La nazione cattolica. Chiesa e dittatura nell'Argentina di Bergoglio di Loris Zanatta, edito da Laterza, indaga l’intreccio di storia politica e religiosa in Argentina, dagli anni Sessanta fino all’ultima dittatura militare, e scopre che all’origine della sua storia è il mito di una nazione cattolica: cattolica si proclamava la dittatura del 1966, cattolica e cresciuta nelle parrocchie era la guerriglia, cattolico il peronismo tornato al potere nel 1973, cattoliche le sue fazioni in guerra tra loro, fino al regime cattolico che pretesero di incarnare i militari giunti al potere nel 1976. Solo allora, dinanzi alla tragedia, una parte crescente della Chiesa e degli argentini iniziò a scoprire le virtù della laicità, della democrazia politica e dello Stato di diritto.
Abbiamo rivolto alcune domande al Prof. Loris Zanatta e lo ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato.
Quali sono le radici - culturali e politiche – in cui affonda quel Male che ha portato alla dittatura e alla violenza atroce nei confronti degli oppositori al regime?
Quando
una comunità politica, come quella argentina negli anni ’60 e ’70
del XX secolo, precipita in una spirale di violenza politica simile a
una guerra civile, è lecito ipotizzare che qualcosa, nella
edificazione di quella comunità, non abbia funzionato. Naturalmente
la diagnosi di cosa non abbia funzionato suole variare a seconda di
chi la enuncia. Taluni metteranno l’accento sui deficit di sviluppo
economico, altri sulla fragilità delle istituzioni politiche, altri
ancora sugli eccessivi scarti tra un ceto sociale e l’altro, altri
ancora andranno alla ricerca di cause esogene. E’ probabile che
tutte tali prospettive contengano una parte della spiegazione, che
non può mai essere univoca. La mia ricerca interpreta la caduta sul
piano inclinato della violenza politica dell’Argentina di quegli
anni alla luce del rapporto che nella sua storia si è determinato
tra sfera politica e sfera religiosa. E’ lì, a mio giudizio, che
risiede il nucleo più profondo dell’intolleranza ideologica
esibita allora dai più potenti attori politici argentini: le Forze
Armate, le cui atrocità sono ben note, e le varie anime del
movimento peronista, anch’esse animate dal demone della violenza
politica, di cui è rimasta però scarsa memoria.
Il suo
libro riflette, in particolare, sul legame tra Stato e Chiesa, tra
politica e clero...
Proprio
così. Detto in estrema sintesi, quel che è accaduto in Argentina è
che la sfera politica ha stentato a conquistare autonomia dalla sfera
religiosa, la quale ha così continuato a proiettatore la sua tipica
logica manichea su di essa al punto di trasformare i fisiologici
conflitti politici di una società pluralista in vere e proprie
guerre di religione. Se ciò è avvenuto in Argentina più che
altrove si deve essenzialmente a due ragioni storiche. La prima è di
tipo tradizionale: come colonia ispanica, l’Argentina condivide con
gli altri paesi latinoamericani un lungo passato in cui unità
politica e unità religiosa si sono sovrapposte. Ciò implica una
maggiore difficoltà nel delicato passaggio dall’unanimismo
religioso del passato al pluralismo politico della modernità. Ma a
ciò si aggiunge in Argentina un secondo, esplosivo e peculiare
elemento: nessun paese al mondo è stato altrettanto rivoluzionato
dai flussi immigratori quanto lo fu l’Argentina a cavallo tra Otto
e Novecento. L’alluvione immigratoria, com’è stata spesso
chiamata, generò un viscerale problema identitario, perlopiù
risolto individuando nella religione cattolica il fondamento ultimo
dell’unità e dell’identità argentine. Proprio mentre il paese
transitava verso una maggiore modernità economica e una rapida
diversificazione politica e ideologica, dunque, l’ossessione
identitaria imposta dall’immigrazione indusse il grosso della sua
popolazione a cercare riparo in una rinnovata forma di unanimismo: il
mito della nazione cattolica. Il trionfo peronista negli anni ’40,
ossia di un movimento popolare e maggioritario nel paese che riteneva
proprio di incarnare quell’unanimità, sancì il trionfo di quel
mito, ma anche la tomba della democrazia rappresentativa di tipo
liberale. La successiva egemonia che peronisti da un lato e militari
dall’altro si disputarono da allora in poi verteva proprio su chi
meglio incarnasse quel mito; su chi cioè fosse il migliore e più
fedele custode della cattolicità argentina.
Nella
situazione di allora, che spazio aveva lo Stato di diritto?
Lo Stato
di diritto fu la grande vittima della storia politica e religiosa
argentina. Laddove s’impone un principio di unanimità qual era
quello postulato dal mito della nazione cattolica, il principio di
pluralità e di tutela dei diritti individuali e delle minoranze che
lo Stato di diritto è chiamato a garantire svanisce. Difatti, tutti
i principali attori del dramma argentino – militari e guerriglieri,
sindacalisti e movimenti studenteschi – non si batterono in nome
dello Stato di diritto e della Costituzione, ma di ideali che
ritenevano li trascendessero: Patria o Socialismo, Nazione o
Rivoluzione. Al cospetto di simili ideali di redenzione, l’individuo
e i suoi diritti apparvero loro sacrificabili, così come la
divisione tra poteri tipica del costituzionalismo liberale figurava
agli occhi di tutti loro d’intralcio alla piena affermazione della
volontà del Popolo, in nome di cui affermavano di combattere; Popolo
inteso come una comunità unanime. Tra tanti assoluti ideologici,
ogni forma di limite legale e istituzionale rimase schiacciato,
almeno fino a quando la spirale della morte non raggiunse livelli
tali da fare rinsavire una crescente parte della società argentina,
che agli inizi degli anni ’80 iniziò a sottolineare l’importanza
in sé, senza aggettivi né corollari ideologici, dello Stato di
diritto e della democrazia politica.
E qual è
oggi la situazione, a distanza di quasi quarant'anni, in termini di
giustizia, legalità e diritti, considerando anche le crisi
economiche che hanno spezzato il Paese?
Nonostante
i passi in avanti compiuti dall’Argentina dal ritorno alla
democrazia nel 1983 ad oggi, non si può dire che lo Stato di diritto
vi goda di buona salute né che il retaggio unanimista un tempo
associato al mito della nazione cattolica sia del tutto svanito. A
tale proposito, e al di là dei vari fattori che rendono spesso
precaria o carente la vigenza dello Stato di diritto – pressioni
del potere esecutivo su quello giudiziario, estese aree di
marginalità, attacchi alla libertà di stampa, corruzione e
narcotraffico - s’è verificato in Argentina un fenomeno piuttosto
peculiare e poco noto all’opinione pubblica internazionale. Si
tratta, per dirla in breve, della trasformazione del sacrosanto tema
dei diritti umani, per loro natura universali, in monopolio di una
parte politica. L’ala kirchnerista del peronismo suole usarlo come
un randello ideologico per imporre in modo unilaterale la sua
interpretazione del passato e delegittimare le opposizioni, al punto
di avere trasformato i più fedeli movimenti per i diritti umani, da
espressione della società civile quali erano un tempo in apparati
ideologici dello Stato. Detto altrimenti: il governo di Cristina
Kirchner ha trasformato i diritti umani in una nuova bandiera
unanimista, riproducendo i vizi che già in passato avevano minato lo
Stato di diritto in Argentina.