Mario
Poeta
e Stefano
Liberti
hanno
condensato il racconto dell’operazione Mare
Nostrum
e della prima accoglienzanel breve documentario Maybe
Tomorrow.
Il prodotto dei due giornalisti si inserisce nel progetto Access
to Protection
del Consiglio
Italiano dei Rifugiati .
Maybe tomorrow vuol dire “Forse domani” ed è la frase che i
migranti si sentono continuamente ripetere, per mesi e mesi, mentre
aspettano il “foglio di via”.
L'Associazione
per i Diritti Umani ha intervistato, per voi, il giornalista Stefano
Liberti e lo ringrazia tantissimo per queste sue parole.
Come
nasce il progetto di Maybe
tomorrow?
Il
progetto nasce all'interno di un progetto europeo sull'accoglienza e
il salvataggio in mare e, nell'ambito di questo progetto, abbiamo
realizzato un documentario breve che cerca di raccontare l'operazione
Mare Nostrum, iniziata nel 2013 e condotta per tutto il 2014 dalla
Marina militare: abbiamo seguito come vengono intercettati i barconi,
come vengono svolti i soccorsi e anche cosa avviene dopo.
Quale
può essere il bilancio dell'operazione Mare Nostrum?
Per
quello che abbiamo visto noi è un bilancio positivo perchè, nel
corso di tutta l'operazione, sono stati soccorsi e portati a terra
170.000 rifugiati e, se non ci fosse stata l'operazione, i morti
sarebbero stati di maggior numero; ricordiamo che Mare Nostrum è
stata lanciata subito dopo la duplice tragedia dell'ottobre 2013, con
un totale di 600 migranti deceduti in mare.
L'operazione
ha anche ovviato a un problema fondamentale, ovvero al fatto che –
quando si vanno a vedere le nazionalità delle persone che partono e
vengono tratte in salvo – si capisce che quelle persone provengono
da Paesi in guerra o sono perseguitate per questioni politiche per
cui, una volta arrivate in Italia, ottengono la protezione
internazionale. Mare Nostrum ha, quindi, svolto le funzioni di una
specie di canale umanitario per questi profughi di guerra.
Il
sistema di richiesta di asilo, in Italia, funziona?
Non
proprio; la gran parte delle persone che arriva in Italia, infatti,
non chiede asilo perchè, una volta ottenuto, non c'è un follow up:
non vengono garantiti percorsi di inserimento, formazione,
coabitazione come, invece, avviene in altri Paesi.
Chi
arriva tende a non farsi prendere le impronte digitali e a cercare di
richiedere l'asilo politico in Paesi dove il sistema è più
accogliente; l'Italia è un Paese di transito e gli immigrati
preferiscono andare in Nord Europa dove viene garantita una migliore
qualità della vita.
Quindi
non si può e non si dovrebbe parlare di “emergenza”...
Parlare
di “emergenza immigrazione” consente di non realizzare mai un
sistema strutturato di accoglienza. L'emergenza è qualcosa che
avviene e che non è prevedibile. In realtà i flussi migratori verso
l'Italia esistono da più di vent'anni e sono facilmente prevedibili
anche i numeri che interessano questi flussi per cui parlare di
emrgenza consente anche di speculare su questo fenomeno: dare appalti
in deroga, superare le normative. Quindi poter lucrare.
Come si
svolge la prima accoglienza in Italia?
Sempre
per quello che abbiamo visto, chi ha i mezzi finanziari per
andarsene, cerca di andare via prima di essere identificato; chi non
li ha (come i cittadini dell'Africa subsahariana) viene inserito in
un sistema di prima accoglienza molto carente nel quale, per mesi e
mesi, non viene informato dei propri diritti e delle tempistiche che
riguardano la sua situazione.
Pensiamo
anche ai minori stranieri non accompagnati (MSNA): vengono trasferiti
in strutture temporanee, in attesa di essere affidati a un tutore per
poi iniziare la procedura di richiesta di asilo, cosa che richiede
almeno sei mesi di tempo. Questi minorenni vivono in una specie di
limbo, di indeterminatezza e non ne capiscono il motivo perchè
pensano di essere arrivati in un posto dove i loro diritti vengono
garantiti e invece non è così.
Per
vedere il documentario:
https://www.youtube.com/watch?v=DjNj0AA8R_c&list=UUoB3omTga8nVNd0Ww1GAa5g