sabato 19 luglio 2014

Il maresciallo in pericolo e le istituzioni tacciono




Vi proponiamo, cari lettori, quest'altro articolo per ricordare la strage di Via d'Amelio, nel 22° anniversario, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Cluadio Traina, Walter Eddie Cosina e Vincenzo Li Muli.

(Vi rimandiamo, se volete, anche all'intervista ad Salvo Palazzolo che abbiamo fatto in occasione dell'uscita del libro Ti racconterò tutte le storie che potrò, scritto con la Signora Agnese, vedova Borsellino).             





Nemmeno la lotta alle mafie deve andare in vacanza. In tempi di inchini e genuflessioni davanti ai boss, arriva anche una minaccia vera. Ieri, 18 luglio 2014, sulle pagine palermitane di Repubblica, il giornalista Salvo Palazzolo scrive che il collaboratore di giustizia Flamia avrebbe riferito ai p.m. Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli l'intenzione della cosca siciliana di Porta Nuova di uccidere il maresciallo dei carabinieri Michele Coscia. “Due anni fa, durante un'udienza del processo 'Perseo', Giuseppe Di Giacomo mi disse che con Vincenzo Di Maria e Massimo Mulè avevano ormai deciso l'omicidio di Coscia perchè il maresciallo continuava a dare troppo fastidio con le sue indagini”, queste le parole del pentito anche se poi Giuseppe Di Giacomo è stato ammazzato da un commando in Via Eugenio l'Emiro.

Il maresciallo Coscia, di origini pugliesi, presta servizio in Sicilia da circa vent'anni e, in particolare, per tre anni è stato al commissariato di Bagheria. Fu uno dei primi ad occuparsi del delitto delle tre donne della famiglia di Francesco Marino Mannoia nel periodo in cui questi aveva deciso di collaborare con il giudice Falcone. Falcone stesso non si capacitò di come la notizia della collaborazione potesse essere uscita e fosse diventata nota ai clan.

Il maresciallo Coscia continua ad essere in pericolo e nessuno deve abbassare la guardia: né lo Stato - per non ripetere gli stessi errotri del passato, sottovalutando la situazione - né la società civile che deve imparare a denunciare e a superare l'omertà e la cultura della paura. Perchè proprio la paura, il ricatto e le minacce sono le prime armi che uccidono un Paese e una collettività.