, nei suoi film, le trasformazioni sociali del sudamerica?


Credo di aver risposto a questa domanda sopra quando ho fatto riferimento agli anni in cui sono vissuto in altri Paesi dell'America Latina. A quel tempo non mi dedicavo alle mie occupazioni attuali, ma certamente è stato un periodo di formazione, di osservazione sul campo, fondamentale per il mio processo di sviluppo estetico e penso soprattutto per la ricerca di un’etica che si trasformi in proposta di lavoro e di vita. Queste trasformazioni stanno procedendo con una dinamica esaustiva e col riconoscimento di determinati obiettivi specifici, la scelta di temi specifici da essere affrontati dal genere documentario è una decisione praticamente quotidiana. E soprattutto oggi, quando ogni azione politica è immediatamente postata sul web, il nostro mestiere e professione di documentaristi è affinare gli strumenti di originalità creativa per continuare a costruire narrazioni, esempi di lotta per tutti e soprattutto per coloro che dedicano la loro vita per salvaguardare i diritti inalienabili dell’Umanità, costantemente vilipesi dal capitale e dai suoi portavoce della politica istituzionale.

martedì 20 ottobre 2015

Il Plan Frontera Sur : caccia ai migranti



di Mayra Landaverde
 
 
 


Il 7 luglio 2014 il Governo dello Stato Messicano ha annunciato l’inizio di una campagna in materia di migrazione. Il Plan Frontera Sur.

Secondo le parole del Presidente della Repubblica del Messico, Enrique Pena Nieto, il “ Programma Frontiera sud” ha due obiettivi: il primo e il più importante è di proteggere i migranti centroamericani che transitano per il nostro paese con l’intenzione di arrivare negli Stati Uniti. Il secondo obiettivo è mantenere in ordine la frontiera.


Mantenere in ordine la frontiera? Proteggere i migranti?

Tutt’altro.

Dopo soltanto un anno il PFS ha prodotto circa 107,199 deportazioni verso il Centroamerica.

Nel 2013 i deportati sono stati 77,395.

Il 54% dei migranti ha fra i 18 e i 30 anni. Il 25% restante va dai 30 ai 40 anni. Provengono maggiormente da Guatemala, Honduras e da Il Salvador.

Sono aumentati i crimini commessi contro gli immigrati da parte di criminali comuni, della criminalità organizzata e delle autorità.


La Casa dei migranti (che si chiama “ La 72”) ha documentato e accompagnato decine e decine di persone che denunciano le violenze davanti alla Fiscalía especializada en delitos contra migrantes, organo la cui principale missione è difendere i diritti umani degli immigrati.

Le denunce non sono solo verso la criminalità organizzata ma anche contro istituzioni come l’INM (Istituto Nazionale per la Migrazione).

Finora le denunce non hanno avuto nessuna risposta.


Il PFS ha significato la persecuzione, la repressione e la morte per i migranti. Sempre la Casa per migranti “La 72” ha documentato la scandalosa morte di più di 10 migranti nella regione di Tabasco durante il 2015. Morti in cui sarebbero coinvolte le stesse autorità.

Il Segretario degli Interni afferma che le azioni del governo federale saranno indirizzate a "evitare che gli immigrati mettano a rischio la loro vita utilizzando il treno merci noto come La Bestia; sviluppare strategie specifiche per garantire la sicurezza e la protezione dei migranti; combattere e sradicare i gruppi criminali che violano i loro diritti ".

Tuttavia, si è dimostrato che le azioni del governo messicano violano i diritti umani di chi usa ancora il treno per attraversare il Paese.

E’ importante vedere come nel 2014 le detenzioni sono aumentate del 47% .

27 regioni del Paese hanno avuto un incremento nel numero di detenzioni di migranti, per esempio: Chiapas 46%, nel Tabasco 102%, a Veracruz 40% e in Puebla perfino del 130%.

Il rafforzamento delle frontiere e il controllo della migrazione condotto dall'Istituto Nazionale di Migrazioni [INM] per tutto il Messico (non solo ai valichi di frontiera, ma a bordo di autobus, sulle autostrade, sui treni merci, nelle stazioni, ecc.) hanno aumentato l’insicurezza e la vulnerabilità per i migranti che, nella ricerca di nuove strade (molte a piedi), devono affrontare anche altri tipi di avversità: estorsioni da parte della polizia, detenzione illegale da parte dell'INM, il sequestro, lo stupro e, come detto, gli attacchi della criminalità organizzata che ha trovato un terreno fertile in seguito all'attuazione di tale piano.

Gli avvocati dell'immigrazione, inoltre, hanno osservato numerose violazioni in un giusto processo per i richiedenti asilo in Messico, e pochi immigrati hanno la possibilità di raccontare le loro storie alle autorità così il traffico, i rapimenti e gli stupri restano impuniti.

Miguel Angel Osorio Chong, Segretario degli interni dichiara:

"Quello che stiamo pensando, sono politiche di pubblico interesse. L'identificazione e il controllo che ci permettno di sapere esattamente cosa sta succedendo sul confine meridionale, cosicchè tutti i messicani abbiano la certezza di cosa sta accadendo all'interno del nostro territorio e di ciò che passa e questo lo dobbiamo fare tutti in modo coordinato. "

Certo, in questo ha ragione. Tutte le istituzioni per la prima volta si sono coordinate benissimo per rapire, stuprare rubare e far sparire una quantità di migranti che ogni giorno aumenta.


Congratulazioni al Governo messicano, avete copiato alla perfezione certe politiche migratorie di oltre oceano.


martedì 6 ottobre 2015

Te lo ricordi il TTIP?




di Mayra Landaverde



Me lo ricordo il TTIP messicano. Si chiamava TLC “Tratado de Libre Comercio” .
Lo avevano scritto sui libri che usavamo alle elementari. Libri che lo Stato distribuiva gratuitamente a tutti i bambini e bambine del Paese. Il Messico ha una popolazione attuale di 119.715.000 persone.
Nel 1994, quando è entrato in vigore il TLCAN (Tratado de Libre Comercio con America del Norte) eravamo in 93.059.000, di cui un buon 28% era costituito da bambini. Io avevo 9 anni e frequentavo la scuola pubblica dove si sono incaricati di lavarci per bene i nostri piccoli cervelli. Ci dicevano che il TLC avrebbe portato tantissimi vantaggi al nostro Paese, avrebbe creato posti di lavoro, si sarebbero abbassati i prezzi della merce, avremmo avuto un’ ampia scelta dei prodotti più svariati che non immaginavamo neanche. Insomma questo TLC era proprio una figata!
E così andavamo in giro tutti quanti a parlare bene del TLC perché avrebbe portato un sacco di cose belle in Messico, saremmo diventati moderni come i nostri carissimi vicini statunitensi.
Si! Meno male che il Presidente della Repubblica, Ernesto Zedillo, firmò questo trattato con gli Stati Uniti e il Canada: ci voleva proprio, visto che ci leccavamo ancora le ferite del cambio di moneta del 1992 grazie al Presidente Carlos Salinas de Gortari. Ci voleva proprio una bella notizia. Col cambio della moneta i miei genitori hanno perso la casa e non sono più riusciti a pagare la macchina. Era una macchina bellissima, moderna perché eravamo benestanti. Eravamo.
Il clima del Paese era di una depressione collettiva, tutti gli adulti erano tristi, avevano perso le case, il lavoro, le macchine. Tutto. Così lo Stato pensò bene di dire a tutti i bimbi che questo TLC avrebbe fatto ritornare il sorriso sulla faccia dei nostri genitori. Tornavamo a casa entusiasti a parlare di questo trattato che il nostro lungimirante Presidente stava proprio per firmare.
Non vedevamo l’ora di poter comprare tutte le cose che qua non c’erano. Beh, la verità è che qua le cose c’erano, eccome. Ma non è lo stesso: sapete il fascino dei prodotti che vengono dagli Stati Uniti, sì sì proprio loro...Gli Stati Uniti di America, quelli dei Mc Donald’s, dei Burger King dei Kentucky Fried Chicken. Stavano arrivando! Loro, quelli di Monsanto e il loro maiz transgenico.
Mi ricordo benissimo la prima volta che sono entrata a Wal Mart. Mi sono trovata con una scelta ampissima di prodotti che guardavamo solo nei film: pizze surgelate, hamburger surgelati, involtini primavera surgelati. Un mondo del surgelato in questi corridoi lunghissimi illuminati in un modo strano, un po’ come i casinò con delle luci che ti fanno perdere la percezione del tempo. Quando stai lì, vuoi solo comprare cibo. Mi ricordo ancora quanto ero rimasta stupita di queste angurie luccicanti e perfette, tutte ma proprio tutte erano della stessa uguale misura e stavano benissimo sugli scaffali. I pomodori erano rossi rossi e luccicanti, le carote le uve, le mele. Era tutto luccicante e perfetto. C’erano anche gli avocadi, sì, avocadi israeliani. Ma, aspetta la parola avocado viene dal nahuatl ahuacatl lingua degli aztechi. Perché l’avocado è messicano,è nostro. Invece gli avocadi di Wal mart venivano da Israele. Niente di sorprendente per una città come la mia dove c’è un grande parco di nome Ben Gurion.
Dal 1994 in poi il Messico si è riempito di questi grandi supermercati e si è anche riempito di obesità e diabete.
Tutto è cominciato negli anni '90 quando Wal Mart acquisì il 50% dei supermercati diciamo messicani Bodegas Aurrera che comunque sono stati fondati da uno spagnolo. Con l’entrata in vigore del TLC, Wal Mart è riuscito a comprare tutto: Aurrera, Superama, Sam’s, Suburbia e Vip’s e ha gradualmente aperto i Wal mart Supercenter e i Sam’s Club. Tutti supermercati all’ingrosso di cibo spazzatura.
Nel mondo ci sono 670 millioni di obesi. Messico al primo posto. Anche in obesità infantile.
Prendiamo un esempio. Una delle bibite più famose in Messico, escludendo ovviamente la Coca Cola è questa: Manzana Lift. Fra gli ingredienti ci sono in ordine: acqua, zucchero e succo di mela, lo dice il nome stesso della bibita manzana che vuol dire mela. Peccato che il succo di mela sia solo l’1%. La bibita ha 144 kcal. Considerando che a pranzo ne bevi al meno 2 se non 3 bicchieri… ecco che arriva il diabete. Il 99% della popolazione messicana (sì avete letto bene!) consuma Coca cola quotidianamente. Cioè, ogni messicano ne beve almeno 775 bottiglie all’anno, ½ litro al dì. Quando abitavo ancora in Messico bevevo almeno 2 lt di Coca cola al giorno. Mi costava di meno dell’acqua. Perché noi compravamo a Wal mart i pacchi giganteschi di Coca cola. Mio nonno è diabetico ed io ho avuto dei seri problemi gastrointestinali da giovanissima.
La principale causa di morte nel mio Paese è il diabete, segue l’obesità.
Il Messico è maiz. Noi siamo il popolo del maiz. Io non riesco proprio a concepire la mia vita senza. E’ sempre stato il sostento e la base dell’alimentazione dei popoli azteca, maya, zoque, zapoteca, purhèpecha, totonaca ecc.
E voi penserete che mai e poi mai potremmo importare il maiz.
Il TLCAN ha permesso, per fare soltanto un esempio, a Monsanto di venderci il loro maiz transgenico. A partire dal 1994 l’importo di maiz statunitense è aumentato fino ad arrivare a 6 milioni di tonnellate.
Nel 1995 il bilancio destinato all’agricoltura era del 6.4%. Nel 2000 del 2.9%. Lo Stato ha lasciato morire di fame ai 25 milioni di contadini che vivevano grazie alla coltivazione di maiz. Ora tutte queste persone sono diventate consumatrici di maiz contaminato e più del 75% vive sotto la soglia di povertà.
Si, me lo ricordo bene il TTIP.


martedì 22 settembre 2015

Una nuova rubrica. America latina: i diritti negati


Care amiche, cari amici



oggi inauguriamo, con molto piacere, una nuova rubrica. Si intitola “America latina: i diritti negati” ed è tenuta da Mayra Landaverde, giornalista, attivista, esperta di America latina. I suoi testi andranno ad approfondire tematiche sui diritti umani relativi a quell'area del mondo, in particolare la relazione tra Messico e Stati Uniti. Gli articoli verranno pubblicati il MARTEDI, ogni due settimane.

L'Associazione per i Diritti Umani ringrazia tantissimo Mayra Landaverde.





America latina: i diritti negati


Di giornalismo si muore

di Mayra Landaverde


Avevo pensato di invitarlo come relatore a un corso che organizza la mia associazione. Mi sembrava uno molto in gamba e particolarmente informato su una delle regioni più complicate e violente del Messico: Veracruz. Da lì ci passa il treno che trasporta i migranti centroamericani nel loro intento di arrivare negli Stati Uniti. In Veracruz si trovano anche Las Patronas, le donne che tutti i giorni preparano del cibo da lanciare sul treno carico di persone affamate che viaggiano da giorni, da mesi. Ruben era fotoreporter. Aveva scattato ultimamente delle foto scomode per il Presidente della Regione Javier Duarte de Ochoa. Non ho fatto in tempo a contattarlo. Lo hanno ucciso a Città del Messico il 2 agosto di quest’anno. Certo, ufficialmente non si sa il motivo, ma lo sappiamo tutti. Lui stesso si era traferito a Città del Messico per paura di essere ammazzato per i suoi scatti che rivelavano lo spreco di soldi del Governo dello Stato di Veracruz. Aveva detto a tutti di essere stato ripetutamente minacciato ed è andato via. Ma loro l’hanno trovato lo stesso. Delle persone sconosciute sono entrati nel suo appartamento e hanno ucciso Ruben insieme a quattro donne che erano in quel momento con lui.

Ma prima di ammazzarlo l’hanno assediato, minacciato, picchiato. Perché non c’era manifestazione sociale cui lui non partecipasse, anche se l’entourage del Gobernador gli aveva detto molto chiaramente che lui non poteva più scattare foto. Gli negavano l’accesso agli eventi oppure lo intimavano di andarsene anche dalle manifestazioni pubbliche.


A giugno del 2014 il Presidente della Regione Veracruz Javier Duarte ha dichiarato pubblicamente : “ Fate i bravi, verranno tempi difficili, faremo un po’ di pulizia e tanti cadranno”. Qualche mese dopo Ruben è stato trovato morto a casa sua.
A partire dal 2000 ,Veracruz registra al meno 36 giornalisti uccisi.

Reporters Without Borders riporta 3 giornalisti uccisi in Messico nel 2014. In quanto a libertà di espressione il paese si trova al 148 posto in una lista di 180 paesi.

L’anno scorso durante una manifestazione per i 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa, 14 giornalisti sono stati brutalmente pestati dalla polizia e tolti da macchine fotografiche.


Il 4 settembre 2015 in pieno centro di Città del Messico in una via pubblica 3 giornalisti dell’Agenzia SubVersiones sono stati minacciati di morte a causa dei loro reportage troppo scomodi per il Governo del Presidente Pena Nieto.

Il Messico vive una gravissima situazione di censura da anni per questo 500 scrittori, artisti e giornalisti di tutto il mondo (alcuni di loro: Christiane Amanpour, Francisco Goldman, Paul Auster, Noam Chomsky, Salman Rushdie, Gael García Bernal, Diego Luna, Guillermo del Toro, Denise Dresser, Juan Villoro y Sergio Aguayo) hanno scritto al Presidente della Repubblica chiedendo di garantire la libertà di espressione nel paese e la piena sicurezza fisica e psicologica dei giornalisti.


Il paese è in guerra, e non ho paura a scriverlo, perché è così. Stanno ammazzando la gente che non fa altro che il proprio lavoro denunciando la grande ingiustizia e miseria che sta vivendo il mio paese.

E il Governo messicano non fa e non farà nulla, anzi continuerà con la repressione.

Tan solo pochi giorni fa è stata pubblicata la notizia della morte di una giornalista, si, mentre io scrivevo queste righe lei è stata sequestrata torturata e assassinata nel suo domicilio, beh, era una giornalista.

E in Messico di giornalismo si muore.


venerdì 14 agosto 2015

Giornata internazionale dei Popoli Indigeni (9 agosto)



Attivisti indigeni per l'ambiente rischiano la vita - Un nuovo rapporto documenta le sempre maggiori minacce in tutto il mondo.
(da Associazione per i popoli minacciati)


In occasione della Giornata internazionale dei Popoli indigeni (9 agosto), l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) pubblica un nuovo rapporto sulla situazione degli attivisti indigeni. Per gli attivisti indigeni di tutto il mondo chiedere il rispetto dei propri diritti o protestare per la salvaguardia delle proprie terre significa rischiare la vita. In molti paesi del mondo, alzare la voce a favore delle popolazioni indigene comporta la concreta probabilità di diventare vittima di assassinii di Stato, di arresti arbitrari, di essere condannati a lunghe pene detentive ingiustificate, di subire torture o importanti limitazioni della propria libertà di movimento e di parola.

Il nuovo rapporto pubblicato dall'APM mette in evidenza le pratiche adottate da governi e multinazionali per assicurarsi profitti economici senza riguardo delle comunità indigene e delle loro terre. Solamente sull'isola di Mindanao (Filippine) tra ottobre 2014 e giugno 2015 sono stati uccisi 23 leader indigeni impegnati a salvaguardare la loro terra dallo sfruttamento selvaggio imposto da progetti minerari. A Mindanao come altrove nel mondo, gli assassini, che siano sono semplici criminali, paramilitari o forze dell'ordine statali, restano impuniti.

Il rapporto analizza la situazione di dieci paesi in Asia, Centroamerica, Sudamerica e nella federazione Russa e mostra le metodologie violente e senza scrupoli messe in campo da latifondisti, governi e multinazionali per realizzare enormi progetti per lo sfruttamento di risorse naturali quali petrolio, gas, minerali, legname, ma anche di costruzione di dighe o di traffico di droga a scapito della vita non solo dei singoli attivisti ma di intere comunità indigene.

I membri delle comunità indigene sono attivisti per l'ambiente particolarmente motivati, proprio perché la loro sopravvivenza come comunità dipende perlopiù da un ambiente intatto, pulito e sano. La loro agricoltura sostenibile e i fortissimi legami con la propria terra tradizionale da cui traggono sia il senso identitario sia di appartenenza comunitaria dipendono proprio dal rispetto per la natura e l'ambiente. La realizzazione di mega-progetti sulla loro terra implica la distruzione dell'ambiente, l'avvelenamento dei terreni e troppo spesso la messa in fuga o la deportazione delle comunità indigene che ci vivono. Per loro ciò significa cadere nel baratro della povertà estrema, malattia, la perdita dei legami comunitari e delle proprie radici culturali.

La politica ambientale delle nazioni industrializzate sembra limitarsi all'organizzazione e alla partecipazione di vertici per il clima e giornate per la terra, nel proclamare compiaciuti sempre nuovi obiettivi da raggiungere per la salvaguardia del clima, ma di fatto non va molto oltre. Non solo non si impegna a proteggere la vita degli attivisti indigeni, le prime vittime e le maggiormente colpite dalla distruzione ambientale a livello mondiale, ma non pare nemmeno interessata ad ascoltare la loro voce.

Scarica il report [solo in tedesco] in:


https://www.gfbv.de/fileadmin/redaktion/Reporte_Memoranden/2015/Menschenrechtsreport_Nr._77_Indigene_Umweltaktivisten.compressed.pdf

Vedi anche in:



gfbv.it: www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140909it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140801it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2013/130806it.html | www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/brasil-tras.html | www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/global-it.html | www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/dekade-it.html
in www:
http://en.wikipedia.org/wiki/Indigenous_peoples

mercoledì 3 giugno 2015

Le donne sudamericane di cui si parla poco, ma che continuano a lottare





Invisibili? Donne latinoamericane contro il Neoliberismo, di Laura Fano Morrissey edito da Ediesse, è un lavoro molto originale e di grande attualità: parla e racconta le storie di donne del Sudamerica approdate a Roma in cerca di un futuro migliore con le guerriere dell’acqua di Cochabamba, le indigene zapatiste o le Madres de Plaza de Mayo? Cosa lega la migrazione ai grandi movimenti sociali sviluppatisi in America Latina nel nuovo secolo?
Entrambi sono una reazione al neoliberismo spietato che a partire dagli anni ’80 ha stravolto le società e le economie di un intero continente, entrambi sono fenomeni caratterizzati da un forte protagonismo femminile.
Le testimonianze delle migranti e i saggi su quattro eventi emblematici della lotta al neoliberismo in America Latina, contenuti in questo libro, sono accomunati dal fatto che le protagoniste sono spesso donne ordinarie e invisibili, impegnate in modi diversi in una lotta quotidiana contro un sistema economico che le sfrutta in patria e all’estero, ma anche contro il maschilismo e il patriarcato, l’esclusione e la marginalità.



L'Associazione per i Diritti Umani ha rivolto, per voi, alcune domande a Laura Fano Morrissey e la ringrazia molto.





Maria, marcela, Rosa, Yanet e altre: sono le donne-protagoniste del suo lavoro. Come si è svolta la ricerca e quali sono le criticità evidenziate nel loro percorso di migrazione?

 

Le donne protagoniste del libro sono tutte donne che per i più svariati motivi già facevano parte della mia vita. Come spiego nel libro, sono state e loro e l’idea stessa della pubblicazione a presentarsi a me. Mettendo in relazione le loro storie, molto diverse ma con qualche elemento affine, ho avuto l’intuizione di costruirvi intorno una narrazione. Si tratta di sei donne, dunque non vi è mai stata alcuna pretesa da parte mia di voler realizzare un’investigazione dettagliata e rappresentativa del fenomeno migratorio femminile latinoamericano. L’idea iniziale era semplicemente di fornire dei ritratti di sei donne, da cui poi potessero emergere, indirettamente, anche dei ritratti dei loro paesi di origine. Tuttavia, nel dipingere questi ritratti, mi sono poi resa conto che vi erano molte caratteristiche che accomunavano queste donne: le difficoltà incontrate appena giunte in Italia, sia economiche che di integrazione, i rapporti molto ambivalenti con le comunità di connazionali qui a Roma, il quasi rigetto nel trasmettere la propria lingua e le proprie tradizioni alle loro famiglie, per paura che anche loro potessero essere discriminate.


Quali sono i motivi che hanno spinto queste donne a lasciare il proprio Paese? Ci può anticipare una delle loro storie?


Le sei protagoniste hanno lasciato il proprio paese per motivi diversi. Beatriz scappa dalla dittatura argentina, Yanet lascia Cuba per sposare un italiano, Rose è costretta ad abbandonare il Brasile in seguito a gravi episodi di violenza, Marcela vuole lasciarsi alle spalle una delusione amorosa, Rosa viene portata in Italia con l’inganno, Maria vuole assicurare un futuro migliore alle proprie figlie. Tuttavia, con l’eccezione di Beatriz, tutte fanno in qualche modo parte della categoria dei migranti economici. In particolare la migrazione femminile, per quanto riguarda l’America Latina, rappresenta la maggior parte del numero totale dei migranti. Le protagoniste affrontano dunque situazioni molto difficili, non solo in quanto migranti, ma anche come donne. Tutte hanno sulle loro spalle la responsabilità di inviare i soldi a casa per mantenere famiglie spesso numerose, molte di loro sono state costrette a lasciare i propri figli, portandosi dietro rimorsi, sensi di colpa e famiglie problematiche. Quasi nessuna ha avuto accanto una figura maschile forte in questo percorso doloroso. Rosa, che venendo a Roma dal Nicaragua, ha dovuto abbandonare le sue cinque figlie, di cui una molto piccola, dice che se potesse tornare indietro, non lascerebbe il suo paese e piuttosto vivrebbe di pane e acqua. “Ho sofferto così tanto che per me la prigione sarebbe stata meglio. In carcere almeno ogni quindici giorni puoi vedere i tuoi familiari.”

Nel titolo si parla di “neoliberismo”: in che modo, questo sistema economico, non risulta favorevole per le/i migranti ?


Il nocciolo della questione non è tanto se il neoliberismo sia o meno favorevole alle migranti, bensì esso rappresenta la causa stessa della loro migrazione. Tagli ai sistemi basici quali scuola e sanità, privatizzazioni, mancanza di qualsiasi assistenza da parte dello Stato, dominio delle multinazionali, tutto ciò ha spinto una fetta enorme della popolazione latinoamericana ad emigrare. Tuttavia, il neoliberismo, applicato in America Latina già dagli anni 80, sta poi rendendo la vita difficile a queste donne anche qui in Europa, dove assistiamo ad una replica acritica di ciò che era stato sperimentato in altre regioni con conseguenze disastrose.

Mentre le sei donne, e tante come loro, sono emigrate come conseguenza di queste politiche, molte altre invece le hanno combattute aspramente sul territorio. Ed è qui che si inseriscono i quattro casi studio che si alternano alle storie personali delle protagoniste: la lotta zapatista in Messico, la guerra dell’acqua in Bolivia, la reazione alla crisi argentina del 2001 e la difesa di Chavez in Venezuela durante il tentativo di colpo di stato nel 2002.


In Europa si parla poco del continente latinoamericano: perchè, secondo lei, c'è questo vuoto di informazione?


Purtroppo in Europa e dunque anche in Italia c’è una profonda mancanza di informazione su quanto avviene in America Latina, e, ancor peggio, una mala informazione dovuta a preconcetti e ad una visione eurocentrica e neocoloniale. Il senso di superiorità europeo porta da una parte a giudicare i processi in atto nella regione latinoamericana con categorie nostre, assolutamente inadatte ad interpretare una realtà molto diversa. Inoltre questo senso di superiorità non permette di cogliere le lezioni che vengono da quella parte di mondo che invece potrebbero risultarci molto utili, soprattutto in questa fase di crisi profonda che stiamo attraversando. Tutto ciò porta a guardare con supponenza o a condannare i grandi processi di cambiamento avvenuti a Cuba e in Venezuela, così come quelli portati avanti dagli importantissimi movimenti sociali che con innovazione e creatività mettono in discussione il sistema economico e politico dominante.

 

Cosa significa, per le donne da lei incontrate, la parola “casa” ?


La migrazione porta con sé dei processi di emancipazione molto ambivalenti, in cui le identità si rompono e si ricreano. La casa non è più una. Tutte queste donne vorrebbero tornare nei loro paesi di origine, ma poi sono in qualche modo legate strettamente alla realtà che, con difficoltà, si sono costruite qui. Il paese di origine è spesso mitizzato, le cose negative spesso rimosse. Tuttavia, quando queste donne vi si recano, provano nostalgia dell’Italia e non si sentono completamente a casa. Ormai hanno un’identità multipla che le rende straniere ovunque.








mercoledì 26 novembre 2014

La campagna per il diritto all'identità





30.000 persone scomparse tra il 1976 – 1983 e tra questi anche tanti bambini. Stiamo parlando della dittuatura argentina, di quei troppi desaparecidos e di quei loro figli presi, rubati come se non bastasse la violenza già subìta e la perdita della vita.

Da allora, le madri, le mogli, le sopravvissute - soprattutto le abuelas de Palza de Mayo - lottano e continuano a cercare i loro nipoti perchè questi sono ancora vivi e potrebbero risiedere anche in Italia.

Proprio in occasione della democrazia nel Paese sudamericano a distanza di trent'anni, l'Ambasciata italiana, nel 2013, ha lanciato una campagna per il diritto all'identità: su circa 500 bambini, nati da donne sequestrate e uccise dai militari e dati illegalmente in adozione, ne sono stati rintracciati 109, ma bisogna fare di più: “ La macro-tragedia della ditttaura argentina è fatta di tante micro-tragedie familiari” ha sostenuto Carlos Cherniak, capo dell'ufficio politico e diritti umani dell'Ambasciata argentina durante un incontro che si è svolto presso l'Università di Pisa; “Se l'Argentina è riuscita a uscire dagli anni bui del terrore ed entrare in un processo democratico che oggi compie 30 anni, è anche grazie alla capacità delle singole persone che hanno saputo trasformare la loro sofferenza in impegno concreto per la riaffermazione dei diritti civili. Le nonne di Plaza de Mayo ne sono un esempio concreto: da 26 anni si battono per ritrovare i loro 'nietos', portando in giro una causa che oggi ha acquistato una dimensione internazionale”, ha continuato Cherniak.

All'incontro era presente anche Estela Carlotto che ha ricordato la sua storia: “ Nel 1977 mia figlia Laura è stata sequestrata mentre era incinta di tre mesi ed è stata assassinata dai militari argentini dopo aver partorito. Come succedeva in questi casi, il bambino è stato immediatamente consegnato a una famiglia considerata 'affidabile', in grado di crescerlo secondo i 'principi' della dittatura, gli stessi per cui i genitori naturali venivano assassinati” e ha continuato dicendo: “Visti i legami tra l'Italia e l'Argentina, dove metà dei cognomi è di origine italiana, pensiamo che sia possibile che qualche 'nieto' sia arrivato e rimasto qui da voi, forse nelle stesse università in cui erano venuti a studiare. Preghiamo chiunque abbia dubbi sulla propria identità di farsi avanti”. L'accertamento dell'identità viene fatto attraverso l'analisi del DNA.

La campagna, quindi, è ancora in corso.



Per rispondere alla campagna, il riferimento è l'ambito diplomatico argentino, consolati e ambasciata. Si può scrivere alle mail: dirittiumani@ambasciatargentina.it oppure dubbio@retexi.it, entrambi protetti dallo spam bot.

Si possono anche chiamare i seguenti numeri: 335-5866777 oppure 06-48073300, i funzionari garantiscono assoluta discrezionalità.


sabato 15 novembre 2014

Per i 43 studenti uccisi in Messico



L'Associazione per i Diritti Umani vi invita a leggere e poi a firmare il seguente appello, per la memoria di quei 43 studenti ammazzati in Messico e per i loro familiari. Ricordiamo cosa è accaduto: la notte del 26 settembre un gruppo di studenti si sono impossessati di tre autobus per protestare, la polizia locale ha aperto il fuoco contro i manifestanti e ha ucciso uno studente. Nelle ore successive, mentre gli studenti denunciavano l’accaduto, un gruppo armato li ha attaccati. Allo stesso tempo un altro gruppo ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava una squadra di calcio, uccidendo un giocatore. È stato dimostrato che le armi usate dal commando erano della polizia.



L'iniziativa è stata lanciata da Amnesty: www.amnesty.it



Dopo la conferma che i 43 studenti dell'istituto per maestri di Ayotzinapa scomparsi il 26 settembre a Iguala sono stati uccisi e bruciati e i loro resti gettati in un fiume, Amnesty International ha accusato il procuratore generale del Messico, Jesus Murillo Karam, di non aver evidenziato le complicità del governo in questa tragedia.
Le indagini sono state limitate e incomplete e non hanno messo in luce la radicata collusione tra lo stato e la criminalità organizzata, che spiega le gravi violazioni dei diritti umani che hanno luogo in Messico.

Il sindaco di Iguala, il principale imputato per la sparizione dei 43 studenti, è stato a lungo sospettato di corruzione e gravi crimini. Nel giugno 2013 un sopravvissuto a un attacco contro otto attivisti aveva accusato il sindaco di aver preso direttamente parte all'azione, nel corso della quale tre degli attivisti furono uccisi. Il sopravvissuto fornì un resoconto dettagliato, che fu consegnato a un notaio per paura della corruzione della polizia. Il procuratore dello stato di Guerrero non indagò sulla sua denuncia e, nonostante le schiaccianti prove contro il sindaco, l'indagine è stata chiusa nel maggio 2014.

Nel corso delle ricerche sui 43 studenti scomparsi il 26 settembre a Iguala, nella zona sono state rinvenute 19 fosse comuni. Finora sono state arrestate 74 persone. Durante l'attacco agli studenti, sono state uccise sei persone.

Quarantatré studenti scomparsi risultano ancora dispersi dopo che la polizia ha aperto il fuoco contro di loro e dopo essere stati attaccati da sconosciuti a Iguala, stato di Guerrero. Ventotto corpi, non identificati, sono stati ritrovati in una fossa comune vicino a Iguala; la ricerca delle persone scomparse continua.

I 43 studenti non sono stati ritrovati dalla loro sparizione, il 26 settembre nella città di Iguala, nello stato di Guerrero, nel Messico meridionale. Circa 25 di loro erano stati arrestati dalla polizia municipale, mentre gli altri sono stati rapiti da uomini armati non identificati che hanno operato con l'acquiescenza delle autorità locali, poche ore dopo. Tutti gli studenti scomparsi sono vittime di sparizione forzata.

Il 5 ottobre funzionari dello stato di Guerrero hanno ritrovano sei fosse comuni nei pressi di Iguala, a quanto pare a seguito di informazioni fornite da alcuni dei 22 agenti della polizia municipale attualmente in stato di arresto. Almeno 28 corpi sono stati esumati, ma devono  essere effettuati esami medico-legali per identificare i cadaveri. Non è ancora chiaro se si tratta  degli studenti rapiti. Sulla base di una petizione dei rappresentanti di parenti delle vittime, esperti forensi internazionali indipendenti stanno aiutando nel processo di identificazione.

L'Ufficio del procuratore generale federale (Procuraduria General de la República, Pgr) si è assunto l'incarico di gestire l'indagine sulle fosse comuni e l'identificazione dei cadaveri. Tuttavia, l'indagine sulle sparizioni e sugli omicidi di altre sei persone, il 26 settembre - tra l'altro funzionale a determinare dove siano i 43 studenti - rimane all'Ufficio del procuratore generale dello stato di Guerrero, nonostante le accuse di possibili legami con gruppi criminali e la sua ripetuta incapacità di svolgere indagini efficaci su gravi violazioni dei diritti umani.

La gravità di queste sparizioni forzate e omicidi, associata al coinvolgimento del crimine organizzato, è sufficiente perché la Pgr rivendichi la competenza su questi casi, ma finora non è riuscita a farlo.



domenica 26 ottobre 2014

Donne di sabbia


Cari lettori, vi giriamo questa comunicazione che ci riteniamo interessante.





Da diversi anni il gruppo teatrale Donne di sabbia aderisce al Tavolo torinese per le Madri di Ciudad Juárez. Partendo dal femminicidio che si consuma in questa città messicana, il Tavolo si interessa anche del tragico fenomeno dei migranti centroamericani che attraversano il Messico per raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti. Durante il tragitto i migranti subiscono le violenze di gruppi criminali che trovano in questa tratta di esseri umani una nuova fonte di reddito. Dal deserto messicano al Mediterraneo il problema dei migranti pone degli interrogativi ma anche la necessità di "non ripetere errori di sottovalutazione di fenomeni che ci paiono lontani ma che sono drammaticamente dietro l'uscio di casa".





E' così nata l'idea della Carovana italiana per i diritti dei migranti, per la dignità e la giustizia (che, partendo da Lampedusa risalirà la penisola italiana per arrivare a Torino, dal 23 novembre al 6 dicembre) in solidarietà con la Caravana de Madres Centroamericanas buscando a sus migrantes desaparecidos (che si svolgerà in Messico nello stesso periodo).






Per i dettagli sulla Carovana vi invito a visitare:




Web
http://www.carovanemigranti.org/



Facebook
https://www.facebook.com/carovanemigranti



Twitter
CarovaneMigranti (@CMigranti) | Twitter



 


Donne di sabbia



www.donnedisabbia.com

giovedì 14 agosto 2014

Il Sudamerica a favore di Gaza




Netta condanna della strage di civili nella Striscia di Gaza da parte di Israele e tantissime mobilitrazioni popolari: così l'America latina si schiera a favore dei palestinesi.

Cuba, Equador, Venezuela, Argentina, e non solo.

Cuba – che ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele già a seguito della guerra dello Yom Kippur – chiede alla comunità internazionale di fare pressioni su Tel Aviv per una tregua e “di far cessare immediatamente l'aggressione israeliana contro il popolo di Gaza”.

Il Cile – un Paese che siede tra i dieci membri a rotazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nel quale risiedono una grande comunità di palestinesi e una cospicua minoranza ebraica – ha richiamato in patria i propri ambasciatori, così come hanno deciso di fare Perù e El Salvador.

Il Venezuela, attraverso una dichiarazione del Ministero degli Esteri, ha dichiarato: “la sua forte condanna per l'attacco criminale dello Stato di Israele che ha avviato una fase più elevata della politica e del suo sterminio genocida con l'invasione di terra del territorio palestinese, che uccide uomini, donne e bambini innocenti”. Il Venezuela, inoltre, ripudia “le campagne ciniche che cercano di condannare le parti allo stesso modo, quando è chiaro che moralmente non è paragonabile la situazione della Palestina occupata e massacrata rispetto allo Stato occupante, Israele, che ha anche una superiorità militare e agisce al di fuori del diritto internazionale”.

Il governo boliviano ha incluso Israele tra i propri “Stati terroristi” e quello argentino ha chiesto la fine immediata degli attacchi militari israeliani.

Il Presidente dell'Uruguay, José Mujica, ha chiesto il “ritiro immediato delle truppe israeliane e un 'cessate il fuoco' senza condizioni” nella Striscia.

Queste le voci unanime del sudamerica e, in aprticolare, degli Stati goveranti dalla sinistra. L'unica voce discordante è quella della Colombia, in cui il governo di centro-destra (vicino agli Stati Uniti e alleato di Israele) ha escluso di richiamare in patria il proprio ambasciatore.

mercoledì 4 giugno 2014

Kamchatka: quando il gioco diventa realtà



La Kamchatka per molti è solo una regione da conquistare nel gioco del Risiko. E a Risiko, in effetti, gioca il protagonista di un romanzo (che è anche diventato un film, dal titolo omonimo del regista Marcelo Piñeyro).

Stiamo parlando del romanzo di Marcelo Fugueras, scrittore, sceneggiatore e giornalista di Buenos Aires, edito da L'asino d'oro, ambientato durante la dittatura militare che infestò il Sudamerica tra il 1976 e il 1983. Storia recente, dunque, di cui si parla pochissimo.

E noi vogliamo farlo attraverso questo libro in cui la storia è narrata da un bambino, Harry, che come tutti i suoi coetanei, ama giocare a Risiko con l'amico Bertuccio e ama tanto i genitori e il fratello minore, il Nano. Raccontare l'orrore e la paura, il rischio e il coraggio dei dissidenti tramite gli occhi di un bambino non è operazione facile, ma sicuramente è utile per tutelare anche i lettori dalla violenza e dal dolore perchè Harry, con la sua infantile ingenuità, vive tutto come se fosse un gioco: anche la necessità di cambiare nome e identità.

Interessante la spiegazione che lo scrittore ha dato per questa sua scelta: dice di non aver voluto scrivere di desaparecidos perchè, parlare di quelle persone in questi termini, significa farle diventare come fantasmi, senza nome, solo numeri. Ha voluto raccontare, invece, una storia di persone, di figli e genitori, di una intera famiglia. Una storia in cui tutti si possano identificare in quanto figli, genitori, uomini, donne e bambini.

I protagonisti del romanzo (come quelli del film), infatti, hanno pregi e difetti come tutti, limiti e punti di forza: mettono la propria vita a servizo di una causa e di valori fondamentali e lo fanno giorno dopo giorno, da persone comuni che vivono la loro comune quotidianità. Persone che sanno anche ridere, che vivono con gioia anche se non sanno quanto questa gioia durerà. Genitori che insegnano ai propri figli l'onestà e la coerenza, ma soprattutto l'amore e il rispetto per gli altri.

Giocare a cowboy, al pirata o all'agente segreto, in fondo, è un gioco di ruolo che insegna a cambiare identità a seconda delle circostanze e cambiare identità in nome della libertà è il gioco più grande. E solo così, con la certezza di aver vissuto anche solo per poco ma con passione e per un grande ideale, la vita si prende gioco della morte e vince.
 

mercoledì 11 settembre 2013

Percorsi di memoria: CILE 1973-2013


11 settembre: una data difficile. Per l'attentato alle Torri gemelle di New York nel 2001. Ma non solo.
Esattamente quarant'anni fa i corpi speciali dell'esercito cileno, comandati dal generale Augusto Pinochet, destiuirono il governo di Salvador Allende. Un colpo di Stato militare che portò all'uccisione del presidente Allende e di 50.000 militanti del movimento operaio, e poi lavoratori e studenti, persone comuni. Da allora si instaurò nel Paese una sanguinosa dittatura a cui fecero eco altre in molti Stati sudamericani.
La mostra del cinema di Venezia, alla sua 70ma edizione, ha voluto rendere omaggio al Cile con due opere presentate nella sezione “Settimana della critica” di due registi, entrambi di un cognome molto diffuso: Sepúlveda.
Sebastiàn Sepúlveda, nel suo Las Niñas Quispe, racconta la quotidianità di Justa, Lucia e Luciana, tre sorelle che vivono di pastorizia sull'altopiano. Un visitatore porta loro la notizia dell'inserimento di una nuova legge che sconvolgerà del tutto la loro esistenza, un'esistenza fatta di gesti ripetuti e di lavoro duro, nel vento e nel freddo, ma che rassicura e garantisce stabilità. Donne segnate dalla fatica fisica, silenziose e tenaci. Coraggiose fino all'ultimo, quando faranno la scelta estrema e più difficile. Siamo nel 1974 quando tutti, in città come nelle ande, erano costretti a scegliere tra la libertà e la rassegnazione.
Il silenzio appartiene anche a Ximena, la protagonista del film di Moisès Sepúlveda, intitolato Las analfabetas, tratto dall'omonima pièce teatrale scritta da Pablo Paredes

(cosceneggiatore del film). Ximena ha cinquant'anni, ma non sa né leggere e né scrivere e questo, per lei, è un handicap che le impedisce di stabilire relazioni profonde con gli altri. Un giorno la donna riceve la visita inaspettata della giovane Jackeline, insegnante precaria che si offre di insegnare a Ximena la comunicazione scritta.
Un giorno Jackline trova un foglio gelosamente custodito da Ximena, come se fosse un tesoro prezioso: è la lettera che il padre le ha lasciato prima di abbandonarla. Quel foglio sarà lo strumento e il simbolo di una liberazione “intellettuale” e psicologica che porterà la donna ad uscire dal suo isolamento.
Las Niñas Quispe è un film di fiction che, alternando dialoghi rarefatti alla gestualità semplice e istintiva delle persone, documenta la vita sulle montagne e il percorso interiore di chi è costretto a fare i conti con un cambiamento troppo grande; con Las analfabetas si entra in un piccolo mondo fatto di un tavolo, di una cucina, di un cancello, ma in entrambi la via di fuga c'è: la morte o la cultura. Ma mai la rassegnazione.




Nella citttà di Milano è in programma una serie di iniziative per ricordare la dittatura cilena (e non solo). Riportiamo qui di seguito la comunicazione, ringraziando Monica Macchi per la segnalazione.

Mostra fotografica di Paola Agosti “Il Cile dell’Unidad Popular”, che si terrà in Umanitaria via Daverio, 7 - dal 7 al 12 Settembre. Il giorno dell’inaugurazione – 7 settembre ore 18 oltre all’autrice saranno presenti:
Pier Amos Nannini (Presidente Società Umanitaria), Emilio Barbarani (Diplomatico e scrittore), Marzia Oggiano (Segreteria Camera del Lavoro Metropolitana di Milano), Patricia Mayorga (Giornalista Corrispondente estera “El Mercurio” e scrittrice).
Mostra di immagini e manifesti relativi all’impegno sindacale per il ripristino della democrazia in Cile, in Camera del Lavoro Metropolitana di Milano dal 9 al 12 Settembre.
Concerto della cantattrice Annamaria Castelli in Trio con Giulio D’Agnello (chitarra, strumenti a corda e voce), Carlos Adriàn Fioramonti (chitarra) e con Elisa Roson (attrice), nell’Auditorium Di Vittorio il 10 Settembre alle ore 21;
Proiezione del film “SALVADOR ALLENDE” di Patricio Guzmàn, sempre al “Di Vittorio” alle ore 18 del 12 Settembre. Intervento di Graziano Gorla Segretario Generale
11 settembre alle ore 21 - all’Alcatraz via Valtellina, 25 – Concerto: INTIILLIMANI HISTORICO dal titolo “CANTO PARA NO OLVIDAR” organizzato da CGIL e CISL Lombardia