Le donne
in rosso di Abuja non si fermano e, insieme a loro, si mobilita,
finalmente, anche la comunità internazionale. Cortei, tweet,
striscioni per la liberazione delle studentesse nigeriane sequestrate
dal gruppo terrorista di Boko Haram nello Stato del Borno, nel nord
della Nigeria.
“Boko
Haram” in italiano significa “l'educazione occidentale è
peccato” : i loro seguaci, estremisti islamici chiamati anche i
“talebani d'Africa”, vogliono togliere il controllo dell'area del
Paese a quell'Occidente corrotto, secondo loro, moderno, liberale e,
per questo, pericoloso per le tradizioni. E, quindi, la rappresaglia
inizia dalle scuole: le ragazze e le bambine (anche di età compresa
tra i 9 e i 15 anni), accusate solo perchè ricevono un'istruzione,
vengono trascinate via con la forza dalle loro case e dalle scuole
per poi essere vendute come schiave nei mercati, in Ciad e in
Camerun, come dichiarato dai leaders della setta, costrette alla
conversione con ogni sorta di violenza ed essere anche date in
“spose” ai loro carcerieri.
In
Nigeria si contano oltre 250 gruppi etnici, si parlano 10 lingue
ufficiali; è il Paese che rilancia l'economia africana e patria di
Nollywood, la più grande industria cinematografica del continente,
ma il suo governo si è accorto troppo tardi di quello che sta
accadendo. Solo ora che la comunità internazionale sta puntando i
riflettori sul Paese, il Presidente Goodluck Jonathan ha chiesto
aiuto e rinforzi.
La
risposta c'è stata: gli USA hanno disposto l'invio di agenti
dell'FBI e di uomini delle forze speciali; il Ministro della difesa
francese, Jean-Yves Le Drian, ha dichiarato che fornirà tutta
l'assistenza necessaria per riportare a casa le ragazze; anche Al
Ahzar, la più importante istituzione teologica sunnita, ha chiesto
ufficialmente a Boko Haram di rilasciare le studentesse.
Alle
forze politiche si aggiunge il coro delle società civili che, in
tutto il mondo, si sono unite nella campagna BRINGBACKOURGIRLS. E
anche noi, dall'Italia, possiamo far sentire la nostra voce.