La
maratona fotografica di Sarajevo - manifestazione organizzata
nell'agosto del 2012 da Associazione Feedback, Shot Reportage
Travels, Udruženie Urban e Lara Ciarabellini - è l'occasione di
visitare la città in tutto il suo fermento culturale e di entrare in
contatto con le realtà delle associazioni e degli artisti locali.
Eppure la tragedia del conflitto balcanico è ancora vicina: uscendo
dal centro storico, si visitano i quartieri in cui le ferite della
guerra sono ancora molto visibili. Culmine della visita
l'esplorazione del monte Trebević sul quale, in occasione delle
Olimpiadi invernali del 1984, erano state costruite strutture
sportive e d'accoglienza, tristemente convertite ad avamposti
militari durante il tragico assedio della città.
Abbiamo
rivolto alcune domande a Massimo Alì Mohammad, regista del
documentario
Il
documentario mostra la città di Sarajevo ancora ferita dalla guerra:
quali sono i sentimenti delle persone comuni riguardo al recente
passato? E come si può descrivere la situazione attuale?
Sì,
la città di Sarajevo è ancora ferita dalla guerra, come
testimoniano i segni ancora visibili dei colpi d'arma sui palazzi. I
sentimenti delle persone comuni sono contrastanti, come immaginabile
in un contesto del genere. E' molto toccante avere a che fare con la
generazione dei giovani, come è accaduto nel caso della maratona
fotografica (ricordiamo frutto del gemellaggio tra l'associazione
Feedback di Ferrara e Urban di Sarajevo. Ti rendi conto come per loro
la scala delle priorità sia completamente rivoluzionata e di come
abbiano acquisito una visione della vita più disicantata, ma non per
questo meno costruttiva. La cultura è in continuo sviluppo e
rappresenta sicuramente una delle realtà fondanti della società
odierna. Bisogna ricordare che però, fuori dalla città, la
situazione è molto più arretrata, basti pensare alle zone ancora
non messe in sicurezza dalle mine. Ci vuole tempo...
Qual è il ruolo dell'arte - in particolare della fotografia - in un'area di Europa che vive ancora una situazione complicata?
L'arte,
come dicevo in precedenza, è una grande spinta sociale per lo
sviluppo di nuove realtà, anche lavorative per le nuove generazioni.
Non bisogna trascurare che l'arte, compresa la fotografia, lavora
molto sulla memoria, in un delicato equilibrio tra il ricordo e il
progresso. Perché sicuramente non si può lasciare che tutto il
passato recente cada in un immediato oblio ma, allo stesso tempo, non
deve costituire un blocco che ne impedisca la giusta trasformazione.
Quali sono le nuove prospettive culturali per la città e per i giovani?
La
realtà della fotografia è in grandissimo sviluppo, così come molto
toccante l'esposizione di arte contemporanea (Ars Aevi). I giovani
sono impegnati con passione in diverse realtà associative e molto
spesso luoghi in disuso dai tempi della guerra sono concessi in
libera gestione per l'organizzazione di nuove realtà (cercate per
curiosità il Kino Bosna).
Ci può anticipare il significato del titolo del documentario?
Il
titolo del documentario fa riferimento alla frase finale al film
simbolo della resistenza di Sarajevo contro l'invasione nazista
(Walter brani Sarajevo, Walter difende Sarajevo; di Hajrudin Krvavac,
1972). Walter è un leader partigiano in incognito che si oppone alle
forze nemiche, il film si conclude con la frase "Questo è
Walter", ovvero la città intera è la resistenza, non un unico
uomo, ma qualcosa di indissolubile. Ancora oggi "Das ist Walter"
resta un motto di resistenza molto utilizzato, anche ad esempio
alcune reti wi-fi pubbliche si chiamano così.