In
Italia è uscito con il titolo La
legge del mercato, il
titolo anglofono è
The measure of a man e
quello internazionale recita A
simple man:
tutti titoli adatti per descrivere, in poche parole, quello che sarà
il contenuto dell'ultimo lavoro di Stèphane Brizé grazie al quale
Vincent Lindon ha vinto il premio per la migliore interpretazione
maschile all'ultima edizione del festival di Cannes. Lindon è qui
Thierry Taugordeau, un uomo sulla cinquantina, sposato e con un
figlio disabile. L'attore presta il suo volto e il suo sguardo ad una
persona che procede per inerzia, che ha perso il lavoro presso
un'impresa in cui ha svolto l'attività per venticinque anni, ha poi
frequentato molti corsi di formazione, ma non riesce a ricollocarsi
nel mondo professionale. Fino a che, un giorno finalmente, trova un
impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato. Accetta,
anche se si tratta di fare un passo indietro di carriera, ma il
problema non sarà questo: il vero problema si porrà nel momento in
cui Thierry dovrà denunciare i suoi stessi colleghi oppure le
persone che non hanno abbastanza denaro per pagare i prodotti che
vorrebbero acquistare.
Lo
spettatore entra lentamente nella vita del protagonista e nella
società capitalistica: la quotidianità di Thierry si va a
scontrare con la crisi economica che colpisce, in maniera indistinta,
giovani e meno giovani, professionisti e operai. Una lentezza quasi
agonizzante che si allinea alla freddezza delle inquadrature, delle
luci e dei paesaggi, tipici di quelle aree metropolitane in cui la
povertà si sta divulgando, portando via sogni, sicurezze e voglia di
vivere.
Grigio
è il volto di Thierry, grigi i volti delle altre persone, tutti
attori non professionisti per ricreare sullo schermo la
verosomiglianza delle situazioni che si vogliono denunciare; i luoghi
fisici sono spesso strade in cui l'uomo cerca un lavoro, le agenzia
di collocamento, il supermercato, tutti “non-luoghi” come li
definisce Marc Augè, ovvero luoghi di transito dove gli individui
camminano, si spostano in cerca di qualcosa oppure dove trascinano la
propria esistenza senza creare legami affettivi profondi. Nemmeno in
famiglia, Thierry può garantire la propria presenza, o per lo meno
una presenza serena: prima perchè è rimasto senza sostentamento e
poi perchè si trova a dover affrontare un dilemma etico molto grave.
Il
dilemma è, ovviamente, posto anche al pubblico: cosa faremmo al
posto di Thierry di fronte a una persona povera che ruba la merce al
supermercato? Come dire a un nostro collega che verrà lincenziato,
quando sappiamo bene cosa significhi rimanere senza un posto?
L'empatia
e l'dentificazione sono meccanismi che dovrebbero scattare grazie
all'Arte cinematografica: e forse il regista ha usato il proprio
mezzo per far riflettere sulla tragedia che molti, troppi stanno
vivendo sulla priopria pelle, anche se i proclama dei governi
raccontano una storia molto diversa. Nel film viene rappresentata la
solidarietà tra poveri e la guerra tra poveri e, al di sopra di
tutti, il Mercato, il Denaro, le nuove divinità a cui siamo
costretti ad immolarci anche a scapito della nostra dignità: le
telecamere sono appostate ovunque, spiano e registrano ogni parola e
ogni movimento, estensione di un Potere occulto, strisciante e
imperante. Niente più tempo libero, svaghi, giochi: tutto è ridotto
alla sfida, all'eliminazione, alla concorrenza. Perchè in questo
tipo di società non c'è più spazio per le relazioni dirette, per i
sentimenti e neanche per la salute. Una persona è davvero soltanto
considerata come “capitale umano”, per citare un film di Paolo
Virzì, e non c'è bisogno di scomodare teorie marxiste o di
ricordare Chaplin: basta guardarsi intorno.
Il
finale della pellicola rimane aperto perchè siamo nel pieno della
crisi, perchè ancora non è migliorato nulla e, perchè, forse
nessuno di noi ha la risposta giusta alla domanda: sarei vittima o
carnefice?