La pratica penitenziaria evidenzia una distanza tra diritti proclamati e diritti garantiti: parte da qui la riflessione di Patrizio Gonnella, Presidente dell'Associazione Antigone, che nel suo testo - intitolato Carceri. I confini della dignità edito da Jaca Book - ridisegna i confini della pena carceraria attraverso una descrizione qualitativa e critica dei diritti dei detenuti. Si parla di diritto alla vita, alla salute, al voto, al lavoro, agli affetti: diritti che, se tutelati, garantiscono il riconoscimento della dignità umana. E la loro tutela passa attraverso un costante impegno giuridico, politico e culturale.
Abbiamo intervistato per voi Patrizio Gonnella che ringraziamo tantissimo per la sua disponibilità.
Qual è la sua opinione in merito alla
legge cosiddetta “svuotacarceri”? Le misure adottate sono
sufficienti o si può fare di più?
È stato questo un periodo di piccole
riforma che hanno segnato un cambio di tendenza rispetto ai
precedenti vent’anni. È però ancora una situazione fragile e non
necessariamente resistente alle intemperie culturali. Ricordo i
pilastri di quella che non è una legge svuotacarceri : norma timida
sulle droghe che cambierà di pochissimo in meglio l’orribile legge
Fini-Giovanardi. Espulsione facilitata per gli stranieri già in
carcere. Qualche giorno di liberazione anticipata in più per chi
tiene in carcere regolare condotta, ad esclusione di mafiosi,
narcotrafficanti, sequestratori etc. etc. Misure per facilitare il
lavoro penitenziario. Istituzione del Garante dei diritti delle
persone private della libertà. Tutela giurisdizionale dei diritti
per chi oggi non ne ha. A noi questo decreto non convince perché ha
fatto poco rispetto a quello di cui il nostro sistema penale e
penitenziario avrebbe bisogno. Faccio un elenco: nuovo codice penale
di ispirazione non autoritaria; nuova legge sulle droghe non
proibizionista e punitiva; abrogazione totale della legge Cirielli
sulla recidiva che in parte sopravvive grazie a chi lo scorso agosto
l’ha salvata dall’abrogazione; garanzie di rispetto della dignità
umana per chi è dietro le sbarre.
In che modo si può modificare
l'approccio culturale relativo al carcere, ai detenuti? Ovvero, in
che modo si può pensare alla persona detenuta, appunto come a una
“persona”?
È un percorso che richiede un diverso
approccio sociale e culturale. È necessaria una svolta umanocentrica
di tipo universalista capace di superare la logica violenta che
governa oggi le decisioni politiche. Le parole chiave sono dignità
umana e nonviolenza. Solo la nonviolenza come fine e come mezzo è
capace di produrre un cambio di paradigma nel nome dell’uguaglianza
e della solidarietà.
In base alla sua lunga esperienza
professionale, quali sono gli istituti di pena italiani in cui
vengono tutelati i diritti dei detenuti e quali, invece, quelli in
cui è necessario intervenire? Può farci alcuni esempi?
Più che fare esempi indicherei
modelli. Esistono modelli di carcere fondati sulla umiliazione, la
deresponsabilizzazione, l’infantilizzazione. In questi istituti il
detenuto è ridotto a cosa non pensante. E’ questo un modello
fintamente correzionale, ma sostanzialmente autoritario. Poi vi sono
poche carceri dove si sperimenta una vita sociale fondata sulla
responsabilità e sulla somiglianza alla vita vera, quella libera.
Questo è un modello sano e umanocentrico. Purtroppo non è il
modello prevalente.
Parliamo della burocratizzazione della
giustizia e delle persone recluse in attesa di giudizio...
Due grandi tumori della giustizia
italiana. La burocratizzazione della giustizia ha prodotto una
selezione classista delle punizioni. Nella burocrazia i ricchi si
insinuano bene, dilatando i tempi e sfruttando le garanzie che tali
non sono offerte dalla macchina amministrativa che non funziona. Per
quanto riguarda le persone in attesa di giudizio, il loro grande
numero è l’esito di un processo penale troppo lento. La custodia
cautelare in Italia è la risposta di polizia alla giustizia penale
fallace e burocratica.
Nel 1999 l'Associazione Antigone ha
stilato un rapporto dal titolo “Il carcere trasparente”: quanto è
importante accendere i fari sul tema delle condizioni di
sopravvivenza negli istituti penitenziari e cosa possono fare, in tal
senso, gli organi di stampa ?
I media sono decisivi per far uscire
il carcere, le sue storie, le sue contraddizioni, le sue violenze, i
suoi numeri dal cono d’ombra dove periodicamente finisce. La pena
nella pre-modernità era pubblica in quanto doveva essere un monito.
Oggi è stata giustamente sottratta agli sguardi vouyeristici. Ma è
stata anche confinata in ambienti oscuri e inaccessibili a chi deve
controllarne la legalità.