Un
testo oggi più che mai importante, a pochi giorni dalle elezioni
presidenziali in Iran e alle quali non è stata ammessa nemmeno una
delle trenta donne candidate.
Farian
Sabahi, docente di Storia dei Paesi islamici all'università di
Torino e giornalista, riesce a coniugare leggerezza e ironia in un
testo che affronta argomenti seri, quali: la condizione femminile, il
divorzio, la dicotomia tra islamismo e modernità, il senso della
democrazia, i diritti degli omosessuali musulmani e molto altro
ancora.
Numerose
citazioni letterarie e cinematografiche intrecciano Passato e
Presente, Storia e attualità per raccontare, come una Sherazade
contemporanea, gli aspetti chiaro-scuri della città di Teheran, del
suo popolo e dell'intero Paese. Una città in cui le donne, oggi come
ieri, sono ricchezza umana e culturale e potrebbero essere il motore
del cambiamento verso una maggiore libertà e garanzia dei diritti,
per tutti.
Abbiamo
intervistato Farian Sabahi
Il libro
è dedicato a suo figlio, Atesh. Qual è il significato di questo
nome e perchè ha voluto scrivere per lui proprio questo
saggio?
Atesh vuol dire “fuoco”, è un nome che appartiene alla tradizione zoroastriana e quindi alle origini dell'Iran, prima dell'invasione arabo-musulmana. Non ho scritto “Noi donne di Teheran” per lui, ma ho pensato di dedicarglielo per dargli uno strumento per abbattere, fin da ragazzino, gli stereotipi sul nostro paese d'origine.
Attraverso i racconti, i proverbi e le vicende di alcune persone – intellettuali e non – fa compiere, al lettore, un viaggio nella Storia e, in particolare, nella città di Teheran. Cosa rappresenta, per lei, la sua città ?
Qual è la mia città? Non so, ho vissuto in tanti posti diversi. Teheran è la città in cui è nato e cresciuto mio padre, poi emigrato a Torino. E non era in realtà nemmeno la città di mia nonna Mariam, di cui parlo verso la fine del testo: lei era nata a Baku, nell'odierna Repubblica dell'Azerbaigian. Poi, alla fine degli anni Venti del Novecento, è stata obbligata a varcare la frontiera, con la famiglia, cercando scampo in Iran. Il Medio Oriente e il Caucaso sono da sempre mondi complessi, e certe latitudini emigrare è spesso stata una scelta obbligata: per motivi legati alle persecuzioni politiche, per studiare, per il desiderio di conoscere altri luoghi ed emanciparsi dall'amore delle famiglie.
Ed è' vero che Teheran si può accostare all'archetipo femminino?
“Donna è Teheran”, dico in questo testo che nasce per il teatro e ha un diverso registro di scrittura rispetto ai miei saggi accademici e ai reportage giornalistici. La città, declinata al femminile, diventa pretesto per raccontare la storia di un Paese, le sue similitudini rispetto al Sud Italia e le tante, tantissime contraddizioni. Per esempio religiose: a Teheran cristiani, ebrei e zoroastriani hanno i loro luoghi di culto, mentre i sunniti (musulmani pure loro, come gli sciiti) non hanno moschee tutte per loro. Ma non solo: niente omosessuali a Teheran, aveva dichiarato il presidente Ahmadinejad, ma a Teheran sono consentite (e incoraggiate) le operazioni chirurgiche per cambiare sesso. Questioni complesse, cui cerco di dare risposta.
Quali sono gli stereotipi confermati, ancora oggi, in Occidente sul popolo iraniano?
Principalmente quelli sulle donne, percepite sempre e comunque come coperte dal chador e quindi oppresse. Nel testo racconto che le iraniane hanno ricevuto il diritto di voto nel 1963, per gentile concessione dell'ultimo scià di Persia. 1963, ovvero cinquant'anni fa e quindi prima delle svizzere. Ma il diritto di voto non basta a fare una democrazia. E ancora, stereotipi sull'istruzione: non tutti sanno che a Teheran due matricole su tre sono donne. Che scelgono sempre e comunque (tranne un'esigua minoranza) materie scientifiche. Perché con una laurea in Lettere finisci tutt'al più a fare l'insegnante.
Perchè, nel suo libro, parla di “schizofrenia culturale” degli iraniani?
Prendo a prestito questa espressione dal filosofo iraniano Dariush Shayegan. Schizofrenia culturale perché Teheran non è né Oriente né Occidente. Teheran è una città con due anime. Viviamo sospesi, appunto tra Oriente e Occidente, tra modernità e tradizione. Siamo cittadini di una Repubblica... islamica, e la nostra dovrebbe essere una democrazia... religiosa, ma in realtà è una oligarchia di ayatollah e pasdaran. Mescoliamo Oriente e Occidente. Per esempio quando mangiamo la pizza: con il gormeh sabzi (un nostro piatto tipico). E al zereshk polo, un altro piatto tipico, qualcuno aggiunge il ketchup.
E, invece, cosa intende quando parla di “mondo iranico”?
I confini dell'Iran attuale sono ridimensionati rispetto a quelli dell'antico impero persiano. Mondo iranico è lo spazio culturale che va dall'est dell'Iraq all'India del Nord passando per l'Asia centrale. Un mondo ancora intriso di cultura persiana. In cui la poesia è una seconda lingua madre. Anche quando dobbiamo combattere gli integralismi. Perché spesso tiriamo in ballo un poeta antico, contemporaneo di Dante: il nostro Hafez.
Nella seconda parte del saggio, elenca nomi di donne che – attraverso il loro operato – si sono affermate nel mondo dell' Arte, della cultura, della politica e molte di loro hanno lottato per affermare diritti umani e civili. Nel 1907, in Iran, viene fondata la prima scuola femminile: sono gli stessi anni che vedono protagoniste, in Europa, le suffragette.
C'è così tanta differenza tra le donne iraniane e quelle occidentali, italane in particolare?
Non più di tanto. In “Noi donne di Teheran” l'elenco di donne in gamba è lungo, anche se ovviamente non esaustivo. In un primo momento pensavo di accorciarlo. E nella lettura teatrale salto a piè pari quel lungo elenco di nomi. Ma resta la frase finale di quella parte: quando pensare a noi riflettere sul nostro coraggio, sulla forza di noi donne di Teheran. Perché, come recita un proverbio persiano, se cerchi la luna guarda il cielo, non lo stagno.
Atesh vuol dire “fuoco”, è un nome che appartiene alla tradizione zoroastriana e quindi alle origini dell'Iran, prima dell'invasione arabo-musulmana. Non ho scritto “Noi donne di Teheran” per lui, ma ho pensato di dedicarglielo per dargli uno strumento per abbattere, fin da ragazzino, gli stereotipi sul nostro paese d'origine.
Attraverso i racconti, i proverbi e le vicende di alcune persone – intellettuali e non – fa compiere, al lettore, un viaggio nella Storia e, in particolare, nella città di Teheran. Cosa rappresenta, per lei, la sua città ?
Qual è la mia città? Non so, ho vissuto in tanti posti diversi. Teheran è la città in cui è nato e cresciuto mio padre, poi emigrato a Torino. E non era in realtà nemmeno la città di mia nonna Mariam, di cui parlo verso la fine del testo: lei era nata a Baku, nell'odierna Repubblica dell'Azerbaigian. Poi, alla fine degli anni Venti del Novecento, è stata obbligata a varcare la frontiera, con la famiglia, cercando scampo in Iran. Il Medio Oriente e il Caucaso sono da sempre mondi complessi, e certe latitudini emigrare è spesso stata una scelta obbligata: per motivi legati alle persecuzioni politiche, per studiare, per il desiderio di conoscere altri luoghi ed emanciparsi dall'amore delle famiglie.
Ed è' vero che Teheran si può accostare all'archetipo femminino?
“Donna è Teheran”, dico in questo testo che nasce per il teatro e ha un diverso registro di scrittura rispetto ai miei saggi accademici e ai reportage giornalistici. La città, declinata al femminile, diventa pretesto per raccontare la storia di un Paese, le sue similitudini rispetto al Sud Italia e le tante, tantissime contraddizioni. Per esempio religiose: a Teheran cristiani, ebrei e zoroastriani hanno i loro luoghi di culto, mentre i sunniti (musulmani pure loro, come gli sciiti) non hanno moschee tutte per loro. Ma non solo: niente omosessuali a Teheran, aveva dichiarato il presidente Ahmadinejad, ma a Teheran sono consentite (e incoraggiate) le operazioni chirurgiche per cambiare sesso. Questioni complesse, cui cerco di dare risposta.
Quali sono gli stereotipi confermati, ancora oggi, in Occidente sul popolo iraniano?
Principalmente quelli sulle donne, percepite sempre e comunque come coperte dal chador e quindi oppresse. Nel testo racconto che le iraniane hanno ricevuto il diritto di voto nel 1963, per gentile concessione dell'ultimo scià di Persia. 1963, ovvero cinquant'anni fa e quindi prima delle svizzere. Ma il diritto di voto non basta a fare una democrazia. E ancora, stereotipi sull'istruzione: non tutti sanno che a Teheran due matricole su tre sono donne. Che scelgono sempre e comunque (tranne un'esigua minoranza) materie scientifiche. Perché con una laurea in Lettere finisci tutt'al più a fare l'insegnante.
Perchè, nel suo libro, parla di “schizofrenia culturale” degli iraniani?
Prendo a prestito questa espressione dal filosofo iraniano Dariush Shayegan. Schizofrenia culturale perché Teheran non è né Oriente né Occidente. Teheran è una città con due anime. Viviamo sospesi, appunto tra Oriente e Occidente, tra modernità e tradizione. Siamo cittadini di una Repubblica... islamica, e la nostra dovrebbe essere una democrazia... religiosa, ma in realtà è una oligarchia di ayatollah e pasdaran. Mescoliamo Oriente e Occidente. Per esempio quando mangiamo la pizza: con il gormeh sabzi (un nostro piatto tipico). E al zereshk polo, un altro piatto tipico, qualcuno aggiunge il ketchup.
E, invece, cosa intende quando parla di “mondo iranico”?
I confini dell'Iran attuale sono ridimensionati rispetto a quelli dell'antico impero persiano. Mondo iranico è lo spazio culturale che va dall'est dell'Iraq all'India del Nord passando per l'Asia centrale. Un mondo ancora intriso di cultura persiana. In cui la poesia è una seconda lingua madre. Anche quando dobbiamo combattere gli integralismi. Perché spesso tiriamo in ballo un poeta antico, contemporaneo di Dante: il nostro Hafez.
Nella seconda parte del saggio, elenca nomi di donne che – attraverso il loro operato – si sono affermate nel mondo dell' Arte, della cultura, della politica e molte di loro hanno lottato per affermare diritti umani e civili. Nel 1907, in Iran, viene fondata la prima scuola femminile: sono gli stessi anni che vedono protagoniste, in Europa, le suffragette.
C'è così tanta differenza tra le donne iraniane e quelle occidentali, italane in particolare?
Non più di tanto. In “Noi donne di Teheran” l'elenco di donne in gamba è lungo, anche se ovviamente non esaustivo. In un primo momento pensavo di accorciarlo. E nella lettura teatrale salto a piè pari quel lungo elenco di nomi. Ma resta la frase finale di quella parte: quando pensare a noi riflettere sul nostro coraggio, sulla forza di noi donne di Teheran. Perché, come recita un proverbio persiano, se cerchi la luna guarda il cielo, non lo stagno.