mercoledì 12 giugno 2013

Then months later: cosa succede in Egitto dieci mesi dopo la rivoluzione?



Andrea Balossi Restelli, Lucrezia Botton e Matteo Vivianetti - videomakers ed esperti di mondo arabo - si sono recati in Egitto, a Il Cairo, dopo la caduta del regime di Mubarak e hanno realizzato il documentario Then months later, presentato all'ultima edizione del Festival del Cinema africano, d'Asia e America latina di Milano, nel concorso Extr'a.
 Le riprese vengono fatte durante le elezioni che porteranno al governo il gruppo conservatore 
dei Fratelli musulmani e la cinepresa riprende le reazioni del popolo, le aspettative e le              preoccupazioni delle persone comuni.


Per approfondire l'argomento, abbiamo rivolto alcune domande agli autori del documentario.


Il titolo del vostro documentario suggerisce il periodo in cui vi siete recati a Il Cairo per realizzare il film ? E in che situazione si trovava la città ?

Ci siamo recati al Cairo nel dicembre del 2011 dopo che Matteo e Lucrezia ci erano stati 10 mesi prima subito dopo la caduta di Mubarak, per cercare di capire il clima elettorale ma soprattutto postelettorale.
Dalla prima visita scaturì il video Shuft (Ho visto) testimonianze di persone che avevano partecipato al movimento di piazza Tharir mischiate ai materiali (foto, filmati) realizzati dai manifestanti in quei giorni.
Durante il secondo viaggio abbiamo realizzato il video Ten Months Later che racconta le emozioni, le paure e le speranze di alcuni personaggi molto eterogenei tra loro all’indomani delle elezioni parlamentari vinte con larga maggioranza dai Fratelli Musulmani e dalla coalizione salafita.
Il clima del Cairo a distanza di dieci mesi era molto cambiato, dall’euforia dei giorni della caduta del regime si era passati ad una disillusione e spesso alla rabbia di dover subire
interventi repressivi della giunta militare con morti e feriti; inoltre il clima delle elezioni parlamentari, in cui per la prima volta i cittadini Egiziani erano liberi di esprimersi senza timori, era guastato da sospetti e tensioni.
Al nostro arrivo, infatti, abbiamo trovato una città estremamente tesa, segnata dalle recenti violenze e in balia di eventi che si succedevano con una rapidità impressionante.
In questo contesto le elezioni avevano assunto un significato molto più marginale di quello che ci si sarebbe aspettati. La schiacciante vittoria dei Fratelli Musulmani, che quasi tutti davano per scontata ma non con quelle proporzioni, diveniva agli occhi degli attivisti laici come un altro tassello di una transizione post-rivoluzionaria in cui tutto andava per il verso sbagliato.
Con il nostro documentario abbiamo cercato cogliere questo particolare momento dell'Egitto registrando tra la gente opinioni e sensazioni che rendessero l'estrema dinamicità e instabilità che si viveva in quei giorni.

Potete anticiparci le storie/testimonianze dei cinque protagonisti che avete seguito durante il vostro lavoro?

Per rappresentare quella fase di transizione ci siamo affidati a cinque persone, tra cui quattro donne, diverse per età, condizioni economiche e livelli di istruzione ma accomunate da una visione critica sulla situazione politica.
Varie sono le reazioni alla vittoria dei Fratelli Musulmani: più emotive o più razionali, sono comunque sempre amare tranne quella di una donna che vive in un quartiere popolare che risalta per l'ironia e la positività con cui si relaziona a una situazione anche per lei preoccupante.
Le proteste di via Mohamed Mahmoud e gli scontri fra polizia e giovani manifestanti sono, invece, rivissute attraverso lo sguardo lucido e appassionato di un' anziana attivista politica che ci accompagna per le strade che arrivano in piazza Tahrir.
Abbiamo seguito anche Zeinab nel suo tragitto verso casa nel traffico caotico del Cairo e ci ha detto che il sistema li lascia vivere in quel caos per stancarli e non farli ragionare, ci ha detto che molta gente vorrebbe un Paese più civile con scuole e ospedali sicuri e puliti ma che l’individualismo e l’ignoranza non permettono a questi sentimenti di prevalere.
Lei lavora come addetta alle pulizie alla tv giapponese e vive in periferia in un classico palazzone non intonacato perché scrostato o perché mai finito, ma facendoci accomodare ci dice che qui non si sta tanto male…
Nama durante l’inaugurazione di una mostra sull’ iconografia dei manifesti elettorali ci dice quanto è triste, pensa che sia finita, è veramente delusa dai risultati elettorali, crede che se i salafiti hanno preso tanti voti nelle principali città allora nelle campagne, dove ancora si stava votando, faranno il pieno! Nama cura progetti culturali nelle scuole e lavora in una compagnia teatrale e, andandosene, ci dice che se dovrà scegliere tra il velo o la barba a lei andrà benissimo la seconda!
Selma, avvocatessa di diritto commerciale, crede che i Fratelli Musulmani abbiano condotto un gioco politico sporco con una campagna ”porta porta” tra i poveri promettendo mari e monti e rimprovera ai partiti progressisti e laici di aver parlato solo al loro pubblico ristretto: a quel 10% di egiziani che già avevano una consapevole coscienza politica e li avrebbero votati comunque. In ogni caso non sembra troppo preoccupata, dice di voler vedere cosa saranno capaci di fare i Fratelli Musulmani e ci assicura che ormai la gente ha imparato a scendere in piazza è questa la vera garanzia di una democrazia.
Incontriamo Marwa mentre esce dal giornale dove lavora e si reca al seggio per votare, ci dice che darà la sua preferenza ad un partito laico e liberale anche se preferirebbe una compagine più a sinistra e ci dice che in materia di economia anche i Fratelli Musulmani
sono liberali in teoria...
Laila ci dice che la giunta militare sembra non voler lasciare il potere, dice che il movimento ha fatto male ad abbandonare la piazza, vede le divisioni interne tra Fratelli musulmani e Movimento 8 aprile come ostacolo ad un nuovo corso, ci lascia molto pensierosa ma con il piglio di una vecchia combattente!
Mustafa guida il suo taxi e fuori dai finestrini scorre la vita e ci dice che è musulmano ma
che il partito dei Fratelli divide invece che unire, dice che le persone non hanno capito cos’è la democrazia, ognuno vuole qualcosa e nessuno pensa al bene comune di tutti gli Egiziani!

Quali sono, in generale, i sentimenti delle persone che stanno vivendo la “post – rivoluzione” ? Quali le aspettative del popolo egiziano?

Generalizzando possiamo dire che tutta la gente si aspetta un governo che si interessi al bene comune e porti a un miglioramento delle condizioni di vita e diffidi di forme di potere autoritarie che perseguono interessi personali e di gruppo. Di qui viene l'attuale diffusissima opposizione al governo di Morsi. Vi e' poi, soprattutto fra quelli che si sono impegnati di persona nella rivolta contro il regime, la paura di vedere vanificati l'impegno e le sofferenze patite durante e dopo la rivoluzione a causa del prevalere di forze antidemocratiche nel corso di questa drammatica fase di transizione.
Abbiamo deciso di pubblicare il video nonostante fosse stato girato più di un anno fa e fossero successe molte cose tra cui l’elezione del presidente Morsi proprio perché ci siamo accorti di quanto fossero ancora attuali i sentimenti espressi dai nostri intervistati, molti loro timori si sono avverati e molte speranze sono state deluse, ma per quel che possiamo capire, la volontà di cambiare il Paese rimane radicata in una minoranza molto eterogenea che forse si scoprirà molto più forte di quanto immaginano gli osservatori interni ed esterni.

Pensate che i mezzi di informazione italiani riportino correttamente le notizie di quello che sta accadendo in Egitto?

In generale assolutamente no. I media più diffusi si occupano dell'Egitto - e degli esteri in generale - in maniera occasionale cercando notizie spettacolari o “olkloristiche per suscitare attenzione nel pubblico e, nella maggior parte dei casi, dando una visione limitata e distorta del Paese, spesso con un occhio solo puntato sulla condizione della donna. In particolare, sulle rivolte arabe si tende a omologare le diverse insurrezioni sotto lo stesso appellativo di Primavera Araba, espressione che gli attivisti arabi in occasione del World Social Forum 2013 tenutosi in Tunisia, hanno rifiutato perché' la considerano una narrativa orientalistica inventata dai media occidentali, che non tiene conto delle specificità', della lunghezza e della complessità' dei processi di trasformazione dei diversi Paesi arabi.
A distanza di più di due anni si può constatare che certi mezzi d’informazione italiani hanno meglio compreso le dinamiche e le situazioni di tutto il mondo arabo e quindi i cambiamenti in atto, anche se l’attenzione si risveglia a singhiozzo solo con cadaveri e esplosioni o grazie a pochi volonterosi cronisti, ma questo è un problema generale del sistema d’informazione che vive di notizie e non di indagine della realtà. Devo però dire che proprio dall’esigenza di Lucrezia e Matteo di comunicare cosa stava succedendo nella loro città d’adozione nacque l’idea del primo video, avendo vissuto per dieci anni in Egitto si preoccupavano di come dall’Italia venisse ignorata o mal interpretata la rivoluzione di piazza Tharir.