Ogni
volta che lui era in ritardo anche di soli cinque minuti io pensavo
subito che l’avessero fermato. Pensavo gli avessero chiesto i
documenti e sapevo bene che andava in giro senza nemmeno una
fotocopia del passaporto, perché fra gli stranieri senza permesso di
soggiorno si dice così, non
portare il passaporto se no ti mandano indietro al tuo paese,
invece senza documenti loro
non
possono sapere da dove vieni.
Io
sono stata fermata solo una volta quando non avevo ancora il mio
permesso ma non mi hanno fatto niente, mi hanno lasciata andare
subito. I poliziotti erano impegnati con due ragazzi che non
parlavano l’italiano.
Così
quando lui era in ritardo cominciavo ad agitarmi tanto, tantissimo.
Perché avevamo già un bambino...Se l’avessero fermato, io cosa
avrei fatto? Nel migliore dei casi l’avrebbero espulso, nel
peggiore dei casi l’avrebbero rinchiuso in un CIE, e lì sì che
sarei andata fuori di testa. Decisi, nel caso l’avessero espulso,
di andare subito a vivere nel suo Paese perché volevo vivere con lui
e il nostro bimbo, non importa dove.
Non
è mai successo, siamo ancora qui a Milano insieme e tutti quanti ora
abbiamo il permesso di soggiorno. Anche se ogni due anni ci viene
l’ansia del rinnovo, che comunque è legato al lavoro, e si sa, noi
siamo solo mano d’opera, mica abbiamo una vita vera.
Il
20 luglio 2015 Emma Sanchez (messicana) e Michael Paulsen
(statunitense) si sono sposati con rito cattolico davanti al muro che
separa Tijuana in Messico da San Diego negli Stati Uniti.
Non
hanno scelto loro il posto. Emma è stata espulsa dagli USA 10 anni
fa. Ha vissuto negli Stati Uniti per 5 anni senza permesso di
soggiorno, ha conosciuto suo marito, si sono sposati in Comune e
hanno avuto dei figli. Così Emma ha deciso di tornare a Ciudad
Juarez in Messico per rientrare negli Stati Uniti in modo legale.
L’hanno fermata e le hanno dato il divieto di ingresso negli USA
per 10 anni, anche se lei era già sposata con un cittadino americano
e aveva tre figli.
I
suoi figli la vanno a trovare a Tijuana una volta a settimana. Questo
è l’ultimo anno dal mandato. L’anno prossimo proverà ancora ad
entrare legalmente negli Stati Uniti.
Il
governo statunitense deporta in media ogni anno 400.000 migranti, il
75% dei quali sono messicani. Di questi, 152.000 sono genitori di
bambini nati su suolo americano, quindi con la cittadinanza
americana. I bambini rimangono negli USA con i parenti più vicini
oppure nelle strutture fatte apposta per accogliere i figli di
migranti deportati.
Nel
2011 erano 5.100 minori. Non ci sono dati attuali precisi, visto che
l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) non li considera
nemmeno.
Nel
2013 un gruppo di parlamentari repubblicani e democratici ha proposto
una riforma alla legge per l’immigrazione con dei punti specifici
sulla “Reunification family”. Queste riforme permetterebbero ad
esempio di richiedere un visto temporaneo ai genitori deportati
affinché regolarizzino la propria situazione rimanendo nel Paese,
cioè senza essere obbligati a lasciare i propri figli.
Mentre
il parlamento discute questa legge le persone si sposano davanti ai
muri di confine, i bambini crescono senza madri o padri e le mogli
piangono per i loro mariti. Chi può rispondere ad Alexis Molina,
figlio di Sandra Payes deportata da anni in Guatemala, che si chiede
come mai sua madre non c’è più?