Siamo
negli Stati Uniti del 2012: eppure ancora qualcosa non va.
Un
giovane nero - si saprà poi che aveva 17 anni - cammina, con il
cappuccio di una felpa in testa e le mani in tasca, nel quartiere
bianco di Sanford, in Florida. E' il 27 febbraio dell'anno scorso,
ed è sera. Il ragazzo si chiama Tryvon Martin, frequenta la scuola e
gioca in una squadra di football; ma quella sera, incrocia il passo
di George Zimmermann, un ventottenne autoproclamatosi “capitano
della guardia di quartiere”. Zimmermann, vedendo il ragazzo
incappucciato, chissà perchè si insospettisce, pensa che sia uno
spacciatore e inizia a seguirlo. Martin, intanto, è al telefono con
un'amica alla quale dice di sentirsi pedinato da qualcuno e gli
consiglia di scappare: il ragazzo comincia a farlo, la guardia teme
che sia armato (solo perchè continua a tenere l'altra mano in
tasca), i due si ritrovano faccia a faccia. Comincia una
colluttazione, Zimmermann ha una pistola e spara. Arrivano i
soccorsi, ma è troppo tardi: Tryvon è morto a soli 17 anni. Nelle
sue tasche sono state trovate caramelle e una bottiglia di the
alla pesca.
La
vicenda di Tryvon Martin ha assunto dimensioni planetarie perchè
conferma quanto lavoro c'è ancora da fare per abbattere stereotipi,
pregiudizi, razzismo e violenza.
I
genitori del ragazzo hanno lanciato una petizione online, pochi
giorni dopo la sua uccisione, per chiedere giustizia. Durante la
marcia a New York del 21 marzo 2012 chiamata “Million Hoodie March”
(composta da migliaia di persone con un cappuccio in testa che
scandivano slogan tra cui “Il prossimo sono io?”) la madre di
Tryvon, Sybrina Fulton, ha detto: “ Questa non è una questione tra
bianchi e neri. Questa è una questione di giusto e sbagliato. Nostro
figlio è vostro figlio”. E le ha fatto eco il Presidente Obama che
ha affermato, rivolgendosi ai genitori della vittima: “Se avessi un
figlio, avrebbe il suo stesso aspetto”. Eppure un ragazzo nero con
una felpa - nell'Occidente emancipato, capistalista, libero e
democratico - viene ancora preso per uno spacciatore e niente di
più. E viene ucciso. Anche se, nel manuale della guardia di
quartiere si legge: “ Deve essere ricordato ai membri che loro non
hanno poteri di Polizia e, quindi, non devono portare con sé armi né
possono fare inseguimenti”.
Il
sociologo Zygmut Baumann , nel suo saggio intitolato “Paura
liquida” scrive: “Paura è il nome che diamo alla nostra
incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è
da fare - che possiamo o non possiamo fare - per arrestarne il cammino
o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla...La
generazione meglio equipaggiata di tutta la storia umana è anche la
generazione afflitta come nessun’altra da sensazioni di insicurezza
e di impotenza.” (…) Il paradosso nell’analisi della paure
diffuse che, nate e alimentate dall’insicurezza, saturano la vita
liquido-moderna è che viviamo senza dubbio - per lo meno nei paesi
sviluppati - nelle società più sicure mai esistite...I messaggi che
arrivano dai luoghi del potere politico, propongono più flessibilità
come unico rimedio a un livello già intollerabilie di insicurezza,
prospettando ulteriori sfide e una maggiore privatizzazione dei
disagi: in ultima un’insicurezza ancora minore (…). Incitano
all’incolumità individuale, in un mondo sempre più incerto e
imprevedibile e dunque potenzialmente pericoloso”: ormai la cultura
della paura ha invaso le nostre società e modificato i nostri
pensieri e gli stili di vita. La paura causa necessità di sicurezza
e questa si tramuta in volontà di controllo. Ogni singola minaccia,
vera o presunta, scatena aggressività e autodifesa.
E
proprio appellandosi al diritto di legittima difesa, in quanto si
sentiva minacciato dal ragazzino, Zimmermann, quasi a un anno di
distanza dall'accaduto, è stato assolto.
I
genitori potranno rivolgersi ad un tribunale civile, mentre le
autorità dovranno decidere se avviare un procedimento federale.
L'opinione
pubblica, non solo quella americana, ha già espresso il proprio
parere: tantissime persone, infatti, sono scese in piazza per
manifestare di nuovo contro la decisione della giuria della Florida mentre anche molti giornalisti e intellettuali si interrogano sul significato
di quanto è successo.