Il
libro di Vincenzo Mattei, Egitto,
la rivoluzione tradita e la fine delle ideologie islamiche
(per Poiesis edizioni), è un’interessante e documentata analisi
del contesto egiziano dal giugno 2012 fino ad oggi ed esamina le
linee politico-strategiche dei Fratelli Musulmani e soprattutto le
inadeguatezze e gli errori di Mursi: dalle azioni imperniate
sull’esclusione dell’opposizione alla concezione di una
democrazia solo formale, dal tradimento della rivoluzione alla
dichiarazione costituzionale del novembre 2012 in cui si arroga tutti
i poteri fino alla sottovalutazione del regime che per decenni li ha
perseguitati. Un intero capitolo è infatti dedicato ai “Fuloul”
(cioè gli appartenenti al vecchio regime) il cui potere nelle
strutture dell’apparato statale era rimasto inalterato e che
continuavano a costituire l’asse portante dell’economia. La tesi
fondamentale e per certi versi innovativa di questo testo è la
strumentalizzazione proprio da parte dei Fuloul del movimento dei
Tamarrud che ha portato in piazza più di 30 milioni di egiziani per
chiedere le dimissioni di Mursi, strumentalizzazione di cui ha
approfittato il generale Sisi che è riuscito a farsi passare come il
garante del processo democratico e della volontà del popolo sceso in
piazza. Ha preso così avvio una campagna denigratoria contro i
Fratelli Musulmani definiti “terroristi” con moltissimi morti ed
arresti più volte denunciati sia da Amnesty International che da
Human Right Watch ma anche contro giornalisti e gli stessi Shebab i
ragazzi di Piazza Tahrir a cui una legge liberticida ha tolto la
possibilità di riunirsi in luoghi pubblici. E come ha sottolineato
la giornalista Sara Carr la (ri)appropriazione dello spazio pubblico
è stata forse la conquista più importante della rivoluzione e
ridurne l’accesso significa ridurre l’area dell’azione
anti-governativa e quindi riportare indietro l’intero processo
democratico. Sembrerebbe che l’esercito “salvatore della patria”
abbia schiacciato e fiaccato lo “spirito di Tahrir” ma secondo
l’autore non è così perché “la
rivoluzione ha messo in atto un movimento per il rispetto dei diritti
umani e più in generale una spinta sotterranea che attraverso la
letteratura, il cinema, la fotografia, i graffiti continuerà a
parlare e denunciare i potenti di turno”.
Abbiamo rivolto alcune domande a Vincenzo Mattei e lo ringraziamo per la sua disponibilità.
Dal
25 gennaio 2011 ad oggi quali sono i problemi che permangono nel
Paese, soprattutto riguardo i diritti umani e civili?
Con
l’avvento di Al Sisi i diritti umani e civili sono quasi
completamente soppressi. Le libertà di stampa e di opinione sono a
loro volta ristrette per i fini del nuovo regime. I continui
attentati terroristici che avvengono nel paese e soprattutto nel
Sinai vengono usati dal regime per reprimere ogni dissenso. L’ancien
régime, o meglio, la nomenclatura del vecchio regime di Mubarak è
tornata a governare il paese come e più di prima. Inoltre la legge
sul Terrorismo approvata a dicembre del 2014 include tutti quei casi
che possono “attentare all’unità nazionale del paese”, tale
definizione è molto vaga e lascia piena discrezione all’autorità
giurisdizionale di stabilire di volta in volta i casi rientranti nei
dettami di questa legge ... un’autorità giurisdizionale laché di
quella governativa. La legge sulle Proteste del novembre del 2013
inibisce qualsiasi manifestazione pubblica.
Che
tipo di politica è quella di Al Sisi e in cosa si differenzia da
quella di Morsi?
La
politica di Al Sisi rispecchia la visione della vecchia nomenclatura,
a differenza di Morsi che doveva battersi in ogni campo per mettere i
suoi uomini nei posti chiave dell’amministrazione, per Al Sisi il
problema non sussiste, perché fa parte dell’istituzione
dell’esercito che è quella che effettivamente governa il paese dal
1952.
L'Islam
politico. Anche in Egitto, come in altri Paesi arabo-musulmani,
l'ideologia religiosa è strettamente collegata alla politica: con
quali conseguenze?
Non
conosco perfettamente tutti i casi del panorama arabo-musulmano,
credo che in Marocco e in Giordania l’ideologia religiosa non entra
in politica così profondamente come in altri stati, anche in Tunisia
sotto molti aspetti è così. Il problema è già spiegato nella
domanda, cioè, se si parla di qualsiasi ideologia, quindi
estremizzazione della teoria, il dialogo con le altri parti o partiti
è quasi nullo, perché esiste una sola visione che diventa unica e
infallibile. La sfida dell’islam politico è quella di divenire
forza in grado di discutere e dialogare con le altre componenti
politiche. Sono gli stessi errori che hanno commeso i Fratelli
Musulmani in Egitto e che analizzo bene nel mio libro (La fine delle
ideologie islamiche, ed. Poiesis), confinarsi sulla proprie posizioni
e non preferire il dialogo con il Fronte (laico) Nazionale di
Salvezza ha compromesso la loro permanenza al governo alienandosi le
già poche simpatie che la popolazione nutriva per loro.
Fintanto
che questa visione non cambia, ogni partito islamico, o d’ispirazione
islamista, penserà sempre che vincere le elezioni significa poter
fare e disfare lo Stato a proprio piacimento, come se veramente tutta
la nazione avesse votato per il partito (come è stato il caso dei FM
in Egitto). La democrazia prevede il rispetto delle minoranze e
dell’opposizione politica, prevede un confronto con gli altri
partiti che non sono al governo, altrimenti derive dittatoriali di
stampo islamista saranno sempre dietro l’angolo.
Quali
sono gli aspetti all'avanguardia della nuova Costituzione (sancita
dai militari nel gennaio 2014) e quali, invece, gli aspetti
reazionari?
Secondo
un’intervista al pittore Mohamed Abla (uscita su Alias de Il
Manifesto, 1 feb 2014,
http://vincenzomattei.com/2014/02/03/la-nuova-costituzione-egiziana-alias-1-feb-2014/#more-3162)
ci sono molti punti che avvicinano la Costituzione egiziana a quelle
di altre democrazie mature. È previsto l’impeachment contro il
Presidente della Repubblica, la garanzia del salario minimo,
percentuali altissime del Pil dedicate all’educazione, alla sanità
… la parità di genere, la rappresentanza rosa garantita in
parlamento, la protezione della donna da qualsiasi discriminazione e
violenza … la religione non è fonte del diritto statale come
invece era il testo che avrebbero voluto i FM nel novembre del 2012.
Ci sono moltissimi punti interessanti e all’avanguardia nel
panorama arabo-musulmano, ma il problema rimane indissolubilmente
uno: metterli in pratica e non lasciarli solo sulla carta. Fino ad
ora tutte le libertà contemplate dalla nuova Costituzione egiziana
sono state più represse che garantite, soprattutto dopo
l’approvazione della legge sulla manifestazioni (novembre 2013) che
prevede pene detentive e pecunarie pesantissie e che può essere
usata a discrezione dal governo per mettere in carcere persone
“scomode” come gli attivisti, i giornalisti o qualsiasi
dissidente politico.
In
che modo i giovani lottano per una “vera” democrazia?
I
giovani attivisti hanno lottato dall’inizio della rivoluzione (25
gennaio 2011) fino all’approvazione della legge sulle
manifestazioni, da allora molti sono in prigione, come a loro volta
molti giornalisti. Dal massacro dei FM a Rabaa Al Adawayya (agosto
del 2013), si calcola che in Egitto ci sono dai 20000 ai 30000
prigionieri politici, per l’80% FM. Il processo democratico al
momento è bloccato, la popolazione ha voluto il ritorno alla
stabilità politica ed economica (ancora da raggiungere) e ha visto
in Al Sisi l’uomo giusto per ritornare alla normalità dopo la
disastrosa parentesi di Morsi e dei FM. Momentaneamente sembra che la
maggioranza della popolazione non abbia interesse a continuare
manifestazioni e proteste (a parte il bacino del Delta del Nilo dove
i sindacati sono più forti) che hanno portato negli ultimi tre anni
a tumulti e disordini in tutto il paese. La popolazione sembra stanca
di continuare con agitazioni che hanno portato solo ad instabilità
politica, inasprimento della crisi economica, a disordini di
carattere pubblico con intere città e province sottoposte a
coprifuoco per diversi mesi del 2012-3 (Suez, Ismailiyya, Port Said).
In questo contesto l’attuale lotta dei giovani per una “vera”
democrazia si è spostata di nuovo nell’ambito pre-rivoluzionario:
nel web, mentre le piazze, le agorà della rivoluzione (in primis
Tahrir), sono state di nuovo interdette all’assembramento di gruppi
o di proteste, perché la conquista dello spazio pubblico è il primo
passo per il sovvertimento dell’ordine dittatoriale od autoritario.