1979:
anno fatidico. Kohmeini troneggia, il suo piglio accigliato osserva e
giudica da ogni angolo del Paese. Dice no al voto alle donne, si
oppone alla riforma agraria. E, con il voto palese del referendum, la
Repubblica islamica vince con il 98% dei consensi: gli intelletuali,
inizialmente, si fanno predere dall'euforia, vogliono liberarsi
dell'Occidente e dei suoi mostri, ma alla fine è la “repubblica”
a liberarsi di loro.
Nel
giugno 1979 anche la famiglia Mohammadi decide di scappare da Teheran
e poco dopo scoppia la guerra con l'Iraq. Kamin ha solo dieci anni.
Dieci anni sufficienti per ricordare lo strappo dalla sua terra,
l'arrivo a Londra e l'inserimento faticoso in un'altra cultura, in
un'altra società; la vergogna di essere iraniana, quel Paese di
Ahmadinejad e dell'Onda verde repressa duramente. Kamin dimentica
tutto o quasi, ma col tempo cresce, matura, studia e così torna alla
mente quella frase del nonno e la volontà di capire meglio e di
riconciliarsi, almeno un po' con le proprie radici: dopo anni di
esilio, torna nell'Iran del Presidente Rohani, con le speranze
disilluse, ma non del tutto.
Un
romanzo biografico che intreccia la storia individuale alla grande
Storia: generazioni di persone e di donne che si fanno portavoce di
molte altre per evocare la grandezza di un Paese ricco di cultura,
culla di civiltà millenarie e, nello stesso tempo, di un Paese che,
ancora oggi, sta disegnando la mappa della contemporaneità, nel bene
e nel male.