martedì 29 ottobre 2013

Il dramma della “jihad del sesso” in Siria




Hanno rapporti con 20, 30, 100 miliziani e tornano in patria incinte”: queste le parole del Ministro dell'Interno tunisino, Lofti Ben Jeddou, riferendosi a ragazze e donne tunisine che si sono recate in Siria per offrire il proprio corpo ai soldati islamici impegnati nella lotta contro il regime di Bashar al Assad. La dichiarazione del Ministro è stata data davanti all'Assemblea nazionale costituente, rendendola nota a livello mondiale, mentre prima la notizia non aveva avuto il giusto risalto sulla stampa internazionale.
La “jihad del sesso” è considerata una forma legittima di guerra santa da parte di alcune frange salafite: in arabo “ jihad al Nikah” indica un matrimonio molto breve, anche della durata di poche ore, che permette a donne e ragazze di avere rapporti sessuali senza, appunto, la celebrazione di un'unione tradizionale. Confortate da questa regola, molte donne si sono convinte a concedersi ai miliziani, come supporto, come forma di lotta e anche per dar vita a futuri combattenti. E molte donne sono, in effetti, rimaste incinte e alcune di loro hanno già partorito.
E noi non facciamo niente, rimaniamo con le mani in mano”, ha continuato Lofti Ben Jeddou, “ Le ragazze vengono 'reclutate' da gruppi salafiti e da associazioni che si dicono caritatevoli, ma in realtà nascondono scopi ben diversi. Dalla Tunisia, si apprende dai media tunisini, partono non solo per la Siria, ma anche per l'Afghanistan e l'Iraq, spesso passando per la Turchia o la Libia. Dall'inizio dell'anno seimila tunisini sono stati fermati alla frontiera perchè in viaggio verso la jihad in Siria”. Anche il Muftì di Tunisi ha espresso la sua indignazione e ha definito questa pratica una vera e propria forma di prostituzione.
Un'altra piaga sociale, un'altra terribile conseguenza di una guerra che continua a non far sconti a nessuno, nemmeno a chi non è ancora nato.