martedì 30 luglio 2013

Il Brasile del Papa e delle proteste


Vorrei fare appello a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo...Ognuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie sociali. Non è la cultura dell'egoismo, dell'individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta a un mondo più abitabile, ma la cultura della solidarietà; vedere nell'altro non un concorrente o un numero, ma un fratello...Desidero incoraggiare gli sforzi che la società brasiliana sta facendo per integrare tutte le parti del suo corpo, anche le più sofferenti e bisognose, attraverso la lotta contro la fame e la miseria. Nessuno sforzo di 'pacificazione' sarà duraturo, se non ci saranno armonia e felicità per una società che ignora, che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa”.
Queste alcune frasi pronunciate da Papa Francesco durante la sua visita alla favela di Varginha, a Rio de Janiero.  


Il pontefice è tornato in Italia. La Confederation cup è terminata e, per un po', si spegneranno i riflettori sul Brasile in attesa dei Mondiali di calcio e delle Olimpiadi.
I brasiliani - pochi mediamente ricchi e tanti poveri - torneranno alla loro quotidianità, quella gente che è scesa in piazza per protestare contro un'economia capitalistica escludente e contro quei governanti che risolvono i problemi sociali solo in maniera superficiale, come era scritto su uno dei tanti striscioni che sfilavano durante le manifestazioni e che recitava: “Un Paese muto è un Paese che non cambia”, quelle persone che sulla spiaggia di Copacabana ascoltava e applaudiva le parole di Bergoglio quando faceva appello alla solidarietà.
Il presidente operaio Lula prima e Dilma Roussef poi si sono trovati a dover gestire una situazione economica disastrosa, eredità del precedente governo neoliberale di Fernando Enrique Cardoso. Lula si vide costretto a riadattare la sua politica in base alle richieste delle multinazionali e dei latifondisti e la Roussef ha continuato il suo operato avvicinandosi alla bancada ruralista - proprietaria della terra per la quale sono stati assassinati molti contadini e leaders sociali - e alla chiesa evangelica (e ricordiamo che la Commissione dei diritti umani è stata affidata ad un pastore evangelico, omofobo e razzista di cui abbiamo parlato in un precedente articolo). Per non parlare della persecuzione nei confronti del Movemento Sem Terra. 
Il popolo brasiliano si è stancato: è sceso nelle piazze di tutte le città per dire “basta” all'aumento del costo del biglietto de mezzi pubblici; alle tremende condizoni di lavoro degli operai impegnati nella costruzione di impanti sportivi faraonici; al progetto del treno ad alta velocità, che dovrebbe collegare ventidue quartieri di Fortaleza, ma che comporta la sparizione dei barrios, costringendo le persone ad abbandonare le propie case; alla privatizzazione merchandising sportivo da parte della Fifa che spazzerà via i piccoli veditori ambulanti.

La rabbia è esplosa, l'esasperazione è al limite. Le parole di Papa Francesco sono arrivate al cuore degli abitanti delle periferie brasiliane e di tutto il mondo, ma devono arrivare alle orecchie di chi ha il potere di avviare il cambiamento e promuovere l'uguaglianza.