Vi
proponiamo, cari lettori, quest'altro articolo per ricordare la
strage di Via d'Amelio, nel 22° anniversario, in cui persero la vita
il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta: Agostino
Catalano, Emanuela Loi, Cluadio Traina, Walter Eddie Cosina e
Vincenzo Li Muli.
(Vi
rimandiamo, se volete, anche all'intervista ad Salvo Palazzolo che
abbiamo fatto in occasione dell'uscita del libro Ti racconterò tutte
le storie che potrò, scritto con la Signora Agnese, vedova
Borsellino).
Nemmeno
la lotta alle mafie deve andare in vacanza. In tempi di inchini e
genuflessioni davanti ai boss, arriva anche una minaccia vera. Ieri,
18 luglio 2014, sulle pagine palermitane di Repubblica,
il giornalista Salvo Palazzolo scrive che il collaboratore di
giustizia Flamia avrebbe riferito ai p.m. Francesca Mazzocco e
Caterina Malagoli l'intenzione della cosca siciliana di Porta Nuova
di uccidere il maresciallo dei carabinieri Michele Coscia. “Due
anni fa, durante un'udienza del processo 'Perseo', Giuseppe Di
Giacomo mi disse che con Vincenzo Di Maria e Massimo Mulè avevano
ormai deciso l'omicidio di Coscia perchè il maresciallo continuava a
dare troppo fastidio con le sue indagini”, queste le parole del
pentito anche se poi Giuseppe Di Giacomo è stato ammazzato da un
commando in Via Eugenio l'Emiro.
Il
maresciallo Coscia, di origini pugliesi, presta servizio in Sicilia
da circa vent'anni e, in particolare, per tre anni è stato al
commissariato di Bagheria. Fu uno dei primi ad occuparsi del delitto
delle tre donne della famiglia di Francesco Marino Mannoia nel
periodo in cui questi aveva deciso di collaborare con il giudice
Falcone. Falcone stesso non si capacitò di come la notizia della
collaborazione potesse essere uscita e fosse diventata nota ai clan.
Il
maresciallo Coscia continua ad essere in pericolo e nessuno deve
abbassare la guardia: né lo Stato - per non ripetere gli stessi
errotri del passato, sottovalutando la situazione - né la società
civile che deve imparare a denunciare e a superare l'omertà e la
cultura della paura. Perchè proprio la paura, il ricatto e le
minacce sono le prime armi che uccidono un Paese e una collettività.