Questa
sera, alle 21.20, su RAI 1 il film di Marco Tullio Giordana sulla
vita di Lea Garofalo.
di
Maurizio Porro (da La 27maOra)
Altri 100 passi di Marco Tullio
Giordana in direzione del cinema civile. Se nel film di 15 anni fa
con Lo Cascio si ricordava Peppino Impastato in lotta contro la mafia
in cui militava il padre, Lea
, che apre l’11 novembre il RomaFiction Fest coordinato da Piera
Detassis, è la storia di una vittima della ‘ndrangheta in cui
milita tutta la famiglia. Dice il regista: «Lei aveva fatto vedere I
cento passi alla figlia,
dicendo che avrebbe fatto la stessa fine: quel film è stato un punto
di riferimento. Questo ricorda uno dei fatti di cronaca più
spaventosi, un omicidio tribale e orrendo che viene da un mondo
remoto».
Ancora anime nere: la Calabria in
trasferta al Nord e una donna che non vuole accettare il malaffare
atavico e cerca di resistere con la figlia Denise,
sotto scorta. Quando il programma di protezione viene revocato, Lea
scompare, il 24 novembre 2009. Spetta a Denise infiltratasi nella
cosca familiare per denunciare i veri colpevoli, fratello e padre,
smascherati da un pentito, finché il corpo viene trovato: ergastolo
per tutti, anche per la 24enne Denise che vive da sorvegliata
speciale.
Una vera tragedia greca. «Gli
elementi ci sono tutti — dice Giordana —. Il film è in ordine
cronologico: la adolescenza calabrese di Lea, inseguendo un romanzo
di formazione, girando a Milano, ricostruendo aule del tribunale e
telecamere di sorveglianza. Solo alla fine ho inserito veri documenti
del funerale con la città intera mobilitata. L’eloquenza di quelle
facce ed espressioni non si poteva replicare, volevo fosse chiaro che
avevamo raccontato una storia vera».
Tornando
alla tv, dove piantò un paletto d’autore con La
meglio gioventù ,
Giordana la vede come un supporto importante: «Proposta l’idea, ho
girato come un fulmine in 6 settimane». Lea
(produzione Rai e Angelo Barbagallo con l’Associazione Produttori
Tv e la Fondazione Cinema per Roma, col sostegno di Regione Lazio,
Camera di commercio) passerà su Rai1 il 18 novembre. «Non è solo
un film-tv di rara forza, ma è anche un‘opera di grande valore
civile, anzi di denuncia. Un impegno che per noi è prioritario»,
sottolinea il direttore Rai Fiction Tinny Andreatta.
Tensioni sul set? «No — riprende
Giordana — ho avuto appoggi basilari, come quello di don Ciotti,
interpretato da Diego Ribon. Lui e l’avvocato Vincenza Rando hanno
spiegato che la denuncia contro l’omertà, la rottura con le
famiglie, è il passo che mette in crisi i meccanismi automatici di
obbedienza, le leggi non scritte della ‘ndrangheta».
E qui è la madre Lea a ribellarsi:
«Quando le donne rompono la linea di continuità si apre la
frattura, la crisi vera. Don Ciotti rivela che, dopo Lea, è stato
avvicinato da molte donne terrorizzate, il fenomeno è in crescita, è
l’unico modo per rompere il blocco, la fortezza impenetrabile».
Per Lea un cast di volti nuovi di cui Giordana è entusiasta,
partendo dalle due eroine, Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi
(Denise).
Ma fra quei cento passi e questi
c’è continuità: «È sempre l’universo familiare, clan a
delinquere fondato sul sacro vincolo di sangue. Lea si ribella e
cambia vita perché pensa ai figli, cioè al futuro. Gli uomini hanno
perso credibilità, le donne sono concrete, a loro spetta educazione
e trasmissione di valori. L’elemento rivoluzionario è femminile».
La prova? È nel testo che Giordana
prepara dell’irlandese Colm Tòibìn, Il
testamento di Maria con
Michela Cescon, dal 17 novembre allo Stabile di Torino. «Le due
figure archetipe di madri, una laica, l’altra sacra, la Madonna,
due ribelli che protestano contro il ruolo attribuito, vogliono esser
se stesse».
Anche Lea ha una sua religione in
fondo? «In lei c’è sacralità. Ex agnostico e incredulo, oggi ho
la massima curiosità e invidia per chi ha la fede. Penso che Lea
credesse: quel sentimento di maternità l’avvicina alla religione.
Perciò metto il film a disposizione della società civile. Ma di
politica non ne voglio più nemmeno sentir parlare».