lunedì 12 maggio 2014

Carceri. I confini della dignità: il libro di Patrizio Gonnella, Presidente Associazione Antigone







La pratica penitenziaria evidenzia una distanza tra diritti proclamati e diritti garantiti: parte da qui la riflessione di Patrizio Gonnella, Presidente dell'Associazione Antigone, che nel suo testo - intitolato Carceri. I confini della dignità edito da Jaca Book - ridisegna i confini della pena carceraria attraverso una descrizione qualitativa e critica dei diritti dei detenuti. Si parla di diritto alla vita, alla salute, al voto, al lavoro, agli affetti: diritti che, se tutelati, garantiscono il riconoscimento della dignità umana. E la loro tutela passa attraverso un costante impegno giuridico, politico e culturale.




Abbiamo intervistato per voi Patrizio Gonnella che ringraziamo tantissimo per la sua disponibilità.




Qual è la sua opinione in merito alla legge cosiddetta “svuotacarceri”? Le misure adottate sono sufficienti o si può fare di più?



È stato questo un periodo di piccole riforma che hanno segnato un cambio di tendenza rispetto ai precedenti vent’anni. È però ancora una situazione fragile e non necessariamente resistente alle intemperie culturali. Ricordo i pilastri di quella che non è una legge svuotacarceri : norma timida sulle droghe che cambierà di pochissimo in meglio l’orribile legge Fini-Giovanardi. Espulsione facilitata per gli stranieri già in carcere. Qualche giorno di liberazione anticipata in più per chi tiene in carcere regolare condotta, ad esclusione di mafiosi, narcotrafficanti, sequestratori etc. etc. Misure per facilitare il lavoro penitenziario. Istituzione del Garante dei diritti delle persone private della libertà. Tutela giurisdizionale dei diritti per chi oggi non ne ha. A noi questo decreto non convince perché ha fatto poco rispetto a quello di cui il nostro sistema penale e penitenziario avrebbe bisogno. Faccio un elenco: nuovo codice penale di ispirazione non autoritaria; nuova legge sulle droghe non proibizionista e punitiva; abrogazione totale della legge Cirielli sulla recidiva che in parte sopravvive grazie a chi lo scorso agosto l’ha salvata dall’abrogazione; garanzie di rispetto della dignità umana per chi è dietro le sbarre.

In che modo si può modificare l'approccio culturale relativo al carcere, ai detenuti? Ovvero, in che modo si può pensare alla persona detenuta, appunto come a una “persona”?


È un percorso che richiede un diverso approccio sociale e culturale. È necessaria una svolta umanocentrica di tipo universalista capace di superare la logica violenta che governa oggi le decisioni politiche. Le parole chiave sono dignità umana e nonviolenza. Solo la nonviolenza come fine e come mezzo è capace di produrre un cambio di paradigma nel nome dell’uguaglianza e della solidarietà.


In base alla sua lunga esperienza professionale, quali sono gli istituti di pena italiani in cui vengono tutelati i diritti dei detenuti e quali, invece, quelli in cui è necessario intervenire? Può farci alcuni esempi?


Più che fare esempi indicherei modelli. Esistono modelli di carcere fondati sulla umiliazione, la deresponsabilizzazione, l’infantilizzazione. In questi istituti il detenuto è ridotto a cosa non pensante. E’ questo un modello fintamente correzionale, ma sostanzialmente autoritario. Poi vi sono poche carceri dove si sperimenta una vita sociale fondata sulla responsabilità e sulla somiglianza alla vita vera, quella libera. Questo è un modello sano e umanocentrico. Purtroppo non è il modello prevalente.

 

Parliamo della burocratizzazione della giustizia e delle persone recluse in attesa di giudizio...


Due grandi tumori della giustizia italiana. La burocratizzazione della giustizia ha prodotto una selezione classista delle punizioni. Nella burocrazia i ricchi si insinuano bene, dilatando i tempi e sfruttando le garanzie che tali non sono offerte dalla macchina amministrativa che non funziona. Per quanto riguarda le persone in attesa di giudizio, il loro grande numero è l’esito di un processo penale troppo lento. La custodia cautelare in Italia è la risposta di polizia alla giustizia penale fallace e burocratica.



Nel 1999 l'Associazione Antigone ha stilato un rapporto dal titolo “Il carcere trasparente”: quanto è importante accendere i fari sul tema delle condizioni di sopravvivenza negli istituti penitenziari e cosa possono fare, in tal senso, gli organi di stampa ?


I media sono decisivi per far uscire il carcere, le sue storie, le sue contraddizioni, le sue violenze, i suoi numeri dal cono d’ombra dove periodicamente finisce. La pena nella pre-modernità era pubblica in quanto doveva essere un monito. Oggi è stata giustamente sottratta agli sguardi vouyeristici. Ma è stata anche confinata in ambienti oscuri e inaccessibili a chi deve controllarne la legalità.