“Hanno
rapporti con 20, 30, 100 miliziani e tornano in patria incinte”:
queste le parole del Ministro dell'Interno tunisino, Lofti Ben
Jeddou, riferendosi a ragazze e donne tunisine che si sono recate in
Siria per offrire il proprio corpo ai soldati islamici impegnati
nella lotta contro il regime di Bashar al Assad. La dichiarazione del
Ministro è stata data davanti all'Assemblea nazionale costituente,
rendendola nota a livello mondiale, mentre prima la notizia non aveva
avuto il giusto risalto sulla stampa internazionale.
La
“jihad del sesso” è considerata una forma legittima di guerra
santa da parte di alcune frange salafite: in arabo “ jihad al
Nikah” indica un matrimonio molto breve, anche della durata di
poche ore, che permette a donne e ragazze di avere rapporti sessuali
senza, appunto, la celebrazione di un'unione tradizionale. Confortate
da questa regola, molte donne si sono convinte a concedersi ai
miliziani, come supporto, come forma di lotta e anche per dar vita a
futuri combattenti. E molte donne sono, in effetti, rimaste incinte e
alcune di loro hanno già partorito.
“E noi
non facciamo niente, rimaniamo con le mani in mano”, ha continuato
Lofti Ben Jeddou, “ Le ragazze vengono 'reclutate' da gruppi
salafiti e da associazioni che si dicono caritatevoli, ma in realtà
nascondono scopi ben diversi. Dalla Tunisia, si apprende dai media
tunisini, partono non solo per la Siria, ma anche per l'Afghanistan e
l'Iraq, spesso passando per la Turchia o la Libia. Dall'inizio
dell'anno seimila tunisini sono stati fermati alla frontiera perchè
in viaggio verso la jihad in Siria”. Anche il Muftì di Tunisi ha
espresso la sua indignazione e ha definito questa pratica una vera e
propria forma di prostituzione.
Un'altra
piaga sociale, un'altra terribile conseguenza di una guerra che
continua a non far sconti a nessuno, nemmeno a chi non è ancora
nato.