(Da
www.stranieriinitalia.it)
“Il permesso a
tempo indeterminato può essere tolto solo a chi è pericoloso, la
mancanza di reddito non conta”. Un immigrato e l’Anolf vincono
ricorso al Tar di Milano
Roma – 6 luglio
2015 – Per anni hanno lavorato duro rinnovando di volta in volta i
loro permessi di soggiorno. Poi si sono finalmente messi in tasca la
carta di soggiorno (permesso
Ue per lungosoggiornati),
il documento “a
tempo indeterminato” a
cui aspirano tutti gli immigrati.
Quando però,
complice la crisi economica, hanno perso
il lavoro, la Questura ha revocato loro la carta di soggiorno.
Sostenendo che, senza un regolare contratto di lavoro, non possono
essere considerate “persone
per bene”, degne di
rimanere in Italia. Come se a decidere di non lavorare, o di lavorare
in nero, fossero i lavoratori.
È successo,
soprattutto a Milano,
a cittadini stranieri che avevano chiesto un duplicato o un
aggiornamento della loro carta di soggiorno. La Questura ha preteso
che dimostrassero di nuovo i
requisiti di reddito previsti
per il primo rilascio e, in mancanza di assunzioni regolari,
contributi versati ecc, è arrivato il diniego. Potenzialmente
una strage, in tempi di
crisi economica.
Ora a fermare questa
prassi è finalmente arrivata la legge, fatta valere qualche giorno
fa dal Tribunale
Amministrativo Regionale della Lombardia.
Il giudice ha dato ragione a un cittadino
srilankese, che dopo aver
lavorato a lungo come custode non era riuscito a trovare una nuova
occupazione, e ha dato torto
alla Questura, che gli
aveva revocato la carta di soggiorno perché non aveva un reddito
regolare.
La mossa della
Questura, ha spiegato il giudice, è illegittima.
Sia le norme europee (art. 8 della Direttiva 2003/109/CE), sia il
Testo Unico sull’immigrazione che le ha recepite (art. 9 del d.lgs.
n. 286/98), prevedono infatti che lo “status di soggiornante di
lungo periodo è permanente” e può essere revocato solo “
qualora lo straniero sia pericoloso
per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato,
e non invece a fronte della mera
mancanza di redditi”.
L’immigrato
srilankese può festeggiare, riavrà la carta di soggiorno che si era
conquistato sin dal 2005. E lo stesso potranno pretendere quanti sono
incappati in una simile ingiustizia. Soddisfatta anche l’Anolf
Cisl,
che aveva sollevato il caso
chiedendo anche l’intervento
della commissione europea e
che ha affiancato il lavoratore nel ricorso
al Tar insieme all’avvocato
Silvia Balestro.
“La crisi
ha colpito duro,
soprattutto in determinati settori e soprattutto i lavoratori
stranieri. Togliere loro la carta di soggiorno solo perché
hanno perso il lavoro vuol dire far fare un enorme passo
indietro al processo di integrazione,
per una situazione della quale non hanno colpa. Come si può
presupporre che chi non ha un lavoro regolare abbia scelto
scientemente di lavorare in nero o di evadere le tasse?” dice a
Stranieriinitalia.it, Maurizio
Bove, presidente di Anolf
Milano e responsabile immigrazione della Cisl meneghinare.
La prassi della
Questura di Milano, nota il sindacalista,
estremizzava il legame tra lavoro e permesso di soggiorno
già previsto dalla legge, andando oltre la stessa legge con una
discrezionalità eccessiva e perdendo di vista l’importanza
dell’integrazione di chi vive da tanti anni in Italia. Del resto,
una sentenza
simile a
questa aveva già bocciato la Questura, che a quanto pare ultimamente
ha iniziato a valutare con
più attenzione le singole
situazioni.
“Ora ci
aspettiamo che la legge venga applicata correttamente a Milano e
nel resto d’Italia. Deve essere chiaro che chi perde il lavoro non
può perdere, per quel motivo, anche la carta di soggiorno”
conclude Bove. Se poi il ministero dell’Interno, aggiungiamo noi,
volesse chiarire il concetto a tutte le Questure, sarebbe un
ulteriore passo avanti.