mercoledì 28 gennaio 2015

La nazione cattolica. Chiesa e dittatura nell'Argentina di Bergoglio


 
 
 

La nazione cattolica. Chiesa e dittatura nell'Argentina di Bergoglio di Loris Zanatta, edito da Laterza, indaga l’intreccio di storia politica e religiosa in Argentina, dagli anni Sessanta fino all’ultima dittatura militare, e scopre che all’origine della sua storia è il mito di una nazione cattolica: cattolica si proclamava la dittatura del 1966, cattolica e cresciuta nelle parrocchie era la guerriglia, cattolico il peronismo tornato al potere nel 1973, cattoliche le sue fazioni in guerra tra loro, fino al regime cattolico che pretesero di incarnare i militari giunti al potere nel 1976. Solo allora, dinanzi alla tragedia, una parte crescente della Chiesa e degli argentini iniziò a scoprire le virtù della laicità, della democrazia politica e dello Stato di diritto.







Abbiamo rivolto alcune domande al Prof. Loris Zanatta e lo ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato.






Quali sono le radici - culturali e politiche – in cui affonda quel Male che ha portato alla dittatura e alla violenza atroce nei confronti degli oppositori al regime?



Quando una comunità politica, come quella argentina negli anni ’60 e ’70 del XX secolo, precipita in una spirale di violenza politica simile a una guerra civile, è lecito ipotizzare che qualcosa, nella edificazione di quella comunità, non abbia funzionato. Naturalmente la diagnosi di cosa non abbia funzionato suole variare a seconda di chi la enuncia. Taluni metteranno l’accento sui deficit di sviluppo economico, altri sulla fragilità delle istituzioni politiche, altri ancora sugli eccessivi scarti tra un ceto sociale e l’altro, altri ancora andranno alla ricerca di cause esogene. E’ probabile che tutte tali prospettive contengano una parte della spiegazione, che non può mai essere univoca. La mia ricerca interpreta la caduta sul piano inclinato della violenza politica dell’Argentina di quegli anni alla luce del rapporto che nella sua storia si è determinato tra sfera politica e sfera religiosa. E’ lì, a mio giudizio, che risiede il nucleo più profondo dell’intolleranza ideologica esibita allora dai più potenti attori politici argentini: le Forze Armate, le cui atrocità sono ben note, e le varie anime del movimento peronista, anch’esse animate dal demone della violenza politica, di cui è rimasta però scarsa memoria.





Il suo libro riflette, in particolare, sul legame tra Stato e Chiesa, tra politica e clero...



Proprio così. Detto in estrema sintesi, quel che è accaduto in Argentina è che la sfera politica ha stentato a conquistare autonomia dalla sfera religiosa, la quale ha così continuato a proiettatore la sua tipica logica manichea su di essa al punto di trasformare i fisiologici conflitti politici di una società pluralista in vere e proprie guerre di religione. Se ciò è avvenuto in Argentina più che altrove si deve essenzialmente a due ragioni storiche. La prima è di tipo tradizionale: come colonia ispanica, l’Argentina condivide con gli altri paesi latinoamericani un lungo passato in cui unità politica e unità religiosa si sono sovrapposte. Ciò implica una maggiore difficoltà nel delicato passaggio dall’unanimismo religioso del passato al pluralismo politico della modernità. Ma a ciò si aggiunge in Argentina un secondo, esplosivo e peculiare elemento: nessun paese al mondo è stato altrettanto rivoluzionato dai flussi immigratori quanto lo fu l’Argentina a cavallo tra Otto e Novecento. L’alluvione immigratoria, com’è stata spesso chiamata, generò un viscerale problema identitario, perlopiù risolto individuando nella religione cattolica il fondamento ultimo dell’unità e dell’identità argentine. Proprio mentre il paese transitava verso una maggiore modernità economica e una rapida diversificazione politica e ideologica, dunque, l’ossessione identitaria imposta dall’immigrazione indusse il grosso della sua popolazione a cercare riparo in una rinnovata forma di unanimismo: il mito della nazione cattolica. Il trionfo peronista negli anni ’40, ossia di un movimento popolare e maggioritario nel paese che riteneva proprio di incarnare quell’unanimità, sancì il trionfo di quel mito, ma anche la tomba della democrazia rappresentativa di tipo liberale. La successiva egemonia che peronisti da un lato e militari dall’altro si disputarono da allora in poi verteva proprio su chi meglio incarnasse quel mito; su chi cioè fosse il migliore e più fedele custode della cattolicità argentina.




Nella situazione di allora, che spazio aveva lo Stato di diritto?



Lo Stato di diritto fu la grande vittima della storia politica e religiosa argentina. Laddove s’impone un principio di unanimità qual era quello postulato dal mito della nazione cattolica, il principio di pluralità e di tutela dei diritti individuali e delle minoranze che lo Stato di diritto è chiamato a garantire svanisce. Difatti, tutti i principali attori del dramma argentino – militari e guerriglieri, sindacalisti e movimenti studenteschi – non si batterono in nome dello Stato di diritto e della Costituzione, ma di ideali che ritenevano li trascendessero: Patria o Socialismo, Nazione o Rivoluzione. Al cospetto di simili ideali di redenzione, l’individuo e i suoi diritti apparvero loro sacrificabili, così come la divisione tra poteri tipica del costituzionalismo liberale figurava agli occhi di tutti loro d’intralcio alla piena affermazione della volontà del Popolo, in nome di cui affermavano di combattere; Popolo inteso come una comunità unanime. Tra tanti assoluti ideologici, ogni forma di limite legale e istituzionale rimase schiacciato, almeno fino a quando la spirale della morte non raggiunse livelli tali da fare rinsavire una crescente parte della società argentina, che agli inizi degli anni ’80 iniziò a sottolineare l’importanza in sé, senza aggettivi né corollari ideologici, dello Stato di diritto e della democrazia politica.




E qual è oggi la situazione, a distanza di quasi quarant'anni, in termini di giustizia, legalità e diritti, considerando anche le crisi economiche che hanno spezzato il Paese?



Nonostante i passi in avanti compiuti dall’Argentina dal ritorno alla democrazia nel 1983 ad oggi, non si può dire che lo Stato di diritto vi goda di buona salute né che il retaggio unanimista un tempo associato al mito della nazione cattolica sia del tutto svanito. A tale proposito, e al di là dei vari fattori che rendono spesso precaria o carente la vigenza dello Stato di diritto – pressioni del potere esecutivo su quello giudiziario, estese aree di marginalità, attacchi alla libertà di stampa, corruzione e narcotraffico - s’è verificato in Argentina un fenomeno piuttosto peculiare e poco noto all’opinione pubblica internazionale. Si tratta, per dirla in breve, della trasformazione del sacrosanto tema dei diritti umani, per loro natura universali, in monopolio di una parte politica. L’ala kirchnerista del peronismo suole usarlo come un randello ideologico per imporre in modo unilaterale la sua interpretazione del passato e delegittimare le opposizioni, al punto di avere trasformato i più fedeli movimenti per i diritti umani, da espressione della società civile quali erano un tempo in apparati ideologici dello Stato. Detto altrimenti: il governo di Cristina Kirchner ha trasformato i diritti umani in una nuova bandiera unanimista, riproducendo i vizi che già in passato avevano minato lo Stato di diritto in Argentina.