Andrea
Balossi Restelli, Lucrezia Botton e Matteo Vivianetti - videomakers ed esperti di mondo arabo - si sono recati in Egitto, a
Il Cairo, dopo la caduta del regime di Mubarak e hanno realizzato il
documentario Then months
later, presentato
all'ultima edizione del Festival del Cinema africano, d'Asia e
America latina di Milano, nel concorso Extr'a.
Le
riprese vengono fatte durante le elezioni che porteranno al governo
il gruppo conservatore
dei Fratelli musulmani e la cinepresa riprende
le reazioni del popolo, le aspettative e le preoccupazioni delle
persone comuni.
Per
approfondire l'argomento, abbiamo rivolto alcune domande agli autori
del documentario.
Il
titolo del vostro documentario suggerisce il periodo in cui vi siete
recati a Il Cairo per realizzare il film ? E in che situazione si
trovava la città ?
Ci
siamo recati al Cairo nel dicembre del 2011 dopo che Matteo e
Lucrezia ci erano stati 10 mesi prima subito dopo la caduta di
Mubarak, per cercare di capire il clima elettorale ma soprattutto
postelettorale.
Dalla
prima visita scaturì il video Shuft
(Ho visto) testimonianze di
persone che avevano partecipato al movimento di piazza Tharir
mischiate ai materiali (foto, filmati) realizzati dai manifestanti in
quei giorni.
Durante
il secondo viaggio abbiamo realizzato il video Ten
Months Later che racconta
le emozioni, le paure e le speranze di alcuni personaggi molto
eterogenei tra loro all’indomani delle elezioni parlamentari vinte
con larga maggioranza dai Fratelli Musulmani e dalla coalizione
salafita.
Il
clima del Cairo a distanza di dieci mesi era molto cambiato,
dall’euforia dei giorni della caduta del regime si era passati ad
una disillusione e spesso alla rabbia di dover subire
interventi
repressivi della giunta militare con morti e feriti; inoltre il clima
delle elezioni parlamentari, in cui per la prima volta i cittadini
Egiziani erano liberi di esprimersi senza timori, era guastato da
sospetti e tensioni.
Al
nostro arrivo, infatti, abbiamo trovato una città estremamente tesa,
segnata dalle recenti violenze e in balia di eventi che si
succedevano con una rapidità impressionante.
In
questo contesto le elezioni avevano assunto un significato molto più
marginale di quello che ci si sarebbe aspettati. La schiacciante
vittoria dei Fratelli Musulmani, che quasi tutti davano per scontata
ma non con quelle proporzioni, diveniva agli occhi degli attivisti
laici come un altro tassello di una transizione post-rivoluzionaria
in cui tutto andava per il verso sbagliato.
Con
il nostro documentario abbiamo cercato cogliere questo particolare
momento dell'Egitto registrando tra la gente opinioni e sensazioni
che rendessero l'estrema dinamicità e instabilità che si viveva in
quei giorni.
Potete
anticiparci le storie/testimonianze dei cinque protagonisti che avete
seguito durante il vostro lavoro?
Per
rappresentare quella fase di transizione ci siamo affidati a cinque
persone, tra cui quattro donne, diverse per età, condizioni
economiche e livelli di istruzione ma accomunate da una visione
critica sulla situazione politica.
Varie
sono le reazioni alla vittoria dei Fratelli Musulmani: più emotive o
più razionali, sono comunque sempre amare tranne quella di una donna
che vive in un quartiere popolare che risalta per l'ironia e la
positività con cui si relaziona a una situazione anche per lei
preoccupante.
Le
proteste di via Mohamed Mahmoud e gli scontri fra polizia e giovani
manifestanti sono, invece, rivissute attraverso lo sguardo lucido e
appassionato di un' anziana attivista politica che ci accompagna per
le strade che arrivano in piazza Tahrir.
Abbiamo
seguito anche Zeinab nel suo tragitto verso casa nel traffico caotico
del Cairo e ci ha detto che il sistema li lascia vivere in quel caos
per stancarli e non farli ragionare, ci ha detto che molta gente
vorrebbe un Paese più civile con scuole e ospedali sicuri e puliti
ma che l’individualismo e l’ignoranza non permettono a questi
sentimenti di prevalere.
Lei
lavora come addetta alle pulizie alla tv giapponese e vive in
periferia in un classico palazzone non intonacato perché scrostato o
perché mai finito, ma facendoci accomodare ci dice che qui non si
sta tanto male…
Nama
durante l’inaugurazione di una mostra sull’ iconografia dei
manifesti elettorali ci dice quanto è triste, pensa che sia finita,
è veramente delusa dai risultati elettorali, crede che se i salafiti
hanno preso tanti voti nelle principali città allora nelle campagne,
dove ancora si stava votando, faranno il pieno! Nama cura progetti
culturali nelle scuole e lavora in una compagnia teatrale e,
andandosene, ci dice che se dovrà scegliere tra il velo o la barba a
lei andrà benissimo la seconda!
Selma,
avvocatessa di diritto commerciale, crede che i Fratelli Musulmani
abbiano condotto un gioco politico sporco con una campagna ”porta
porta” tra i poveri promettendo mari e monti e rimprovera ai
partiti progressisti e laici di aver parlato solo al loro pubblico
ristretto: a quel 10% di egiziani che già avevano una consapevole
coscienza politica e li avrebbero votati comunque. In ogni caso non
sembra troppo preoccupata, dice di voler vedere cosa saranno capaci
di fare i Fratelli Musulmani e ci assicura che ormai la gente ha
imparato a scendere in piazza è questa la vera garanzia di una
democrazia.
Incontriamo
Marwa mentre esce dal giornale dove lavora e si reca al seggio per
votare, ci dice che darà la sua preferenza ad un partito laico e
liberale anche se preferirebbe una compagine più a sinistra e ci
dice che in materia di economia anche i Fratelli Musulmani
sono
liberali in teoria...
Laila ci
dice che la giunta militare sembra non voler lasciare il potere, dice
che il movimento ha fatto male ad abbandonare la piazza, vede le
divisioni interne tra Fratelli musulmani e Movimento
8 aprile come ostacolo ad
un nuovo corso, ci lascia molto pensierosa ma con il piglio di una
vecchia combattente!
Mustafa
guida il suo taxi e fuori dai finestrini scorre la vita e ci dice che
è musulmano ma
che il
partito dei Fratelli divide invece che unire, dice che le persone non
hanno capito cos’è la democrazia, ognuno vuole qualcosa e nessuno
pensa al bene comune di tutti gli Egiziani!
Quali
sono, in generale, i sentimenti delle persone che stanno vivendo la
“post – rivoluzione” ? Quali le aspettative del popolo
egiziano?
Generalizzando
possiamo dire che tutta la gente si aspetta un governo che si
interessi al bene comune e porti a un miglioramento delle condizioni
di vita e diffidi di forme di potere autoritarie che perseguono
interessi personali e di gruppo. Di qui viene l'attuale diffusissima
opposizione al governo di Morsi. Vi e' poi, soprattutto fra quelli
che si sono impegnati di persona nella rivolta contro il regime, la
paura di vedere vanificati l'impegno e le sofferenze patite durante e
dopo la rivoluzione a causa del prevalere di forze antidemocratiche
nel corso di questa drammatica fase di transizione.
Abbiamo
deciso di pubblicare il video nonostante fosse stato girato più di
un anno fa e fossero successe molte cose tra cui l’elezione del
presidente Morsi proprio perché ci siamo accorti di quanto fossero
ancora attuali i sentimenti espressi dai nostri intervistati, molti
loro timori si sono avverati e molte speranze sono state deluse, ma
per quel che possiamo capire, la volontà di cambiare il Paese rimane
radicata in una minoranza molto eterogenea che forse si scoprirà
molto più forte di quanto immaginano gli osservatori interni ed
esterni.
Pensate
che i mezzi di informazione italiani riportino correttamente le
notizie di quello che sta accadendo in Egitto?
In
generale assolutamente no. I media più diffusi si occupano
dell'Egitto -
e
degli esteri in generale -
in
maniera occasionale cercando notizie spettacolari o “彷olkloristiche
per suscitare attenzione nel pubblico e, nella maggior parte dei
casi, dando una visione limitata e distorta del Paese, spesso con un
occhio solo puntato sulla condizione della donna. In particolare,
sulle rivolte arabe si tende a omologare le diverse insurrezioni
sotto lo stesso appellativo di Primavera Araba, espressione che gli
attivisti arabi in occasione del World Social Forum 2013 tenutosi in
Tunisia, hanno rifiutato perché' la considerano una narrativa
orientalistica inventata dai media occidentali, che non tiene conto
delle specificità', della lunghezza e della complessità' dei
processi di trasformazione dei diversi Paesi arabi.
A
distanza di più di due anni si può constatare che certi mezzi
d’informazione italiani hanno meglio compreso le dinamiche e le
situazioni di tutto il mondo arabo e quindi i cambiamenti in atto,
anche se l’attenzione si risveglia a singhiozzo solo con cadaveri e
esplosioni o grazie a pochi volonterosi cronisti, ma questo è un
problema generale del sistema d’informazione che vive di notizie e
non di indagine della realtà. Devo però dire che proprio
dall’esigenza di Lucrezia e Matteo di comunicare cosa stava
succedendo nella loro città d’adozione nacque l’idea del primo
video, avendo vissuto per dieci anni in Egitto si preoccupavano di
come dall’Italia venisse ignorata o mal interpretata la rivoluzione
di piazza Tharir.