La Corte penale
speciale e la Corte suprema dell’Arabia Saudita hanno confermato la
sentenza capitale nei confronti di Ali
Mohammed Baqir al-Nimr,
giovane attivista sciita condannato a morte per reati presumibilmente
commessi all’età di 17 anni.
È accusato di
“partecipazione a
manifestazioni antigovernative”,
attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano armata e possesso di
un mitra. La condanna sarebbe stata emessa sulla base di una
confessione estorta con torture e maltrattamenti.
Ali al-Nimr è nipote di un eminente religioso sciita - Sheikh Nimr Baqir al-Nimr, anch’egli condannato a morte.
Ali al-Nimr ha
esaurito ogni possibilità di appello e può
essere messo a morte appena il
re ratifica la condanna.
Chiedi con Amnesty l’annullamento della sentenza, indagini sulle torture e che l’Arabia Saudita rispetti i diritti umani.
Leggi il testo completo dell'appello
IL
CASO
Il
14 febbraio 2012, Ali
Mohammed Baqir al-Nimr, 17 anni,
viene arrestato e condotto presso la Direzione generale delle
indagini (Gdi) del carcere di Dammam. Non può vedere il suo avvocato
e, secondo quanto riferisce, viene
torturato
da ufficiali della Gdi affinché firmi una “confessione”.
Resta
detenuto nel centro di riabilitazione giovanile Dar al-Mulahaza per
un anno e, a
18 anni,
riportato nella Gdi di Damman.
Il
27 maggio 2014, il tribunale penale speciale di Gedda lo condanna a
morte per reati che comprendono la “partecipazione a manifestazioni
antigovernative”, attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano
armata e possesso di un mitra. Il tribunale si sarebbe basato sulla
“confessione” estorta
con la tortura e
maltrattamenti e su cui si è rifiutato di indagare.
Ad
agosto 2015 il caso viene inviato al ministro dell’Interno per dare
attuazione alla sentenza.
A
settembre la famiglia diffonde la notizia appresa: i giudici di
appello presso la Corte penale speciale (Scc) e della Corte suprema
confermano
la sentenza.
Ali
al-Nimr è un attivista
scita
e nipote dell’eminente religioso sciita Sheikh Nimr Baqir al-Nimr,
di al-Awamiyya in Qatif, nella zona orientale dell’Arabia Saudita,
condannato a morte dal tribunale penale speciale il 15 ottobre 2014.
LA
PENA DI MORTE IN ARABIA SAUDITA
L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone; da gennaio ad agosto 2015, almeno 130 esecuzioni.
L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone; da gennaio ad agosto 2015, almeno 130 esecuzioni.
Violando
la Convenzione sui diritti dell’infanzia e il diritto
internazionale, ha messo a morte persone per reati commessi quando
erano minorenni.
Spesso
i processi per reati capitali sono tenuti in segreto e sono sommari e
iniqui, senza l’assistenza e la rappresentanza legale durante
le varie fasi della detenzione e del processo. Gli imputati possono
essere condannati sulla base di confessioni estorte
con torture e maltrattamenti,
coercizione e raggiri.
Le
tensioni
tra la comunità sciita e le autorità saudite sono
cresciute dal 2011,
quando sono cresciute le manifestazioni contro gli arresti e le
vessazioni di sciiti che svolgevano preghiere collettive e violavano
il divieto di costruire moschee sciite.
Le
autorità saudite hanno risposto con la repressione di chi era
sospettato di partecipare o sostenere o esprimere opinioni critiche
verso lo stato. I manifestanti sono stati trattenuti senza accusa e
in isolamento per giorni o settimane e sono stati segnalati
maltrattamenti e torture.
Dal
2011, quasi 20 persone collegate alle proteste sono
state uccise
e centinaia incarcerate.
Per firmare l'appello di Amnesty:
http://appelli.amnesty.it/arabia-saudita-pena-di-morte-social/