Kosovo
13 anni dopo. Dopo la guerra e a quattro anni dalla dichiarazione di
indipendenza del Kosovo, le enclave serbe, situate all'internio del
territotio kosovaro, rappresentano una parte di Stato dentro un altro
Stato, ma il governo centrale, al loro interno, non ha alcuna
autorità. Qui, infatti, i serbi conitinuano a vivere come se fossero
in Serbia grazie ad un sistema che segue le direttive di Belgrado.
Kosovo
vs Kosovo è
un documentario, rilasciato sotto licenza Creative Commons, che
racconta tutto questo. Scritto e diretto da Valerio Bassan e Andrea
Legni, con il supporto di Domenico Palazzi e Jovan Zlaticanin, il
film - autoprodotto, girato in tre settimane e preceduto da una lunga
fase di ricerca - mostra, in particolare, la quotidianità e le
condizioni di vita della minoranza serba in Kosovo.
Per
capire meglio la situazione, abbiamo intervistato Andrea Legni
Qual è,
attualmente, la situazione geopolitica di quell'area?
La
situazione geopolitica è di difficile lettura, nel senso che il
Kosovo si è proclamato indipendente nel febbraio 2008, ma il suo
status internazionale rimane non condiviso in quanto oltre la metà
degli Stati membri dell'ONU non lo riconosce. Per l'ONU è ancora
valida la risoluzione del 1999 secondo la quale in Kosovo è una
provincia autonoma all'interno della Repubblica di Serbia.
La
maggior parte degli Stati dell'Unione Europea ha, invece,
riconosciuto il Kosovo (l'Italia è stato il primo) tranne alcuni e
tra questi, ad esempio, la Spagna per la paura che il riconoscere
un'autoproclamazione di indipendenza possa fomentare altri gruppi
nazionalisti, come i Baschi o i Catalani.
A
livello di relazione tra Serbia e Kosovo si sono fatti alcuni passi
avanti: da una fase piuttosto lunga di “muro contro muro” si è
arrivati ad una serie di incontri bilaterali, cominciati nel
2009-2010, tra i Primi Ministri che hanno portato alla sigla di un
accordo in cui si cerca di normalizzare la relazione tra i due Stati.
Tra le decisioni più importanti, è emersa la volontà di garantire,
alle zone serbe all'interno del Kosovo (la zona nord di Mitrovica,
dove vive la maggioranza serba) un'autonomia piuttosto spiccata,
all'interno della quale la polizia sarà rappresentata da poliziotti
e dirigenti serbi oppure i tribunali avranno pubblici ufficiali
serbi, seppure con l'avvallo dello Stato del Kosovo.
Questo a
livello diplomatico. Ma com'è la quotidianità delle persone?
Con il
nostro documentario abbiamo voluto raccontare la quotidianità dei
serbi che vivono in Kosovo. Qui i serbi vivono due condizioni
differenti: la maggioranza di loro - di circa 50.000 persone, che
vive a nord di Mitrovica e che, quindi, si trova praticamente in
Serbia - non ha grossi problemi; noi, invece, abbiamo parlato dei
serbi che vivono nel resto del Kosovo, nella parte meridionale. Qui
vivono in enclave monoetniche, in villaggi di poche centinaia di
abitanti, posti alla periferia delle principali città del Kosovo in
cui sono rimasti, principalmente, gli albanesi.
Nei
villaggi i serbi eleggono i propri sindaci; le scuole e gli ospedali
vengono gestiti secondo il sistema serbo; viene utilizzzato, come
moneta, il dinaro, mentre in Kosovo si usa l'euro.
La vita
delle persone è abbastanza dura in quanto contrassegnata da una
quasi totale mancanza di libertà di movimento: mentre giravamo il
film, abbiamo abitato in un piccolo villaggio in cui vivono circa 800
persone che non escono mai per paura di aggressioni. Non vanno mai
nella città vicina - Peja, che dista a cinque minuti - ma, per
risolvere i problemi di vita quotidiana come, ad esempio, andare dal
medico - vanno a Mitrovica, affrontando un viaggio in pullman di 70
Km andata e ritorno, piuttosto che andare nella città più vicina.
Abbiamo
parlato, inoltre, con i giovani e questi vivono in campagna dove, per
loro, non c'è niente: non ci sono scuole né luoghi ricreativi.
Niente. Questa è la ragione principale - unita alla mancanza di
prospettive di lavoro - per cui i ragazzi cercano di andarsene. Anche
quelli che abbiamo intervistato: appena prendevano un po' di
confidenza, ci chiedevano se potevamo procurare loro un visto per
partire.
Ti
ricordi una testimonianza in particolare?
Sì,
però non è nel documentario...Una delle difficoltà che abbiamo
avuto, soprattutto con le persone più giovani, è che - dopo giorni
che ci si incontrava e si parlava - non era facile convincerli a
rilasciare la propria testimonianza davanti alla cinepresa, per cui
molti ragazzi alla fine non se la sono sentita.
In
particolare, c'è un ragazzo, Vlado, che avevamo incontrato più
volte, che ha 25 anni: in un pomeriggio di chiacchiere a casa sua, ci
ha raccontato la sua visione della vita in Kosovo. Una visione
totlamente pessimistica: sosteneva, infatti, che in Kosovo può
continuare a vivere solo chi sta aspettando di morire, cioè
solamente gli anziani, che sono nati e che hanno vissuto la loro
intera esistenza lì. Dopo una settimana da quel pomeriggio, siamo
tornati per registrare la sua intervista, ma sua madre ci ha detto
che se n'era andato a Belgrado, da un suo cugino.
Perchè
si sono spenti i riflettori su quell'area di Europa?
Il
Kosovo ha riempito le pagine dei media fino a quando è stato il
momento di prepararre gli animi alla guerra, tra la fine del 1998 e
l'inizio del '99, poi se ne è parlato per qualche anno quando il
conflitto è finito, ma poi è sparito dall'agenda dei media. Questo
ha portato non solo a dimenticare la questione, ma - ancora più
grave - a pensare che, se non se ne parla più, è perchè ormai è
tutto a posto.