mercoledì 28 ottobre 2015

Diritti Lgbt, teatro e società

 
 
 
 




Uno spettacolo teatrale intitolato Assolutamente deliziose, di una delle autrici più trasgressive della scena britannica, Claire Dowie - interpretato da Flaminia Cuzzoli e Ottavia Orticello con la regia di Emiliano Russo – che ha debuttato al Teatro Due di Roma, con le tappe estive del Fontanone Estate XX Edizione e del Venus Rising Festival nella sezione Teatro del Gay Village Farm e presso il Teatro dei Filodrammatici che ha ospitato il Festival ILLECITE//VISIONI a Milano, ci permette di approfondire alcuni temi riguardanti la comunità Lgbt, i diritti delle donne e i rapporti di genere.



Per questo abbiamo rivolto alcune domande al regista e alle attrici che ringraziamo moltissimo per la disponibilità.



Rispondono Flaminia Cuzzoli (attrice), Ottavia Orticello (attrice) ed Emiliano Russo (regista)



Lo spettacolo veicola molti argomenti. Ad esempio: essere donna nella società contemporanea così contraddittoria e competitiva...


Esattamente. Nel raccontare i destini incrociati di queste due donne, cugine, coetanee, cresciute insieme, la Dowie ironizza su alcune stereotipate aspettative della società contemporanea in cui si imbattono le nostre protagoniste; aspettative in primis provenienti dall’ambiente domestico, quella serie di regole del “buon costume” cui le bambine sono chiamate a conformarsi. Attraverso una serie di slogan, cui l’autrice antepone la dicitura “IN RIFERIMENTO AD UNA ROUTINE DA COMMEDIA TRITA E RITRITA”, veniamo a confrontarci con queste norme comportamentali che diventano una sorta di sfottò al mondo dei genitori: sulla scena vediamo concretamente i nostri due personaggi A e B imitare l’intonazione e il linguaggio usato in particolar modo dalla madre di una delle due che le esorta a tenere la schiena dritta, non parlare a meno che non sia il proprio turno, non dire cose scortesi, non fare cose disdicevoli, comportarsi da signorine da brave ragazze, tenere le ginocchia unite per non far vedere le mutandine e così via. A questo segue l’elenco di una serie di passatempi in rosa che si considera essere “naturali” per le ragazzine come stare a casa a raccontarsi i segreti, parlare delle cose proibite del sesso, farsi maschere di bellezza per la pelle, andare a ballare, dare della sgualdrina ad un’amica. E come reagisce una donna, come si rapporta a questo bombardamento di convinzioni riguardanti l’essere “femmina”? Nel nostro spettacolo proponiamo due diversi modi, opposti ma complementari, due diverse strategie di sopravvivenza messe in atto dalle nostre A e B. La prima sviluppa un rifiuto totale del modello rappresentato da sua madre (da lei definita “casalinga che farebbe di tutto per una vita tranquilla eccetto combattere per i propri diritti) e, nel suo tentativo di non diventare ossessionata dal budino come lei, di non avere il suo stesso sguardo, i suoi stessi occhi, diventerà un “maschiaccio”, rifiutando di identificarsi in un “genere” definito, jeans maglietta capelli corti e sogni anarchici e anticapitalisti. La seconda, al contrario, trova nello status quo, nei soldi, nell’essere una donna in carriera di successo un modo per sentirsi amata e accettata dalla gente, utilizzando la sua bellezza e sensualità per garantirsi questa accettazione di cui ha disperatamente bisogno; non manca però un continuo influenzarsi a vicenda, una fusione della propria identità a quella dell’altra per tutta la vita, perfino a distanza quando B lascia l’Inghilterra per raggiungere sua madre in Australia. Finiranno entrambe per nascondersi dietro le rispettive ideologie, alla ricerca di un senso per le proprie esistenze, di qualcosa per cui lottare, per non sentire quella voce nella testa ripeterti “MIO DIO CHE FALLIMENTO. UN LAGNOSO, FRIGNANTE FALLIMENTO. TUTTO QUESTO, GUARDA, PENSI CHE PORTERA’ A QUALCOSA? PENSI CHE VALGA QUALCOSA? MIO DIO SEI STATA INGANNATA O COSA?  
 
 



Il rapporto raccontato dal testo affonda le radici nell'infanzia e nell'adolescenza delle protagoniste: quanto è importante quel periodo della vita per la formazione dell'identità dell'adulto ? Oppure la Natura fa il proprio corso al di là delle esperienze di vita?



Infanzia e adolescenza sono periodi fondanti per la creazione della propria identità. Se l’infanzia è un periodo in cui è possibile assorbire messaggi e insegnamenti dal mondo esterno senza ancora avere la piena capacità di giudizio e quindi di filtro nei confronti degli impulsi esterni, l’adolescenza è sicuramente il momento di presa di coscienza nella maturazione di un individuo. Oltre ad essere un periodo che racchiude le esperienze di crescita fondamentali per una persona, è il momento in cui si comincia a chiedersi chi si è, cosa si vuole. Crescere senza portare su di sé le tracce di ciò che ci circonda è forse un’utopia: dalla semplice relazione col mondo esterno in tutte le sue sfaccettature, come ad esempio il giudizio della società che impone e condiziona fortemente la persona in un periodo di grande confusione e di fragilità, al più fondamentale “microcosmo familiare” che soprattutto in età adolescenziale rappresenta per noi l’unico modo, l’unico punto di vista con cui vedere il mondo. Resta il fatto che noi non siamo il nostro passato, le nostre storie familiari, ma che possiamo scegliere dove portarCI o non portarCI in qualunque momento.



Quali sono le difficoltà nel poter vivere liberamente le proprie scelte affettive?

 

Dovrebbe suonarci quantomeno strano l’accostamento delle parola “difficoltà” con “vivere liberamente” e “scelte affettive”. Le scelte affettive riguardano le persone coinvolte in esse, sono qualcosa di privato che non dovrebbe trovarsi sottoposto al tribunale del giudizio altrui, love is love e vivere un sentimento non dovrebbe costituire un problema. In pratica poi, al di là dei “dovrebbe e non dovrebbe”, si verificano situazioni che ti fanno sentire in difficoltà. Ad esempio se vivi in una piccola città temi il “giudizio” della gente, temi che le loro chiacchiere possano creare disagio non solo a te stesso/a ma anche alla tua famiglia. Probabilmente ti crea disagio essere etichettato, imprigionato in opinioni parziali sulla tua persona, sulla tua individualità... ma i giudizi, le opinioni esterne sono sempre parziali, sommarie; è come se l’essere umano avesse bisogno di racchiudere il prossimo in definizioni per poterlo controllare, ciò che non si conosce spaventa, come in un gioco di specchi tra io e l’altro. Così tutti giudicano e lo fanno anche A e B. Si giudicano e criticano in continuazione per ogni piccola cosa. Alla fine è sempre una questione di “potere”, di chi ha il controllo. D’altra parte parlando specificatamente del nostro paese, di noi italiani, giudizi offensivi e critiche sono ancora abbastanza radicati per varie ragioni culturali probabilmente, ma soprattutto perché, per tanto troppo tempo, non si è stati costretti a RIconoscere l’esistenza di persone che si considerano LGBTQ: tutto doveva restare nelle quattro pareti domestiche delle nostre rassicuranti famiglie borghesi.




Quali sono i diritti delle/degli omosessuali ancora da affermare, in Italia?


Sicuramente va varata prima di tutto una legge contro l’omofobia. Nelle ultime settimane c’è stata un’escalation di violenze fisiche e psicologiche: dall’adolescente in Sicilia che si è tolto la vita, al ragazzo sbattuto fuori dall’aula dal proprio insegnante, alle aggressioni quotidiane. E la cosa veramente preoccupante è che talvolta i media non si preoccupano più di diffondere queste notizie - che circolano poi invece sui social causando grande indignazione e sgomento da parte di molti. Il fatto che davanti a questi eventi ci siano persone al potere che ancora si ostinano a dire che “l’omofobia non esiste” dovrebbe davvero lasciarci riflettere su chi tesse le reti delle nostre vite. Ma in fondo questa è solo una delle tante questioni problematiche che attanagliano l’Italia di oggi.



Cosa vorreste dire, attraverso questo testo teatrale, ai genitori di persone gay?


Non è un caso che il nostro primo progetto indipendente - di ex compagni di Accademia, oggi colleghi, che hanno in mente un viaggio da percorrere attraverso un’associazione di promozione sociale come la nostra Upnos - sia “Assolutamente Deliziose”. Se c’è una cosa che odiamo è il dover a tutti i costi definire gli altri, mentre crediamo nella persona, nel cercare di essere se stessi piuttosto che quello che si dovrebbe essere, o quello che si pensa di dover essere o quello che la gente ci dice di essere … A e B, le donne di Claire Dowie ci provano, cercano di sbarazzarsi delle etichette imposte dalla cultura, anche se l’esito non è garantito e si beccano sofferenza a palate. In quanto ai genitori cosa si può dire? Vi consigliamo una bella lettura da tenere sui vostri comodini: il Profeta di Gibran, un tale che ha parlato ai genitori, a tutti i genitori di tutti i figli.



I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.