Cari
lettori abbiamo intervistato per voi Pierfrancesco Majorino -
Assessore alle Politiche sociali presso il Comune di Milano - e
Caterina Sarfatti - funzionario del settore Affari Internazionali -
autori del dossier Milano,
come Lampedusa?. Dossier sull'emergenza siriana (Novecento
Editore).
Ringraziamo
molto il Dott. Majorino e la Dott.ssa Sarfatti per il tempo che ci
hanno dedicato.
Quante
sono ad oggi, in percentuale, le persone che hanno richiesto asilo a
Milano e quante sono riuscite a trovare una sistemazione? Qual è la
percentuale tra uomini, donne e bambini?
Majorino:
Stiamo parlando di dati complessi, comunque l'impressione che abbiamo
è che stiamo parlando dello 0,1%, cioè 13-14 persone su 14500 che
si fermano qui. Tutti se ne vogliono andare. In prospettiva la
percentuale potrebbe modificarsi leggermente se si intensificasse la
presenza degli eritrei. A differenza dei siriani - che se ne vogliono
andare via tutti - gli eritrei potrebbero richiedere l'asilo qui, ma
queste sono nostre supposizioni.
Per
quello che riguarda la composizione di genere e generazionale, le
cose cambiano molto tra siriani ed eritrei: i siriani hanno circa il
36% composto da bambini e ragazzini, gli eritrei invece sono in
grande maggioranza maschi e non ci sono minori.
Dott.ssa
Sarfatti, nel libro si è occupata della parte normativa: ci può
spiegare, da questo punto di vista, come Milano può dare
accoglienza?
Sarfatti:
Milano può fare quello che sta facendo perchè, essendo una realtà
locale, dal punto di vista normativo, purtroppo, può fare poco: in
questo momento stiamo registrando in modo totalmente informale le
persone, ma questa registrazione non ha alcun tipo di valore legale
perchè la gestione dei flussi è del Paese ospitante o di transito,
fin quando l'immigrazione è di competenza nazionale.
Una
delle proposte che noi avanziamo nel gestire Milano come Lampedusa è
quella di riconoscere alle città europee un ruolo che loro già
esercitano de facto
nell'accoglienza,
ma anche nella gestione dei flussi perchè ormai le grandi metropoli
sono punti nodali per il passaggio dei migranti e per l'integrazione.
Come
città abbiamo richiesto di procedere a delle ipotesi normative che
possano dare protezione a queste persone: l'idea più forte è la
direttiva n. 55 del 2001 dell'UE che, se fosse applicata (cosa mai
successa), potrebbe dare protezione immediata e temporanea ai
profughi provenienti dalla Siria in tutti i 28 Paesi Membri. Oppure,
come ultima spiaggia, potrebbe esserci l'applicazione dell'articolo
20 del Testo Unico: è un dispositivo nazionale che potrebbe dare
protezione legale e rendere regolari queste persone per 6 mesi
rinnovabili tramite un permesso temporaneo. Il governo italiano lo
aveva applicato nel 2011 nel caso dei cittadini provenienti dalla
Tunisia e aveva avuto una serie di complicanze a livello politico
europeo, ma almeno era servito a proteggerli.
Che
cosa si potrebbe fare di più e cosa possiamo fare noi cittadini
milanesi?
Majorino:
Per quello che riguarda l'azione dei cittadini, quello che si può
fare concretamente è sostenere il percorso di accoglienza,
partecipando da volontari, portando vestiti o materiale
igienico-sanitario oppure, banalmente, parlarne.
Questo
flusso di migranti in transito definisce una nuova categoria nelle
politiche riguardanti la migrazione, una categoria che è stata
rimossa perchè l'Europa e l'Italia si sono concentrate sulla
problematica dell'arrivo e dell'accoglienza stabile e strutturale o
del respingimento. Noi oggi, invece, stiamo intercettando una
tipologia inedita che deriva dal fatto che la migrazione non è
influenzata - come si dice spesso - da quel che succede “al di là”
del Mediterraneo, ma da quello che succede “al di qua”: cioè, i
Paesi in crisi della vecchia Europa non sono più attrattivi per i
migranti, ma dai Paesi in crisi i migranti devono passare. Questo
svela l'inappropriatezza delle norme e delle regole che accompagnano
i processi di regolarizzazione e integrazione in Europa e,quindi,
chiama anche la necessità di azioni differenti oppure chiama il
fatto che le poche norme esistenti e utili vengano effettivamente
utilizzate.
I
cittadini possono parlare di tutto questo e togliere dal cono d'ombra
i profughi in transito dai nostri Paesi che rischiano - proprio
perchè l'invisibilità si accompagna con l'assenza di scelte
politiche - di non essere accompagnati nel loro itinerario di
speranza.
Sarfatti:
C'è un principio normativo che verrebbe incontro alla situazione che
descriveva Pierfrancesco e che è stato proposto dall'Italia
all'ultimo Consiglio europeo del giugno scorso, ma che non è stato
accettato: si tratta del principio del “mutuo riconoscimento”,
quello per cui se io vengo riconosciuto come rifugiato in uno dei
Paesi Membri, ho lo stesso identico trattamento in tutti gli altri
Paesi Membri. Invece oggi succede che, se vengo riconosciuto come
rifugiato, posso transitare regolarmente e fare il turista, ma non
sono riconosciuto come cittadino comunitario: non posso lavorare,
accedere al sistema sanitario, etc.
Nel
dossier sono raccolte molte voci: potete anticiparci, ad esempio,
quella di Titty Cherasien o di Christopher Hein?
Sarfatti:
Titty Cherasien racconta del suo legame emotivo, oltre che
biografico, con la Siria e con i luoghi da cui proviene parte della
sua famiglia. Christopher Hein, come Direttore del Consiglio italiano
per i Rifugiati, fa un ragionamento più complessivo su quali siano i
problemi e le sfide dell'asilo e dell'accoglienza in Italia.
Come
verranno utilizzati i proventi del libro?
Majorino:
Per l'acquisto di materiale igienico-sanitario da destinare
soprattutto ai bambini.
E'
stata una decisione dell'editore e noi, come autori, l'abbiamo
accettata.