Al
termine del Consiglio Europeo riunitosi ieri pomeriggio, il Centro
Astalli ribadisce la propria delusione e preoccupazione che si
profila rispetto alle decisioni adottate e, soprattutto, rispetto
alla prospettiva europea sul tema della protezione internazionale dei
migranti, particolarmente urgente in un momento di eccezionale
emergenza umanitaria come questo.
In particolare pongono particolari criticità i seguenti punti:
- Il regolamento di Dublino, uno strumento che già da tempo ha rivelato la sua inadeguatezza e inefficacia, continua a essere riproposto rigidamente come unico approccio possibile al tema dell’accoglienza dei rifugiati.
- L’insistenza sulle procedure di identificazione, anche coatte, che Italia e Grecia sarebbero tenute a assicurare come condizione per la messa in atto delle misure di redistribuzione previste rivela che non c’è alcuna volontà di lavorare per un nuovo approccio di condivisione effettiva delle responsabilità.
- Il cosiddetto meccanismo di “hot spot” che consiste nell’identificazione dei migranti mediante una presenza più forte, in Italia e Grecia, di funzionari di EASO, Frontex ed Europol è fonte di grandi perplessità. Difficile immaginarne il funzionamento nel caso in cui le persone si rifiutino sistematicamente di farsi foto segnalare, a meno che non si intenda fare ricorso in maniera quasi sistematica al trattenimento.
- Considerando peraltro i numeri irrisori del piano di “solidarietà” (appena 24.000 trasferimenti dall’Italia in 24 mesi), è facile prevedere, alla luce del trend degli arrivi del 2015, che se tale provvedimento fosse applicato l’Italia si troverebbe a dover far fronte a un numero di domande più che raddoppiato rispetto alla situazione attuale.
- Un altro strumento su cui il Consiglio Europeo punta per la gestione del fenomeno è una lista dei Paesi “sicuri” da cui i migranti non hanno motivo di scappare e in cui possono quindi essere rimandati. Più volte l’UNHCR ha espresso riserve e preoccupazione sull’uso di tale definizione nelle Direttive Europee: designare un paese come “paese terzo sicuro” può comportare infatti che una richiesta di protezione internazionale non venga esaminata nel merito e sia dichiarata inammissibile, o sia esaminata mediante una procedura accelerata con garanzie procedurali ridotte. La compatibilità di questa misura con lo spirito della Convenzione di Ginevra è stata più volte messa in discussione.
In particolare pongono particolari criticità i seguenti punti:
- Il regolamento di Dublino, uno strumento che già da tempo ha rivelato la sua inadeguatezza e inefficacia, continua a essere riproposto rigidamente come unico approccio possibile al tema dell’accoglienza dei rifugiati.
- L’insistenza sulle procedure di identificazione, anche coatte, che Italia e Grecia sarebbero tenute a assicurare come condizione per la messa in atto delle misure di redistribuzione previste rivela che non c’è alcuna volontà di lavorare per un nuovo approccio di condivisione effettiva delle responsabilità.
- Il cosiddetto meccanismo di “hot spot” che consiste nell’identificazione dei migranti mediante una presenza più forte, in Italia e Grecia, di funzionari di EASO, Frontex ed Europol è fonte di grandi perplessità. Difficile immaginarne il funzionamento nel caso in cui le persone si rifiutino sistematicamente di farsi foto segnalare, a meno che non si intenda fare ricorso in maniera quasi sistematica al trattenimento.
- Considerando peraltro i numeri irrisori del piano di “solidarietà” (appena 24.000 trasferimenti dall’Italia in 24 mesi), è facile prevedere, alla luce del trend degli arrivi del 2015, che se tale provvedimento fosse applicato l’Italia si troverebbe a dover far fronte a un numero di domande più che raddoppiato rispetto alla situazione attuale.
- Un altro strumento su cui il Consiglio Europeo punta per la gestione del fenomeno è una lista dei Paesi “sicuri” da cui i migranti non hanno motivo di scappare e in cui possono quindi essere rimandati. Più volte l’UNHCR ha espresso riserve e preoccupazione sull’uso di tale definizione nelle Direttive Europee: designare un paese come “paese terzo sicuro” può comportare infatti che una richiesta di protezione internazionale non venga esaminata nel merito e sia dichiarata inammissibile, o sia esaminata mediante una procedura accelerata con garanzie procedurali ridotte. La compatibilità di questa misura con lo spirito della Convenzione di Ginevra è stata più volte messa in discussione.
P. Camillo Ripamonti,
presidente Centro Astalli, commenta
così gli esiti del summit di ieri: “Riconosciamo che l’Unione
Europea ha compiuto un primo passo per una gestione unitaria e
programmata del fenomeno migratorio. Tuttavia ci pare si continui a
ragionare su politiche di chiusura dei confini che non
consentono un cambio di prospettiva rispetto alle grandi crisi
umanitarie che interessano il mondo. Ancora
una volta rileviamo che per l'Unione Europea la sicurezza e il
controllo delle proprie frontiere sono prioritari rispetto
all'accoglienza e alla protezione di chi scappa da guerre e
persecuzioni".