Migrante
irregolare, migrante/immigrato, vittima della tratta, rifugiato,
profugo...Per raccontare e capire le trasformazioni della nostra
società bisogna ricominciare dalle parole e questo è il lavoro
proposto nel saggio Clandestini.
Viaggio nel vocabolario della paura,
di Giulio Di Luzio, edizioni Ediesse.
Si
tratta di un vero e proprio alfabeto che elenca molti termini –
tratti dalla cronaca e dalla narrativa – di uso comune nei
confronti degli stranieri migranti e che, troppo spesso, generano e
confermano pregiudizi e stereotipi negativi.
Abbiamo
rivolto alcune domande all'autore
Quanto
il linguaggio - la parola parlata e scritta - contribuisce a
fomentare il sentimento della paura nei confronti dell' “Altro”?
Il ruolo
delle narrazioni pubbliche sui temi delle migrazioni ha, per certi
aspetti, un valore determinante nella percezione dell'opinione
pubblica del fenomeno: i media, i giornali, si nutrono, soprattutto,
di fonti provenienti dal mondo della politica, da quello giudiziario
e da quello delle forze dell'ordine. ne viene fuori un quadro molto
piatto, basato sull'emergenza, sull'allarmismo e sul panico morale.
La
maggior parte delle persone – tranne chi ha un rapporto diretto o
indiretto con le comunità di immigrati - apprende le notizie da
queste fonti e, così, il mondo dell'informazione diventa
determinante nel formare un “pensiero unico”. Uno studio
dell'Univeristà di Lecce ha messo in evidenza che laddove gli
studenti hanno avuto un contatto, anche minimo, con le comunità
presenti, hanno maturato un quadro più strutturato e preciso, grazie
all'esperienza diretta; laddove, invece, non avevano avuto contatti
con le comunità di immigrati presenti nel Salento, risentivano
pesantemente di un quadro di valutazione negativa”. Si affidavano
solo su quello che avevano assorbito dai mass-media.
Quali
sono i termini maggiormente usati nei confronti degli immigrati?
C'è un
ventaglio di parole, ahimè, grazie al quale ho potuto mettere in
fila, dalla A alla Z, circa cento parole che vengono utilizzate con
enfasi e con un uso quasi vendicativo da noi occidentali nei
confronti di chi giunge in Europa, in Italia.
Il libro
racconta, per ogni vocabolo, l'uso improprio che se ne fa. Ad
esempio: “clandestino”. Esistono profughi politici, migranti
economici, persone con bisogni umanitari: la parola “clandestino”
è stata coniata dal mondo dell'informazione, della politica e da
quello giudiziario per evocare uno scenario delittuoso, di vite
condotte nell'ombra e nell'illegalità. Peccato che, invece, molte
persone scappino dalla guerra, da catastrofi umanitarie, da
sconvolgimenti climatici.
Oppure
prendiamo la parola “extracomunitario”, termine coniato dalla
legislazione italiana per indicare persone estranee alla Comunità
europea, ma che poi è stato esteso ed usato per escludere certe
categorie di persone dai diritti fondamentali: non chiameremmo mai un
giapponese o un americano “extracomunitario” ! Oggi, infatti, la
parola “extracomunitario” non è più un aggettivo, ma è
diventata un sostantivo per cui, quasi ontologicamente, gli
extracomunitai sono quelli che ……..commettono reati.
Quali
sono le nazionalità più colpite da questo modo di esprimersi
violento e denigratorio?
I Nord
africani, marocchini e tunisini, in particolare, e gli albanesi.
Secondo le varie stagioni storico-politiche, nel libro, sono indicate
le comunita’ apostrofate con questo genere di linguaggio: per
esempio, nel 1991 - con la prima ondata di migrazioni dal Paese delle
Aquile verso la Puglia– albanese diventeràun’'icona negativa.
Dire “albanese” voleva dire “ladro”, “persona sporca”.
Questi
termini ci hanno impedito una comprensione oggettiva e più allargata
dei fenomeni migratori: e proprio in questo senso il testo vuole
essere un manuale per i giovani, per il mondo della formazione perchè
scandaglia e spiega come ogni termine sia stato, sempre più,
ammantato di significati negativi.
Cosa si
nasconde dietro questa volontà di alimentare la diffidenza ?
Ci sono
scelte politiche che solo gli ultimi trent’anni sono in grado di
raccontare. L’approccio securitario del legislatore italiano fin
dall’esordio, per esempio. La scelta di derubricare le priorità
sul tema delle migrazioni da parte delle forze progressiste in
Italia. Basta guardare quel che è successo dal 1989 in poi con la
morte del profugo sudafricano Jerry Masslo in Italia, con la caduta
del muro di Berlino e l’abolizione della “riserva geografica”,
che limitava le tutele a chi proveniva dai Paese dell’Est.
Dopo il
1989 le forze democratiche progressiste hanno portato avanti una
politica miope che non ha fatto altro che confermare pregiudizi e
stereotipi.
Inoltre,
sono state tagliate le nostre radici storiche come Paese di migranti.
Giulio Di Luzio |