Anche
alla luce degli ultimi attentati in Francia, Tunisia, Kuwait e
Somalia l'Associazione per i Diritti Umani vi propone l'intervista
che ha realizzato al giornalista Amedeo Ricucci, partendo dal suo
reportage dal titolo: Isis,
il nemico perfetto, con
interviste a Olivier Roy, David Cockburn, Renzo Guolo, Fabio Mini,
Marco Minniti, Theo Padnos, Hamza Piccardo, Luca Bauccio, Daniele
Raineri e tanti altri. In esclusiva, inoltre, l’intervista a due
“pentiti” dell’ISIS ed un reportage sull’“autostrada del
jihad”, che dall’aeroporto di Istanbul porta ad Akcahkale, la
porta turca di ingresso al neo-Califfato.
Ringraziamo
molto Amedeo Ricucci.
Da Isis
a Is: il nome è cambiato e questo cosa significa?
E' stato
un cambiamento che si è costruito nel tempo, anche nel silenzio
dell'Occidente, quando lo Stato islamico di Iraq e del Levante (cioè
la grande Siria) si è costituito nel 2013: lo ricordo bene perchè,
in quel momento, ero sequestrato in Siria da un gruppo armato che
aveva dichiarato la propria affiliazione all'Isis quel giorno.
L'Isis,
per un anno, si è confuso in mezzo agli altri gruppi che si sono
ribellati al regime di Assad e poi ha svelato la sua vera natura,
ovvero quella di voler creare uno Stato islamico ispirato a una
visione particolarmente conservatrice dell'Islam, in Iraq e in Siria.
Il passo successivo in questa direzione è stata la dichiarazione di
costituzione del Califfato islamico (che è la prima forma di
organizzazione statale che l'Islam combattente si è data): il
Califfato è stato dichiarato a giugno, dopo che le milizie dell'Isis
di al Baghdadi hanno attaccato la provincia frontaliera tra Iraq e
Siria - la provincia dell'Anbar - e a giugno sono riusciti a
conquistare Mosul, che è la seconda città dell'Iraq. E non
dimentichiamo, infine, che il Califfato per sua natura ha un progetto
espansionistico.
Quali
sono gli argomenti principali che non vengono trattati nella maniera
corretta dalla stampa italiana e internazionale?
Nel
documentario pongo l'accento sul fatto che l'Isis è il frutto dei
nostri errori politici e militari.
Se non
ci fosse stata la guerra in Afghanistan prima e dopo la guerra in
Iraq - con tutti i danni collaterali e cioè con l'idea da parte dei
musulmani integralisti che noi siamo truppe di infedeli che hanno
calpestato la terra sacra - probabilmente non ci sarebbe stata questa
recrudescenza dell'Islam radicale. Il Califfato è l'ultima delle
aberrazioni dell'Islam radicale e, per Islam radicale, intendo
l'Islam che si dà una strutturazione politica e che intende
diventare un attore fra gli attori internazionali.
La
seconda cosa che si dice nel documentario è che l'Isis (o Stato
islamico) è anche lo specchio delle nostre psicosi: l'uso dell'arma
del terrore fatto dal Califfato ha scatenato le paure dell'Occidente.
Questa paura è stata molto amplificata dai mass-media, è stata
confusa con un'altra paura che è quella degli immigrati che
potrebbero invaderci e il risultato sono state situazioni ridicole
come, ad esempio, il fatto che a Porto Recanati, lo scorso febbraio,
siano state allertate le forze dell'ordine perchè c'era una bandiera
dell'Isis in uno stabile per poi scoprire che si trattava di uno
straccio nero...L'Isis rappresenta un pericolo, ma va affrontato con
intelligenza e lucidità.
Un altro
elemento importante a cui ho dedicato molto tempo nel film, è l'uso
perverso che l'Isis fa della comunicazione e gli errori che i media,
europei e occidentali, fanno nel diventarne il megafono.
A
partire dall'agosto del 2014, l'Isis ha cominciato ad usare l'arma
del terrore in modo sempre più perverso: decapitazioni di
giornalisti, decapitazioni di massa in Iraq, in Siria e tutte quelle
esecuzioni sono state sceneggiate ad arte, secondo un copione ben
preciso. Tute arancioni, passamontagna, coltelli e messaggi. I media
occidentali hanno ripreso questi video e li hanno trasmessi senza
capire che, così facendo, li avrebbero moltiplicati. In questo modo
l'Isis è riuscita a intrufolarsi nelle nostre coscienze perchè noi
l'abbiamo rappresentata più volte come un'entità invincibile,
terribilmente capace di cose atroci e dotata di un potere di vita e
di morte su tutti noi. Invece dobbiamo smontare questo mito.
“Il
nemico perfetto” è un titolo provocatorio...
Sì, è
provocatorio nel senso che è un nemico che di fatto ci fa comodo. E'
un nemico che mette a fuoco una serie di nostri difetti. Sul piano
delle forze militari, il pericolo dell'Isis è un pericolo
“irrisorio” perchè stiamo parlando di 40/50mila miliziani che,
se i Paesi occidentali mettessero insieme gli eserciti, potrebbero
essere sconfitti facilmente. Ma non lo si fa perchè, quella
dell'Isis, è una guerra asimmetrica, di guerriglia ed è complicato
bombardare i posti dove si è arroccata perchè ci sono i civili. Ma
il problema di fondo è un altro: non è chiudendo la partita con
l'Isis che risolveremo il problema del radicalismo islamico.
Nel
documentario c'è un'intervista al politologo francese, Olivier Roy
(che si occupa da trent'anni di Islam radicale) il quale dà
dell'Isis una versione particolare: secondo Roy, il jihad (la guerra
santa) corrisponde al mito della rivoluzione degli anni '60-'70 in
Italia e in Francia. Buona parte della gioventù italiana credeva nel
mito della rivoluzione e, in nome di quel mito, alcuni di loro hanno
impugnato anche le armi e da questo sono nate le Brigate Rosse. Il
radicalismo islamico non ha nulla a che vedere con l'Islam
tradizionale, ma è una scelta militante; è gente che spesso si è
convertita all'Islam (il 25% sono foreign fighters), sono cittadini
europei e occidentali che, nel giro di tre o quattro mesi, vanno a
combattere. Non è una scelta religiosa, è una scelta che matura in
rete e che, come detto, ha altre basi.
Per
vedere il documentario:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a5448a35-e393-4a2c-8d8f-a28a5e3c0621.html