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domenica 6 dicembre 2015

Abolire la guerra unica speranza per l'umanità: il discorso di Gino Strada alla cerimonia dei Nobel alternativi




«Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili.

A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette "mine giocattolo", piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po', fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l'aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita.

Mi è occorso del tempo per accettare l'idea che una "strategia di guerra" possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del "paese nemico". Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.

Alcuni anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari. Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. È quindi questo "il nemico"? Chi paga il prezzo della guerra?

Nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda. E nei 160 e più "conflitti rilevanti" che il pianeta ha vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano.

Lavorando in regioni devastate dalle guerre da ormai più di 25 anni, ho potuto toccare con mano questa crudele e triste realtà e ho percepito l'entità di questa tragedia sociale, di questa carneficina di civili, che si consuma nella maggior parte dei casi in aree in cui le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti.

Negli anni, Emergency ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici per le vittime di guerra in Ruanda, Cambogia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone e in molti altri paesi, ampliando in seguito le proprie attività in ambito medico con l'inclusione di centri pediatrici e reparti maternità, centri di riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso.

L'origine e la fondazione di Emergency, avvenuta nel 1994, non deriva da una serie di principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in corsie d'ospedale. Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.

In 21 anni di attività, Emergency ha fornito assistenza medico-chirurgica a oltre 6,5 milioni di persone. Una goccia nell'oceano, si potrebbe dire, ma quella goccia ha fatto la differenza per molti. In qualche modo ha anche cambiato la vita di coloro che, come me, hanno condiviso l'esperienza di Emergency.

Ogni volta, nei vari conflitti nell'ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l'uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.

Confrontandoci quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l'idea di una comunità in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco.

In realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all'indomani della seconda guerra mondiale. Tale speranza ha condotto all'istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella Premessa dello Statuto dell'ONU:
"Salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole"
.

Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti" e il "riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo"
.

70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa. A oggi, non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all'istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All'inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi.

La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.

Vorrei sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Solo nel mese di novembre 2015, sono stati uccisi oltre 4000 civili in vari paesi, tra cui Afghanistan, Egitto, Francia, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Siria e Somalia. Molte più persone sono state ferite e mutilate, o costrette a lasciare le loro case.

In qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la scelta della violenza abbia - nella maggior parte dei casi - portato con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze. La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l'uso della violenza.

Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto
Manifesto di Russell-Einstein: "Metteremo fine al genere umano o l'umanità saprà rinunciare alla guerra?"
. È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?

Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro.

Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.
Come medico, potrei paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l'umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla.

Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte. È anche il più urgente. Gli scienziati atomici, con il loro Orologio dell'apocalisse, stanno mettendo in guardia gli esseri umani:
"L'orologio ora si trova ad appena tre minuti dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della civiltà umana"
.

La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell'immaginare, progettare e implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi. La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente.
L'abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione.

Possiamo chiamarla "utopia", visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento.

Molti anni fa anche l'abolizione della schiavitù sembrava "utopistica". Nel XVII secolo, "possedere degli schiavi" era ritenuto "normale", fisiologico.
Un movimento di massa, che negli anni, nei decenni e nei secoli ha raccolto il consenso di centinaia di migliaia di cittadini, ha cambiato la percezione della schiavitù: oggi l'idea di esseri umani incatenati e ridotti in schiavitù ci repelle. Quell'utopia è divenuta realtà.
Un mondo senza guerra è un'altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere trasformata in realtà.

Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l'idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell'umanità.

Ricevere il Premio Right Livelihood Award, il "Nobel alternativo", incoraggia me personalmente ed Emergency nel suo insieme a moltiplicare gli sforzi: prendersi cura delle vittime e promuovere un movimento culturale per l'abolizione della guerra.
Approfitto di questa occasione per fare appello a voi tutti, alla comunità dei colleghi vincitori del Premio, affinché uniamo le forze a sostegno di questa iniziativa.
Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future».-- Gino Strada ha pronunciato questo discorso a Stoccolma (Svezia) lunedì 30 novembre, durante la cerimonia di consegna dei Right Livelihood Awards, i "premi Nobel alternativi". Un importante riconoscimento per il lavoro di Emergency contro la ‪guerra‬ e a favore delle vittime, un premio di cui siamo tutti molto orgogliosi e che ci spinge a fare sempre di più, ogni giorno, per raggiungere il nostro obiettivo: un mondo senza guerre in cui non ci sia più bisogno di noi.

 


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sabato 28 novembre 2015

Stay human - Africa: Cosa succede in Burundi?


di Veronica Tedeschi


Trovare notizie chiare su quello che sta succedendo in Burundi in questi ultimi mesi è abbastanza difficile, la guerra che sta vivendo questa popolazione sta passando in secondo piano, almeno nel giornalismo italiano.

Questo non significa che sia una guerra “meno importante” o con “meno morti”: da aprile 2015, quando sono scoppiate le violenze tra il governo e gli oppositori per la candidatura ad un terzo mandato del Presidente Pierre Nkurunziza, sono morte circa duecento persone.

Duecento persone che rappresentano un popolo che non ha nessuna intenzione di mollare, che non vuole sottostare al comando di un Presidente completamente disinteressato al benessere della sua popolazione, colpita per il 66% da denutrizione e caratterizzata da un tasso di povertà altissimo.



Lunedì mattina abbiamo assistito quasi 60 feriti arrivati al pronto soccorso in un breve lasso di tempo” spiega Richard Veerman, responsabile dei progetti Medici Senza Frontiere in Burundi. “Abbiamo aperto una seconda sala operatoria ed eseguito cinque interventi chirurgici d’emergenza nelle ore immediatamente successive. Ci impegniamo a portare cure mediche di qualità alle persone, senza distinzioni di razza, religione o orientamento politico”.



Per la prima volta la guerra in Burundi non riguarda solo le differenze etniche ma è legata soprattutto ad una lotta di potere. Nel maggio scorso ci fu un colpo di Stato, fallito, che vide i responsabili arrestati poco dopo. Nonostante questo, le manifestazioni e le morti sono continuate, tra il 3 e il 4 ottobre sono morte 15 persone negli scontri a Bukumbura tra la polizia e alcuni giovani che si opponevano al terzo mandato di Nkurunziza. Il 13 ottobre, almeno 7 persone sono morte per colpi di granata e arma da fuoco e ancora, altre 3 persone hanno perso la vita lo scorso 27 ottobre, giorno in cui il Presidente ottenne un terzo mandato. La violenza è ormai norma nel paese, dilaniato da una crisi politica di livelli eccezionali che ha costretto 200mila burundesi a lasciare il paese.

In quest’ottica si può leggere la creazione di una nuova polizia antisommossa, istituita il mese scorso e chiamata ad intervenire in caso di rivolte; secondo alcune fonti di stampa, sarebbe composta da 300 uomini, tra tiratori scelti e ufficiali al comando. La polizia da sola non regge più il peso di queste manifestazioni che, ormai, continuano da ben 8 mesi e che non cesseranno facilmente.

Il 7 novembre è scaduto l’ultimatum di cinque giorni dato dal Presidente ai suoi oppositori per consegnare le armi spontaneamente in cambio di un’amnistia. Questo invito di Nkurunziza non è stato accolto, infatti, nella notte tra il 7 e l’8 novembre altre 9 persone sono state uccise in un bar a Bukumbura.

Il 9 novembre è iniziata l’operazione di disarmo avviata dalla polizia in quartieri controllati dall’opposizione, il giorno stesso durante tali eventi sono morte altre 2 persone.

La situazione in Burundi peggiora progressivamente senza che la comunità internazionale riesca (o voglia) fermare la spirale di violenza che sta travolgendo questo paese.

Ricordiamo, inoltre, che nei prossimi mesi anche le popolazioni di Rwanda e Repubblica Democratica del Congo saranno chiamate alle urne, nella speranza che le conseguenze della guerra in Burundi non invadano anche gli altri Stati africani.




Il Burundi è un paese fragile e il modo in cui questa crisi verrà risolta avrà sicuramente ripercussioni sia sulla popolazione che sulle conquiste politiche future. Il tutto potrebbe concludersi con soluzioni militari molto pericolose, non solo per il Burundi ma per tutta la regione.



venerdì 25 settembre 2015

Petting zoo: un film sui diritti negati delle ragazze-madri singles

di Monica Macchi







Domenica 27 settembre 2015 presso cinema Beltrade (Milano) ore 15.00







I texani stanno crescendo, generazione dopo generazione,

come adulti sessualmente analfabeti

David C. Wiley, presidente dell’American School Health Association







Il Texas ha il più alto numero di ragazze madri, gli adolescenti che hanno rapporti sessuali sono il 52,5 % (la media nazionale è del 47%), e il tasso di diffusione dell’hiv è tra i più alti del Paese ma a causa di sostenitori molto influenti come George W. Bush e al fatto che i distretti scolastici hanno completa autonomia in tema di educazione sessuale, l’astinenza viene presentata come l’unico metodo sicuro per prevenire le malattie sessualmente trasmissibili, le gravidanze e i “traumi emotivi legati ai rapporti sessuali”. Recentemente poi è stata approvata una legge secondo cui le cliniche che praticano aborti devono dotarsi di locali, attrezzature e personale, equivalenti a quelli delle sale chirurgiche degli ospedali: il governo conservatore sostiene che queste misure servano a garantire la sicurezza delle donne, ma per le associazioni contrarie alla legge il vero obiettivo del provvedimento è rendere ancora più difficile l’interruzione di gravidanza. E in effetti in tutto il Texas, che ha una superficie di 700.000 chilometri quadrati ed è il secondo Stato più popoloso degli Usa, le cliniche che praticano aborti erano 41 nel 2012, e oggi sono solo18.   
 




Questo è l’ambiente sottoproletario e puritano in cui si muove Layla, una diciassettenne che dopo aver ricevuto una borsa di studio per Austin, scopre di essere incinta e pressata dalla sua famiglia, contraria all’aborto, rinuncia al college e va a vivere con la nonna in una roulotte.




Ecco la recensione completa:




Guida sanitaria per espatriati


Con piacere vi informiamo che il progetto Siscos - Guida sanitaria per espatriati - è disponibile online, con un sito web aggiornato e facilmente navigabile. Lo scopo è quello di fornire alcune semplici norme di comportamento per i tanti problemi sanitari che tutti gli operatori delle ONG convenzionate con SISCOS possono dover affrontare nelle missioni all’estero.
“Siamo convinti che partendo dalla prevenzione sanitaria si possa contribuire alla sicurezza degli operatori delle Ong” – ha sottolineato Cinzia Giudici, Presidente della Siscos, in occasione della presentazione della Guida alla conferenza “La sicurezza è una cosa seria”, organizzata dalle tre reti ONG alla Farnesina con la presenza del Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni. E’ per questo che la Guida consente di raggiungere i migliori siti internazionali che approfondiscono il tema della protezione del personale impegnato in missioni in paesi tropicali e non, offrendo aggiornamenti costanti
sulle emergenze sanitarie inatto.

La Guida ospita inoltre il dossier “
Suggerimenti per la gestione dei rischi e la sicurezza degli operatori delle Organizzazioni di Cooperazione e Solidarietà Internazionale”, predisposto dalle reti di Ong Aoi, Cini, Link2007 in collaborazione con l’Unità di Crisi del MAECI, con informazioni e suggerimenti utili a fornire una visione d’insieme delle problematiche relative alla sicurezza in contesti potenzialmente pericolosi.


Il sito della guida sanitaria è visitabile al link http://guidasanitaria.siscos.org, oppure raggiungibile dal portale Siscos www.siscos.org

lunedì 7 settembre 2015

Onore, crimine e società patriarcale



di Monica Macchi



Quando la diciannovenne Reem Abu Ghanem è scappata per sfuggire a un matrimonio combinato, la polizia israeliana l’ha riportata a casa con l’accordo che la famiglia non le avrebbe fatto del male: un fratello, medico all’ospedale di Assaf Harofeh, ha procurato i sonniferi per soffocarla nel sonno e un altro l’ha strangolata e gettata in un pozzo… ebbene la condanna è stata “omicidio involontario”. Infatti i giudici hanno alleggerito la pena sulla base di referenze dei dignitari locali di “buona moralità” della famiglia. Per questo la Lista araba unita ha proposto di cancellare il termine “crimine d’onore” perché “un uomo che vuole controllare i comportamenti e la vita di una donna e per questo arriva ad ucciderla non ha niente d’onore e quindi è inappropriato attribuirgli termini positivi”.

Dall’inizio dell’anno ci sono già una decina di casi di donne arabo-israeliane assassinate dai loro familiari che secondo la denuncia di Neila Awad Rashid direttrice di Women Against Violence www.wavo.org sono discriminate in quanto donne da una società patriarcale e in quanto arabe da un sistema di apartheid. Secondo un recente sondaggio il 65% delle donne arabe non si rivolgerebbe mai alle autorità israeliane ritenendolo addirittura “dannoso”; inoltre i servizi di protezione sono insufficienti: su 14 case protezione solo 2 sono riservate alle donne arabe (la cui percentuale sulla popolazione è del 30%) di cui una appena chiusa perché “troppo costosa”. Se quindi nessun aiuto può arrivare dalle istituzioni, si è deciso di agire sulla cultura patriarcale accrescendo la sensibilizzazione dopo un’inchiesta tra gli studenti del Collegio Superiore di Haifa secondo cui il 20% degli studenti maschi ritiene accettabile questo crimine: sono stati istituiti corsi sull’uguaglianza tra sessi e campagne di presa di coscienza…i risultati verranno diffusi alla fine dell’anno scolastico.


lunedì 31 agosto 2015

La Carta delle donne: letteratura, cibo e donne




"Alla fine aprii il cancello e lentamente, con la cartella in mano, varcai il portone e, mentre salivo verso il primo piano, mi arrivò un leggero odore che stava attraversando varie porte di legno e qualche tramezzo e che si trascinava lungo le scale. (...) Qualunque cosa fosse successa, non era così brutta da impedire che mia madre facesse la tortilla di patate del venerdì". I ricordi della romanziera spagnola Clara Sánchez, ne L'odore dei venerdì, una delle novelle dell'antologia culinario-sentimentale che prende spunto dalla "ricetta del cuore" che fa parte di "WE - Women for Expo", un progetto realizzato dal ministero degli Esteri e la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, con guide d'eccezione: Federica Mogherini, presidente; Emma Bonino, presidente onorario; Marta Dassù, presidente esecutivo.

Lo scorso 6 giungo è stata presentata a Expo il documento-manifesto "Women for Expo Alliance", una "Carta di Milano" al femminile contro lo spreco alimentare, per il rafforzamento del loro ruolo nell'agricoltura mondiale; un documento che suggella l'alleanza tra le donne di tutti i paesi partecipanti all'Esposizione nella lotta alla fame. Il docuemnto è stato introdotto alla presenza di Michelle Bachelet, primo presidente donna cileno, e,
dopo la conferma ufficiale da parte della Casa Bianca, Michelle Obama.



La premessa della 'carta delle donne' è che loro siano maggiormente consapevoli, più degli uomini, di quanto l'alimentazione sia un diritto universale e siano più brave dei maschi a preparare, conservare e riciclare le risorse naturali. "Le donne costituiscono ancora la maggioranza di coloro che lavorano la terra nei paesi emergenti, ma sono invisibili. Non hanno accesso al credito né, a volte, al diritto di proprietà", dicono le organizzatrici. Secondo i dati della FAO - l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura - il 43% della forza lavoro globale agricola è costituita da donne, raggiungendo la fascia del 50%-70% nell'Africa subsahariana (Mozambico), le stesse zone, con l'Asia occidentale, dove si concentra anche la fame. "Ogni donna è depositaria di pratiche, conoscenze e tradizioni legate al cibo, alla capacità di nutrire e nutrirsi, di prendersi cura. Non solo di se stesse, ma anche degli altri".

Scaricabile gratuitamente dal sito, arriva l'ebook
Novel of the World, opera corale dedicata al nutrimento del corpo e della mente, scaricabile gratuitamente dal sito. 424 pagine, che vede la partecipazione di 104 scrittrici, provenienti da 100 Paesi, che hanno raccontato in 28 lingue la loro "ricetta del cuore". Dal farsi all'italiano, dall'armeno al bosniaco, dal lettone al mongolo. E poi, le lingue europee e anglosassoni, il cinese, il russo. Il mondo diventa un romanzo e alle autrici, che hanno partecipato senza scopo di lucro, regalando il loro racconto, mettendoci, nella maggior parte dei casi, qualcosa di personale: un ricordo, una confessione, una storia di famiglia.
Tra le autrici ricordiamo: Sánchez , Amélie Nothomb e Banana Yoshimoto. La Sánchez racconta , nella già citata ricetta, la tortilla di patate, specialità di sua madre, che aveva una capacità rara di saltarla in padella. La tortilla era preparata il venerdì, mentre l'autrice tornava da scuola, e la consumavano tutti insieme di sera, in terrazza, tranne un giorno: suo padre aveva avuto un infarto e la mangiarono attorno al suo letto. Basta una frittatina per raccontare il terrore che si prova da bambini davanti alla malattia di un familiare. La Nothomb parla di sé nel racconto
La fame è un'Arte sulle parole che salvano la vita e sulla necessità che l'artista sia sempre affamato di successo e ispirazione. Con un retroscena autobiografico: l'autrice accenna al periodo in cui soffriva di anoressia, quando provava piacere a uccidere se stessa, superato grazie alla scrittura. La Yoshimoto con Quello che nutre l'anima, rievoca, al pari della Sánchez, la malattia del padre: il ristorante vicino l'ospedale è quello in cui andavano tutti e quattro, comprese la madre e sua sorella, a mangiare gli spaghetti di soia.




http://www.we.expo2015.org/sites/default/files/attaches/project/novel_of_the_world_-_we_women_for_expo.pdf


venerdì 3 luglio 2015

La lotta contro l'oblio di un desaparecido argentino




 

Una storia d'amore che supera la categoria del Tempo: è quella fra Simòn e Emilia che, dopo trent'anni, si ritrovano, forse nella realtà, forse nella fantasia, ma si ritrovano.

Simòn Cardoso era morto da trent'anni quando Emilia Dupuy, sua moglie, lo incontrò all'ora di pranzo nella saletta riservata di Trudy Tuesday...Era rimasto fermo ai suoi trentatrè anni, e perfino gli abiti erano quelli di allora”: questo l'incipit del romanzo intitolato Purgatorio, dello scrittore Tomàs Eloy Martinez (Sur edizioni) in cui si racconta una vicenda privata intrecciata all'inverno del 1976, l'anno più tragico della dittatura argentina. Il protagonista, Simòn, viene arrestato dai militari di Tucumàn e da quel momento non si sa più nulla di lui fino alla sua ricomparsa agli occhi della moglie.

Mescola fantasy, realtà e indagine giornalistica, Martìnez nel comporre questa sinfonia che contrappone l'orrore del terrorismo di Stato alla forza incrollabile dei sentimenti. Nel testo si riconoscono i nomi di medici esistiti davvero, luoghi geografici precisi, così come il soggetto nasce dalla storia autentica dello stesso scrittore, costretto all'esilio durante la dittatura militare, affetto da un male incurabile, forse anche a causa della profonda nostalgia per il proprio Paese.

Lo stile narrativo risulta originale nel suo mescolare i generi, come detto, e anche per l'alternanza delle voci: il racconto, infatti, inizia in terza persona per poi passare alla prima persona, nella seconda parte e nel finale, come a dare maggiore verosomiglianza ai fatti narrati. Il personaggio di Emilia si identifica con quello dell' “io narrante” (l'autore?) e, insieme, rappresentano l'autocoscienza, la lucidità di una società ingannata e che, troppo spesso, ha fatto finta di non vedere e di non sentire. Ecco perchè diventa necessario il ritorno di Simòn: che sia di carne o di spirito, la sua presenza è importante per non far scadere la Storia nell'oblio, per ricordare - soprattutto alle nuove generazioni - la tragedia accaduta neanche tanti anni fa.

L'assurdità della nostra storia è diventata qualcosa di sorprendente, ma naturale, la frammentazione che ci veniva imposta dal Potere si è infiltrata nella nostra vita e ci ha trasfigurato in esseri incompleti...La valanga ha esiliato tutti noi che dissentivamo dal Potere, dentro e fuori: ci ha confinato alla scomparsa, ci ha obbligato all'inesistenza”, afferma Martìnez: il libro vuole restituire completezza agli individui di allora e a chi è rimasto, per ridare a tutti loro dignità e giustizia. Ricordando che “un desaparecido è un'incognita, non ha identità, non è né vivo né morto, non c'è. E' un desaparecido.” E dobbiamo essere noi la loro voce.

mercoledì 1 luglio 2015

L’oftalmologa namibiana Helena Ndume vince il Nelson Mandela Award





di Monica Macchi



 





Questo premio riconosce i meriti di chi promuove i principi delle Nazioni Unite omaggiando Nelson Mandela e le sue eredità di riconciliazione, transizioni politiche e trasformazioni sociali. Quest’anno è andato a Helena Ndume, un’oftalmologa nata a Tsumeb, in Namibia, che a soli 15 anni si è unita al movimento di liberazione che ha portato all'indipendenza del Paese, ed è dovuta vivere in Zambia, Gambia e Angola prima di laurearsi in medicina a Lipsia. Fra il 2001 e il 2007 è stata vice-Presidente della Croce Rossa namibiana, nel 2004 è diventata Gran Commendatore della Namibia e nel 2009 è stata premiata per la terapia contro la cataratta, la principale responsabile della cecità in Namibia. Il suo mantra è che “Non puoi definirti un paese progressista, se hai ancora gente cieca per la cataratta, che oggi è facilmente curabile con una semplice procedura chirurgica”: per questo Ndume è una volontaria di SEE International che dal 1995 ha garantito più di 300 interventi riabilitativi gratuiti. E il premio ha ampliato i suoi progetti: infatti quest’estate verrà attivata una collaborazione con la Fondazione Dikembe nella Repubblica Democratica del Congo.




Per informazioni e donazioni


http://www.seeintl.org


venerdì 19 giugno 2015

Quando le infezioni comuni sono scambiate per scabbia


 

L'Associazione per i Diritti Umani ha rivolto alcune domande alla Dott.ssa Rosamaria Vitale, chirurgo, psicologa, volontaria sulle navi di Mare Nostrum e da anni collaboratrice di Medici Volontari Italiani. Si è presa cura dei migranti siriani ed eritrei che hanno stanziato alla stazione Centrale di Milano.

 

Ringraziamo moltissimo la dottoressa per le precisazioni.

 
 

Qual è la situazione attuale e quali gli interventi sanitari che avete offerto ai migranti?

 

La situazione dei migranti non è cambiata rispetto ad un anno fa: noi abbiamo iniziato a lavorare con i siriani che, nella maggior parte dei casi, hanno solo malattie da raffreddamento o scottature, malattie comuni e ben curabili, nell’ottobre 2013.

Con gli eritrei abbiamo attivato l’ambulatorio mobile  a maggio del 2014; andando direttamente sui Bastioni Di Porta Venezia. Essi presentano molte patologie che riguardano la cute,  per cui nei primi mesi in cui mi sono occupata di loro ho dovuto molto spesso accompagnarli  al dipartimento di Dermatologia del Policlinico dove venivano fatte tutte le analisi necessarie per distinguere tra i casi di scabbia e i casi di impetigine. La scabbia è causata da un acaro e l’impetigine da batteri di vari tipi.

 

Da quali fattori sono causati queste malattie?



Le infezioni cutanee, le impetigini,  sono causate da molti fattori. Innanzitutto dai faticosissimi viaggi che loro devono compiere: Eritrea, Sudan, Libia, Italia. Già nei campi profughi la situazione è terribile (pochissimo cibo, una scodella di riso, una volta al giorno). Poi, già  così debilitati, affrontano il viaggio nel deserto, arrivano in Libia dove sono tenuti in capannoni fatiscenti, ammucchiati uno accanto all’altro.  Ed infine il viaggio in mare, su battelli stracolmi dove devono rimanere seduti nelle stessa posizione per giorni interi, immersi fino alla vita nell’acqua salata. Ed anche dopo lo sbarco, non hanno né abiti né biancheria con cui cambiarsi, portano gli stessi pantaloni e magliette per mesi e mesi. Così nascono le infezioni .

La scabbia, invece, è causata da un animaletto che si incunea attraverso alcune zone precise del corpo (tra le dita delle mano, nell'incavo delle ascelle, tra le dita dei piedi ). Si può vedere il percorso dell’acaro sotto pelle.

Il giorno precedente a quello in cui la ASL ha messo il suo presidio medico alla stazione Centrale, avevo visto 49 eritrei: 3 di loro avevano la scabbia, 35 l'impetigine e gli altri il mal di gola e dolori vari. Dal rapporto rilasciato dalla  Asl nel giorno successivo emerge esattamente il contrario. Nello stesso giorno  un ragazzo si presentato al presidio medico della  Asl dicendo : “Ho la malaria”. Per quanto improbabile, dopo la visita medica , visto che comunque aveva la febbre, lo abbiamo lo inviato ad un Pronto Soccorso, dove gli è stata diagnosticata una polmonite.  Purtroppo, però, sui giornali è stato scritto: sospetta malaria.
E da lì sono partite tutte le fantasie sulle epidemie incombenti di scabbia e malaria.


 

Come si fa a diagnosticare la scabbia?

 

In teoria si dovrebbero fare degli esami approfonditi, ma in pratica è molto facile da diagnosticare  perché ha dei sintomi e segni ben precisi. Il prurito, le zone in cui si manifesta, ed i percorsi dell’acaro. La scabbia non si prende stando vicino alla persona, ma si contrae se si dorme nello stesso letto, se ci si scambiano  i vestiti, ci si siede sulla stesso sedile di stoffa.

E’ importante isolare i 4 o 5 casi accertati e curarli senza infondere la paura e condannare l'intero gruppo di migranti.

L’accoglienza è stata spostata ora lateralmente alla Stazione Centrale, In Piazza Duca d’Aosta 23. Da lì i migranti in arrivo saranno smistati nei vari centri. Ora i posti letto nei dormitori sono passati da 800 a 1500 e si spera che possano essere accolti tutti. In questo modo è probabile che possano a quel punto usufruire anche dei servizi igienici e delle docce, in modo da evitare il contagio anche tra di loro.

 




sabato 2 maggio 2015

Con il nuovo romanzo, Fulvio Ervas parla del diritto alla salute





L’ospedale è un faro nella notte. Promette cura, salvezza, che tutto quanto è possibile si farà. C’è una vita, in gioco, e Paolo Vivian non vivrà. Lorenzo è suo figlio e non è per niente ‘sdraiato’. Studia medicina, sa che sbagliare è umano, ma ci sono posti dove un errore costa molto di più. Lorenzo non può permettersi un avvocato e i medici si appellano alla tragica fatalità.
La sua sete di chiarezza tocca nel cuore il vecchio professore di scienze del liceo, paladino del corpo umano e della fotosintesi clorofilliana. Insieme, affidano il caso alla TNT: tre donne toste, Tosca, Norma e Tina, che del diritto alla salute sono sceriffa, contabile e poeta.


Il romanzo si intitola Tu non tacere ed è da poco uscito per le edizioni Marcos Y Marcos.



L'Associazione per i diritti umani ha rivolto alcune domande all'autore. Ringraziamo molto Fulvio Ervas.



Da dove nasce la storia raccontata nel suo romanzo?



Fondamentalmente dalla mia passione per la salute e la storia della medicina. E poi da tanti frammenti di storie vere, compresa la mia.



La storia, nel romanzo, è quella di Lorenzo, un giovane studente di medicina. Il padre Paolo incappa in una doppia, brutta avventura, subisce un incidente stradale e non viene adeguatamente soccorso. Lorenzo si mette in testa che non siano state prestate adeguate cure al padre e vuole scoprire cosa sia successo. Ha il sospetto che vi sia stato un errore medico. E’ un romanzo che ci racconta il desiderio di capire di un giovane, la sua battaglia per la conoscenza e la giustizia. Ci racconta le relazioni familiari, la bufera che attraversa una famiglia quando è sottoposta a prove molto forti. Ma è anche un romanzo che ci ricorda il valore del corpo, della salute, della buona sanità.



Paolo, il protagonista, costringe il lettore ad interrogarsi sul diritto alle cure giuste e sulla giustizia in Italia: che tipo di indagine è stata fatta per scrivere questo testo?



Il romanzo si basa su una storia vera, un caso che è già stato giudicato. Quindi ho avuto la possibilità, attraverso un’azienda che svolge un’azione di tutoring ai cittadini che hanno subito danni, anche da errori medici, di avere conoscenza di casi concreti, tutti già sottoposti al giudizio delle istituzioni competenti.



Io non amo parlare di malasanità, un termine che semplifica troppo. Io credo che il sistema sanitario sia un’entità di grande complessità e che al suo interno abbia moltissime capacità professionali, ma che non sia esente da eventi di “medicina non all’altezza della situazione”. Le cause di questo sono diverse. Ma è proprio sul modo di affrontare i propri errori (questo è un territorio per il narratore di grande suggestione), sullo stile, sulla trasparenza, sull’assunzione di responsabilità, sulla capacità di comunicazione, che si gioca lo spessore dei macrosistemi ( Sanità compresa). Quando si evita di arrivare, cioè, alla condizione dove l’individuo viene soverchiato dalle grandi strutture, che hanno più forza, più conoscenze, maggiore capacità di azione.



La madre del ragazzo, Elisa, vorrebbe dimenticare o sapere la verità. Molti parenti delle vittime delle strade chiedono che venga inserito il reato di "omicidio stradale". A che punto è l'iter di questa legge?



Mi pare che se ne parli di più, ma non siamo ancora approdati. E’ evidente che sulla strada accadono molti, tragici, eventi e che sulla strada è necessaria una grande attenzione civile, cioè la comprensione che l’automobile ha lo stesso potere distruttivo di un’arma. Bisogna essere educati ad usarla in maniera accurata, e bisogna essere richiamati a questo costantemente. E credo che si debba sapere che, se provochi un grave danno, la tua responsabilità non può arrivare solo sino al pagamento della rata annuale di una polizza assicurativa.


Centrale, nel libro, è il rapporto padre-figlio e sono anche importanti le tre donne (le TNT) che si battono per il diritto alla salute: ce ne può parlare?


Sono tornato a parlare ( dopo “Se ti abbraccio non avere paura”) di una forte relazione parentale. Qui un figlio, Lorenzo, manifesta un forte desiderio di giustizia verso il padre. E’ un atto di rispetto. Lorenzo vuole che si dica, domani, che suo padre è innocente rispetto alla morte. Cioè non se l’è cercata, non ha abbandonato la famiglia per qualche imprudenza o per qualche tragica fatalità. Purtroppo, per far luce sulle responsabilità di quello che è successo, Lorenzo, come fanno molti cittadini, deve affidarsi a qualche professionista che lo accompagni nell’intricato mondo delle leggi, della medicina legale, dei referti, delle assicurazioni. Il cittadino non ha, da solo, la forza per tutelarsi adeguatamente. E’ troppo solo, in questi territori.


Lei è anche professore di liceo: qual è il ruolo della scuola, oggi, nella formazione dei futuri cittadini?


Naturalmente io auspico che la scuola resista nel suo ruolo di formatore collettivo. So, anche, che questo è un ruolo che viene svolto, purtroppo con molta efficacia, anche da altre “agenzie formative”, che sono, in realtà, disinformative.



Ma se vuole competere e resistere, l’istituzione scolastica deve ritrovare passione, motivazione, visione. Non si mantiene il contatto con queste nuove generazioni, velocissime ed anche disattente, con la grinta del burocrate e con l’energia del registratore che ripete l’ennesima, grigia, lezioncina.



Dobbiamo riprendere il volo.

venerdì 20 febbraio 2015

Progetto ONDA D'URTO: progetto di prevenzione del tumore al seno



L'Associazione per i Diritti Umani segnala un importante progetto di prevenzione del tumore al seno, "ONDA D'URTO".

Il progetto, al quale è stato concesso il patrocinio congiunto degli Assessorati Politiche Sociali e Cultura del Comune di Milano, è organizzato dall'Associazione Scuola Italiana di Senologia Onlus.


E' rivolto a tutte le donne di Milano ma in particolare a quelle appartenenti ad alcune categorie che, per ragioni sociali, economiche e culturali, sono meno attente alla salvaguardia della salute e, per questo, presentano, purtroppo, elevati tassi di mortalità per cancro al seno.


L'iniziativa si articolerà in più fasi e avrà una durata triennale.




In particolare, in collaborazione con il Tavolo di Lavoro "Donne e Culture" del Forum della Città Mondo, saranno organizzati 12 incontri con le donne delle comunità internazionali presenti nel territorio milanese. Obiettivo è la promozione di sani stili di vita e la presentazione degli strumenti finalizzati alla prevenzione precoce del tumore al seno

Saranno anche occasioni di informazione e confronto con senologi esperti e fra donne che porteranno le loro esperienze.



Il primo incontro si svolgerà giovedì 26 febbraio dalle ore 18.00 presso la Casa dei Diritti via De Amicis, 10 Milano.

Gli altri incontri, attualmente previsti, si svolgeranno nello stesso spazio, stessa ora

Giovedì 12 Marzo
Giovedì 9; 16; 23 e 30 Aprile
Giovedì 7; 14 ; 21 e 28 Maggio




sabato 26 aprile 2014

Open hearts: il cuore dei bambini di Emergency




L'Associazione per i Diritti Umani è felice di comunicarvi che intervisterà, in un incontro pubblico il prossimo 6 maggio, Manuela Valenti, medico pediatra di Emergency per la presentazione del documentario Open hearts di Kief Davidson, film candidato all'Oscar 2013 come miglior corto-documentario.

Otto bambini ruandesi lasciano le loro famiglie per recarsi a Kartoum, in Sudan, ed essere sottoposti ad un delicato intervento cardiochirurgico presso il Centro Salam di Emergency. Il loro problema di salute è causato da una malattia reumatica di cui sono affette, in Africa, circa 18 milioni di persone.

Tanto lavoro ancora da fare per affermare i diritti di tutti e, in particolare, quello alla salute come afferma Gino Strada: “ Una cosa è avere gli stessi diritti sulla carta. Tutt'altra è analizzare i contenuti di quelli che vengono chiamati diritti. Il mio diritto alla salute come europeo include una TAC e altre diagnosi sofisticate, ma per un africano il diritto a essere curato si ferma a un paio di vaccinazioni e alcuni antibiotici”. Il centro Salam è una delle strutture in grado di offrire assistenza medica e cure di alta qualità e in maniera del tutto gratuita a bambini e ragazzi che hanno tutta la vita davanti e che vogliono viverla pienamente e con gioia.

Avremo occasione, quindi, di approfondire tanti argomenti, dopo la proiezione del film, con la Dott.ssa Valenti. Vi aspettiamo.

L'incontro è stato organizzato da fondazione AEM, Craem Milano, Associazione Libera Visionaria.



L'appuntamento è per:

martedì 6 maggio, ore 18.00, presso la “Casa dell'energia e dell'ambiente”, Piazza PO, 3 a Milano

giovedì 24 aprile 2014

The special need: l'amore è per tutti


Enea, un nome epico per un ragazzo speciale: Enea ha ventotto anni e soffre di autismo, ma ha anche il forte desiderio di sperimentare il rapporto sessuale. Due suoi cari amici, Alex e Carlo, decidono di aiutarlo e i tre partono, a bordo di uno sgangherato pulmino, per un viaggio on the road, che diventa iniziatico per Enea e istruttivo per gli spettatori.

Questa il soggetto di The special need, il film documentario del regista Carlo Zoratti, alla sua opera prima e già vincitrice del Trieste Film Festival e del Dok Leipzig.

La prima tappa del percorso è l'Austria, in una casa di appuntamenti, ma qui Alex e Carlo si rendono conto che per il loro amico è necessario un incontro con una persona sensibile e in grado di intercettare difficoltà non espresse. Il cammino, allora, riprende per giungere alla seconda tappa: a Trebel, in Germania, dove si trova la sede di un centro che si occupa di assistere disabili nella scoperta della propia sessualità.

Qui balza subito all'occhio la netta differenza nella tutela dei diritti delle persone affette da autismo (o con altri problemi) tra l'Italia e il Nord Europa, in particolare in Germania: nel nostro Paese certi argomenti sono ancora tabù e le istituzioni non se ne occupano nella maniera più adeguata perchè si pensa, anche a livello giuridico, che l'autistico rimanga un bambino che non crescerà mai.

Zoratti è un autodidatta, ma soprattutto è amico di Enea da tanti anni e l'idea del film, come i due hanno raccontato in numerose interviste anche televisive, è nata: “ ...Quattro anni fa, in piedi davanti alla fermata 11 dell'autobus di Udine. Quel giorno gli ho chiesto se aveva una ragazza: io ne avevo conosciute molte, perchè lui no? Nel 2012, quando sono iniziate le riprese, non sapevamo dove sarebbe arrivata la nostra storia, quale sarebbe stata la strada. Ogni giorno Enea cambiava la traiettoria e io dovevo seguirlo, accettando che fosse lui a guidarmi”. Ecco, forse è proprio questo il segreto quando si ha a che fare con persone speciali: lasciarsi guidare, mettendo da parte sovrastrutture e pregiudizi.

Alex e Carlo sono gli “angeli custodi” di Enea e anche Enea, in un finale del film sorprendete nella sua semplicità, dà a tutti una bella lezione, facendo emergere il nucleo fondamentale della sua ricerca che è, in fondo, una ricerca condivisa: il bisogno di amore.


mercoledì 23 aprile 2014

Il sì alla fecondazione eterologa


Arriva dopo tante battaglie, la pronuncia della Corte sull' incostituzionalità dell'art. 4 comma 3 della legge del 19 febbraio 2004, la legge 40, sulla fecondazione eterologa e sull'articolo 12 comma 1 che punisce “chiunque, a qualsiasi titolo, utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente”. Lo scorso 8 aprile la Corte Costituzionale si è espressa dopo aver ascoltato la spiegazione dei motivi da parte degli Avvocati Marilisa D'Amico, Mariapaola Costantini e Massimo Clara.
La fecondazione eterologa è una tecnica adottata per superare il problema dell'infertilità maschile e femminile. Nel primo caso lo sperma viene raccolto e inoculato nell'utero al momento dell'ovulazione. Nel secondo caso, la cellula uovo matura viene prelevata dalla superficie ovarica - in laparoscopia - e, dopo essere stata fecondata in vitro, viene immessa in utero. La legge 40 del 2004 vietava di ricorrere ad un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di infertilità assoluta di uno dei due patner con un'unica eccezione, ovvero, si leggeva nel teso: “qualora non non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”.
Il fatto che in Italia la donazione di ovociti sia vietata e che questo sfruttamento avvenga in altri Paesi, non ci toglie dall'imbarazzo che proviamo quando leggiamo notizie o vediamo trasmissioni televisive sul mercato di gameti e della maternità. Vien da pensare che, forse, una disciplina domestica basata su solidarietà e gratuità, che non lasci spazio al mercato, potrebbe essere uno dei modi per contrastare questi fenomeni”: queste le parole pronunciate dall''Avvocato Mariapaola Costantini (difensore delle coppie di Milano e di Catania e referente nazionale di Cittadinanzattiva per le politiche PMA) nelle conclusioni del suo intervento presso la Corte.
Molto diversa la posizione della Chiesa cattolica: Papa Francesco ha ribadito che la posizione dell'istituzione ecclesiale su fecondazione eterologa, aborto e eutanasia non è cambiata con la sua elezione a Pontefice. “Ogni diritto civile”, ha dichiarato Bergoglio, “poggia sul riconoscimento del primo e fondamentale diritto, quello alla vita, che non è subordinato ad alcuna condizione, né qualitativa né economica né tantomeno ideologica”.
Intanto si attende la risposta, da parte delle istituzioni, a molte domande, quali ad esempio: 
le coppie omosessuali, le donne single, le over 40 avranno accesso alle procedure per la fecondazione eterologa? E i figli, una volta maggiorenni, avranno il diritto di conoscere i genitori biologici?
Quando una società civile si trova davanti ad un cambiamento epocale, a partire da quello culturale per poi arrivare anche a quello politico e legislativo, il cammino è lungo e difficoltoso: ma un passo alla volta e, forse, si chiariscono e si tutelano i diritti di tutte e di tutti.

 

giovedì 20 marzo 2014

Senzatetto non più per strada



Via Aldini 74, Milano: un indirizzo utile e un progetto di recupero. Nel rione Vialba, a Quarto Oggiaro, in una scuola comunale dimessa da oltre sei anni, oggi vengono ospitate persone senza fissa dimora, grazie alla Fondazione Progetto Arca e a Medici Senza Frontiere.

Si tratta della prima esperienza a livello nazionale: l'istituto scolastico è sttao trasformato in una struttura che accoglie circa 90 persone in stato di emarginazione e gravi difficoltà, (italiane e straniere), in un edificio che si va ad aggiungere agli altri già attivi sul territorio milanese, quali: il Centro di Aiuto Stazione Centrale o la Casa dell'Accoglienza di Viale Ortles, 69. Ma il valore aggiunto della “casa” di Via Aldini consiste nel fatto che qui è presente un laboratorio che fornisce l'assistenza sanitaria di base 24 ore su 24: Medici Senza Frontiere, infatti, monitora costantemente la salute degli ospiti e se qualcuno, alla prima visita, ha bisogno di cure approfondite o specialistiche, viene indirizzato presso gli ospedali della città. Al progetto lavorano anche l'associazione Mia Milano in Azione che si impegna ad accogliere i senzatetto e Fondazione Patrizio Paoletti che finanzia il rifornimento dei pasti caldi.

Loris De Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere Italia, ha dichiarato: “ Nel 1999, MSF ha inaugurato il progetto Missione Italia per fornire assistenza sanitaria agli stranieri regolari e irregolari che si trovano nel nostro Paese con l'obiettivo di garantire l'accesso alle cure a queste persone e assistere chi sbarcava sulle nostre coste. Oggi, dopo oltre 13 anni di attività, le problematiche sociali, acuite a causa della attuale congiuntura economica, hanno spinto MSF a fare una riflessione sula necessità di intervenire non solo a favore dei migranti, ma delle persone più vulnerabili sul suolo italiano, senza distinzioni. L'invito da parte del Comune di Milano per un intervento medico sanitario all'interno del progetto di assistenza dei senzatetto nel periodo invernale ci è, dunque, sembrata l'occasione migliore per concretizzare un primo intervento di questa natura”. A queste parole si sono aggiunte quelle dell'assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino: “ Questa struttura e questo ambulatorio sono un piccolo miracolo, nato da un progetto sinergico che ha coinvolto il Comune e tre associazioni e che da solo rappresenta il modello di politiche sociali che vorremmo. Oltre ad arricchire l'offerta di posti letto nelle settimane di maggiore freddo, questo edificio - per anni inspiegabilmente inutilizzato e recuperato a tempo di record grazie al grande lavoro di numerosi volontari tra cui molti senzatetto - diventerà un punto di riferimento per l'accoglienza di chi si trova in difficoltà tutto l'anno. Abbiamo l'obiettivo di far diventare questo posto un pensionato sociale per famiglie bisognose. Aver recuperato questo grande e spazioso edificio è già un grande passo avanti...Un contributo significativo contro la povertà al di là delle stagioni”.


I numeri utili a cui segnalare casi di persone che dormono per strada o per informazioni sui servizi offerti sono: 02-884.47.645 / 02. 884.47.646 / 02. 884. 47.647 attivi tutti i giorni dalle ore 8.30 alle ore 23.00



 




mercoledì 5 marzo 2014

Iscrizione dei bambini stranieri al Servizio Sanitario Regionale

Dal 23 gennaio di quest'anno, i minori di 14 anni anche "irregolari", ovvero figli di genitori non iscritti all'anagrafe, possono ricevere le cure necessarie. La disposizione arriva dopo l'apertura del Servizio civile nazionale agli stranieri.
Per quanto riguarda la possibilità di accedere al Servizio Sanitario Regionale, la decisione affermativa fa seguito all' appello di molte associazioni e da Asgi (Avvocati Per Niente), Naga e Anolf-Cisl che, a dicembre 2013, avevano intentato una causa per discriminazione contro la Regione Lombardia.
I genitori del minore possono recarsi in una Asl che accerta l'età, le condizioni e le circostanze per poi rilasciare un documento cartaceo con cui il paziente potrà essere essere ricevuto da un pediatra, eventualmente sempre lo stesso e anche per un numero di volte illimitato, anche se resta aperta la questione della scelta del professionista. I genitori dei bambini e dei ragazzi stranieri non possono ancora avere libertà di scelta del medico, a differenza di quanto accade per gli italiani. In ogni caso, la visita sarà pagata direttamente dalla Regione.
 


Di seguito le indicazioni in lingua francese e inglese

Per ulteriori informazioni consultare anche il sito del Naga: www.naga.it

Contatti: naga@naga.it , tel- 02.58102599 – 349 1603305












Pediatra per “minori irregolari” YOUTUBE

sabato 18 gennaio 2014

Un'associazione e una biografia dal Libano






Pubblichiamo la seguente comunicazione che ci ha mandato una nostra lettrice, Mona Mohanna, che ringraziamo. Crediamo che possa interessare molti di voi.




Chers amis, chères amies,

J’espère que vous vous portez bien et que vous avez passé de bonnes vacances d’été.

Comme vous devez le savoir, la situation actuelle au Liban n’est pas fameuse due à la crise syrienne et à la division politique qui en découle, ce qui nous met dans une situation d’inquiétude permanente. Le Liban accueille actuellement autour de 1.5 millions de réfugiés syriens selon les estimations du gouvernement, et pourtant nous réussissons à maintenir une situation viable. L’association Amel est devenue un acteur crucial dans l’aide apportée aux populations en difficulté et aux réfugiés syriens au Liban. Le travail sur le terrain porte réellement ses fruits, et Amel a plus de 24 centres sur tout le territoire et trois cliniques mobiles aidant tous les nécessiteux, indépendamment de leurs appartenances religieuse, politique, géographique ou communautaire.J’ai le plaisir de vous écrire ce message pour vous annoncer la publication de la biographie de Kamel Mohanna: «Un médecin libanais engagé dans la tourmente des peuples: les choix difficiles» aux éditions de L’Harmattan écrit par le talentueux auteur, Chawki Rafeh, avec une préface de George Corm et une introduction d’Ibrahim Baydoun.Après trois publications au Liban en arabe, la version en français est enfin disponible. Ce livre parle d’une vie d’engagement humanitaire et est le couronnement d’années de travail et d’investissement dans des causes justes.

«Né l'année de l'indépendance du Liban, en 1943, à Khyam, un village du Liban Sud, le Docteur Kamel Mohanna a étudié à l'époque de l'analphabétisme, défiant la pauvreté pour devenir médecin. Il s'est forgé un rôle libanais en s'engageant dans le mouvement étudiant qui, dans les années soixante, a soulevé la France. Puis, dans les années soixante-dix, suivant la route tracée par Che Guevara, il rejoignit les révolutionnaires dans les montagnes du Dhofar. C'est là-bas qu'il participa à la marche des « médecins aux pieds nus » sur les pas de Mao Tsé-toung. Il résista ainsi aux sirènes de Paris, du Canada et des quartiers chics de Beyrouth. Il leur préféra, à son retour au Liban, la misère des camps de réfugiés palestiniens où il vécut auprès des pauvres et des malades dont il fit sa cause. En pleine guerre civile, dans les années soixante-dix et quatre-vingt, il sillonna le Liban, n'hésitant pas à aller à l'encontre de tous les préceptes politiques communément admis. En 1979, il créa l'association Amel, pacifiste en temps de guerre, ouverte à tous en temps de partition, prêchant la vie à l'ombre du suicide collectif. Jusqu'à aujourd'hui et à travers cette organisation non confessionnelle, il œuvre afin de développer l'humanité de l'être humain, sans tenir compte de ses appartenances religieuses, politiques et géographiques, vers un monde plus juste et plus digne.

Kamel Mohanna est aujourd’hui président d’Amel Association International et Coordinateur général du collectif des ONG libanaises et arabes. Il est aussi pédiatre et professeur à l'université libanaise.». Cette biographie est un témoignage crucial dans cette période de recrudescence de tension et de haine afin que la nouvelle génération n’oublie pas toutes les atrocités qui ont été commises au nom de différents confessionnels. Il est donc important que ce livre reçoive un accueil favorable et touche le plus de personnes possible en France, au Liban et ailleurs. Plusieurs évènements de lancement auront lieu: A Beyrouth d’abord lors du Salon du Livre du 1er au 10 Novembre où se tiendra une table ronde, et à Paris à des dates qui restent à confirmer – nous vous les communiquerons dès que possible.

Un grand merci pour votre soutien et l’intérêt que vous pourrez porter à cette biographie qui retrace le parcours d’un médecin pris dans la tourmente des hommes et d’un engagement permanent dans les causes humanitaires.

Bien cordialement,

Equipe de Communication d’Amel Association

Eva Boisrond et Marie Justine Delmas
info@amel.org.lb - youtube: amelassociation's channel
http://www.amelassociation.org
https://twitter.com/#!/AmelNGO

mercoledì 31 luglio 2013

Il diritto di cittadinanza e il diritto alla salute


Perchè il diritto di cittadinanza è connesso al diritto alla salute? Perchè, nella legge n.94 del 15 luglio 2009, è contenuto il cosiddetto “Pacchetto sicurezza” il quale, con l'intento di contrastare la criminalità, ha introdotto, in Italia, il realto di “immigrazione clandestina”: il migrante senza permesso di soggiorno (perchè senza un lavoro e senza dimora, requisiti fondamentali per ottenere il documento), come conseguenza di questa disposizione di legge, non si reca in ospedale o non chiede cure adeguate, in caso di malattia, per paura di essere arrestato. Anche per questo motivo la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 28 aprile 2011, ha censurato l'introduzione del reato di clandestinità in Italia.
Cosa succede a livello sanitario, quindi? Gli stranieri irregolari presenti in tutti gli Stati dell'UE si vedono garantite le cure di emergenza, ma non esiste, da parte dell'Unione Europea, garanzia per la loro assistenza medica e sociale, ovvero la tutela della salute delle persone irregolari è disciplinata dalle norme nazionali, con una grande variabilità tra i Paesi membri dell'UE.
In particolare, nel nostro Paese, il cittadino straniero può godere degli stessi diritti di uno italiano (si può, quindi, iscrivere al SSN, Servizio Sanitario nazionale) se cittadino comunitario, residente in maniera stabile e in possesso del permesso di soggiorno. Lo straniero, invece, sprovvisto del documento può usufruire di cure ambulatoriali o ospedaliere urgenti, di cure continuative per malattie conclamate e di programmi di medicina preventiva, utilizzando i codici STP e ENI i quali permettono le sole cure essenziali e continuative, ma non l'assistenza di un medico di medicina generale.
Questa situazione si ripercuote anche sui figli degli stranieri irregolari: è difficile fare una stima della loro presenza, per cui diventano “invisibili”. Per quanto riguarda l'assistenza pediatrica, questi minori hanno diritto all'assistenza presso consultori familiari, i pronto soccorso, gli ospedali (ma solo per prestazioni urgenti), ma sono esclusi dal diritto di avere un pediatra di famiglia.  
Non solo a livello europeo, ma anche in Italia la situazione cambia tra regione e regione.
E' notizia di pochi giorni fa che il Consiglio regionale lombardo abbia bocciato una mozione con cui si chiedeva proprio di estendere il diritto ad avere il pediatra ai figli di immigrati senza permesso di soggiorno. Questa bocciatura va indiscutibilmente contro la “Convenzione sui diritti del fanciullo” secondo la quale tutti i minori, senza discriminzioni, devono avere accesso all'assitenza sanitaria e va contro anche alla Risoluzione A7-0032/2011 dell'8 febbraio 2011 del Parlamento Europeo che invita gli Stati membri: “ad assicurare che i gruppi più vulnerabili, compresi i migranti sprovvisti di documenti, abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di accesso al sistema sanitario e a garantire che tutte le donne in gravidanza e i bambini, indipendentemente dal loro status, abbiano diritto alla protezione sociale quale definita nella loro legislazione nazionale, e di fatto la ricevano”.
A fronte della decisione del Consiglio regionale lombardo, le associazioni ASGI, Avvocati per Niente e Naga hanno intrapreso un'azione civile presso il Tribunale di Milano, affermando che: “ Il problema si pone sia per i bambini figli di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, sia per i figli di cittadini stranieri comunitari che non hanno i requisiti per l'iscrizione al Sistema sanitario nazionale. La disparità di accesso al sistema sanitario configura una una violazione del principio di parità di trattamento e costituisce pertanto discriminazione. I minori non possono mai essere considerati “irregolari”, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori”.


Una buona notizia, invece, c'è. Lunedi' 15 luglio 2013 a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, Emergency ha aperto un Poliambulatorio, il terzo dell'Ong in Italia.
Nasce dalla collaborazione con Libera, la cooperativa Valle del Marro, la Parrocchia Santa Marina Vergine e la Fondazione “Il cuore si scioglie” di Unicoop Firenze.
Emergency aveva iniziato a lavorare in questa zona quasi due anni fa con un ambulatorio mobile; oggi si stabilisce a Polistena in un palazzo confiscato alla 'ndrangheta per continuare a dare assistenza sanitaria soprattutto ai migranti che lavorano come braccianti nelle campagne di Gioia Tauro e anche a tutti coloro che necessitano di cure.
In particolare i pazienti accusano dolori muscolari e alle ossa, dermatiti e patologie gastrointestinali, malattie causate dalle difficli condizioni di vita e di lavoro.
Presso il Poliambulatorio tre mediatori culturali offrono consulenze socio-sanitarie e si occupano del rilascio del codice Stp (Straniero Temporaneamente Presente, che garantisce agli stranieri irregolari l'accesso al Servizio sanitario pubblico).

Poliambulatorio di Polistena (RC)

Via Catena 45, secondo piano

Lunedì-Venerdì ore: 9.00-18.00