“Che
cos'è l'amore vero?”: una domanda che nasce dalla storia della
moglie dell'ambasciatore in Pakistan che decide di smettere di fare
la statua all'ombra del marito per recarsi in un campo profughi,
sfollati dall'Afghanistan, e lì di cominciare a parlare con le
ragazze, a insegnare loro a ragionare con la propria testa e a
guardare il mondo con gli occhi ben aperti, quegli occhi che
osservano oltre la gabbia del burqua. “La figlia del giardiniere”
è una madre. Quando viene a sapere che i capi della rivolta islamica
vogliono portare via i figli a ogni famiglia per trasformarli in
kamikaze, si finge pazza e si comporta male con i suoi stessi
bambini, con la speranza che il suo comportamento porti i
guerriglieri a prendere lei come vittima sacrificale. Ancora una
donna, una futura madre, una moglie ne “Il fiore del melograno”
in cui la protagonista farà in modo che la seconda moglie di suo
marito metta al mondo un erede e che l'uomo non si sposi per la terza
volta. Le donne vanno sempre rispettate: questo è l'insegnamento
che la professoressa di inglese di una scuola di Udine vuole
inculcare al suo alunno bullo e violento nel racconto intitolato
“Melissa”. E il tema del sacrificio è al centro di “
Gelsomino” in cui una donna è costretta a vendere il proprio
figlio ad un'altra coppia per riuscire a pagare l'operazione al
cuore del suo uomo.
Questi
alcuni temi affrontati nella raccolta di racconti intitolata Se
tutte le donne, da poco
pubblicata da Barbera edizioni, della scrittrice indiana, ma
triestina di adozione, Laila Wadia. E se le donne cominciassero a
pensare? E se si ribellassero ai soprusi? Se fossero più consapevoli
delle loro potenzialità e qualità? Se tutte potessero studiare,
lavorare ed essere autonome?
Parte da
queste domande il nuovo lavoro di Laila Wadia - già autrice di altri
due libri di successo “Amiche per la pelle” e “Come diventare
italiani in 24 ore” - e nel quale si riferisce a tutte le donne del
mondo, donne che, nella dedica, chiama “sorelle troppo silenziose”.
Figure femminili diverse per età, condizione sociale, nazionalità,
istruzione, ma accomunate dalla stessa capacità di essere solidali,
sensibili, generose, astute, ragionevoli, profonde. Attraverso il
loro sguardo, i loro gesti, le loro decisioni (spesso dolorose) e il
loro coraggio la scrittrice osserva e parla della realtà
contemporanea in tutte le latitudini: parla dell'assurdità della
guerra, della disperazione dei profughi, della solitudine di chi vive
in Occidente, delle aspettative delle nuove generazioni, della
difficoltà, ma anche della bellezza del rapporto con gli uomini. Si
snodano parole, lacrime e sorrisi nelle pagine di questo libro
intenso e leggero, commovente e ironico che suggerisce l'importanza
di saper indossare le scarpe degli altri. Sì, perchè Laila Wadia,
in un'intervista, ha dichiarato di indossare sempre scarpe diverse
(belle, brutte, basse, alte) e, con quelle, di camminare molto per
favorire l'incontro e la conoscenza degli altri e perchè, per
riprendere le sue stesse parole: “ Indossare le scarpe di un'altra
persona significa farsi carico del suo destino”.