sabato 10 maggio 2014

Il mondo si mobilita per le studentesse nigeriane

Le donne in rosso di Abuja non si fermano e, insieme a loro, si mobilita, finalmente, anche la comunità internazionale. Cortei, tweet, striscioni per la liberazione delle studentesse nigeriane sequestrate dal gruppo terrorista di Boko Haram nello Stato del Borno, nel nord della Nigeria.

Boko Haram” in italiano significa “l'educazione occidentale è peccato” : i loro seguaci, estremisti islamici chiamati anche i “talebani d'Africa”, vogliono togliere il controllo dell'area del Paese a quell'Occidente corrotto, secondo loro, moderno, liberale e, per questo, pericoloso per le tradizioni. E, quindi, la rappresaglia inizia dalle scuole: le ragazze e le bambine (anche di età compresa tra i 9 e i 15 anni), accusate solo perchè ricevono un'istruzione, vengono trascinate via con la forza dalle loro case e dalle scuole per poi essere vendute come schiave nei mercati, in Ciad e in Camerun, come dichiarato dai leaders della setta, costrette alla conversione con ogni sorta di violenza ed essere anche date in “spose” ai loro carcerieri.  


In Nigeria si contano oltre 250 gruppi etnici, si parlano 10 lingue ufficiali; è il Paese che rilancia l'economia africana e patria di Nollywood, la più grande industria cinematografica del continente, ma il suo governo si è accorto troppo tardi di quello che sta accadendo. Solo ora che la comunità internazionale sta puntando i riflettori sul Paese, il Presidente Goodluck Jonathan ha chiesto aiuto e rinforzi.

La risposta c'è stata: gli USA hanno disposto l'invio di agenti dell'FBI e di uomini delle forze speciali; il Ministro della difesa francese, Jean-Yves Le Drian, ha dichiarato che fornirà tutta l'assistenza necessaria per riportare a casa le ragazze; anche Al Ahzar, la più importante istituzione teologica sunnita, ha chiesto ufficialmente a Boko Haram di rilasciare le studentesse.

Alle forze politiche si aggiunge il coro delle società civili che, in tutto il mondo, si sono unite nella campagna BRINGBACKOURGIRLS. E anche noi, dall'Italia, possiamo far sentire la nostra voce.