"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".
domenica 4 gennaio 2015
Strage di ragazzini al confine tra Eritrea e Sudan
Tredici ragazzini, sette donne e sei uomini, sono stati uccisi a raffiche di mitra dalla polizia di frontiera Eritrea mentre cercavano di attraversare il confine con il Sudan. E’ stata una strage a freddo, avvenuta verso al fine dello scorso settembre, vicino alla piccola città di Karora, ma scoperta soltanto tre mesi dopo, quasi alla vigilia di Natale.Proprio perché è rimasto a lungo segreto, non sono chiare le circostanze del massacro. Si sa per certo che le vittime, di età compresa tra i 13 e i 20 anni, facevano parte di un gruppo di 16 giovanissimi che, nascosti su un camion, si stavano dirigendo verso il Sudan, accompagnati e sotto la scorta di una “passatore-guida” ingaggiato dalle loro famiglie. Avevano scelto, per la fuga, una delle vie più battute dai profughi, la cosiddetta “Ghindae-Port Sudan Route”, che parte dal centro agricolo di Ghindae, nella regione eritrea del Mar Rosso Settentrionale, e termina appunto a Port Sudan, centinaia di chilometri più a nord.
Stando alla testimonianza resa a un quotidiano online della diaspora eritrea da un testimone che, per ovvie ragioni di sicurezza, chiede l’anonimato, i soldati hanno aperto il fuoco non appena si sono resi conto che il camion stava per varcare la frontiera, intuendo che a bordo dovevano esserci dei profughi risoluti a scappare.
L’ordine della dittatura, infatti, è di sparare a vista, mirando a uccidere, contro chiunque tenti di espatriare clandestinamente, specie se si tratta di giovani nell’età della leva militare. Come erano, in effetti, quasi tutti i 16 ragazzi. Non c’è stato scampo: le raffiche hanno fatto strage.
I corpi delle tredici vittime sono stati recuperati dagli stessi militari e sepolti in segreto in una fossa comune anonima, forse per cancellare ogni traccia e magari la memoria stessa del crimine. Ignota la sorte dei tre superstiti. Questa volontà di “negare tutto” è stata però smascherata dal dolore e dalla forza di volontà di un padre, Tesfahanes Hagos, un ex colonnello dell’esercito, invalido ed eroe della guerra di liberazione contro l’Etiopia. Tra i morti ci sono anche tre delle sue figlie – Arian (19 anni), Rita (16 anni) e Hossana, la più piccola, appena tredicenne – fuggite insieme per cercare di raggiungere la madre in Canada. Insospettito dalla prolungata, totale mancanza di notizie, dopo circa un mese l’ex ufficiale ha cominciato a indagare, ripercorrendo più volte la presumibile via di fuga scelta dalle sue ragazze e bussando ostinatamente a mille porte, senza arrendersi di fronte agli ostacoli e al muro di silenzio eretto dalla polizia. Fino a che ha portato alla luce il massacro.
Si è scoperto, a questo punto, che figli di ex militari erano anche quasi tutti gli altri ragazzi trucidati: la maggioranza di loro veniva infatti dal Denden Camp, un quartiere-villaggio di Asmara allestito per reduci e invalidi dell’esercito e per le loro famiglie. Forse anche per questo il segreto sulla strage era così rigido: la tragica fuga di quei ragazzini dimostra che sono sempre più insofferenti al regime anche i protagonisti della lotta che ha portato all’indipendenza dell’Eritrea. “Una lotta tradita dalla dittatura di Isaias Afewerki che si è insediata ad Asmara dal 1993”, denunciano i principali leader della diaspora in Africa, in Europa e in America.