L'altro
ieri si è tolto la vita, impiccandosi.
Era
residente a Paderno Dugnano e il suo corpo è stato ritrovato in un
campo di Biassono, abbastanza vicino al luogo in cui viveva e
studiava.
Ma in
precedenza si era già allontanato da casa: un anno fa si trovava in
villeggiatura sul lago D'Orta, nel novarese, e da lì era scappato,
portando con sé una cartina geografica, e agli agenti che lo avevano
fermato, per poi ricondurlo dai suoi genitori, aveva detto di provare
una forte nostalgia e di desiderare di rivedere i familiari rimasti
in Etiopia.
Il 15
febbraio scorso il ragazzino si era allontanato di nuovo dalla
cittadina di residenza, senza documenti né telefono cellulare, e i
genitori avevano subito dato l'allarme perchè preoccupati da un
biglietto lasciato dal figlio. Sul foglio di carta, infatti, Habtamu
aveva scritto: “Non ce la faccio più a vivere in Italia, voglio
morire”. E così, purtroppo, è stato.
Un adolescente
che, oltre alle inquietudini proprie dell'età, portava dentro di sé
il peso dello strappo dalle proprie origini e dai propri affetti e,
probabilmente, anche il disagio – non ancora risolto – di una
doppia appartenenza, di una doppia identità.
Ad
Habtamu vogliamo dedicare la recensione del romanzo e dell'omonimo
film Vai e vivrai
di Radhu Mihaileanu (editi entrambi da Feltrinelli). Nei film e in
letteratura, spesso, c'è il lieto fine; nella realtà, altrettanto
spesso, purtroppo, no.
VAI e
VIVRAI di Radhu Mihailenau
Tra il
1984 e il 1985, migliaia di africani aspettano di essere imbarcati
sugli aerei per essere portati in salvo in Israele. Sì, perchè
quegli africani sono ebrei etiopi, i falasha.
Molti
di loro non riescono, per vari motivi, a scappare dalla carestia e
rimangono al campo profughi in Sudan e, quasi sicuramente, andranno
comunque incontro alla morte, per fame, per sete, per malattia.
Proprio per evitare questo, una madre cristiana spinge il proprio
bambino verso un'altra donna, affidandoglielo e chiedendole di
portalo con sé in Terra Santa, come un falasha.
Il bambino dovrà abbandonare il proprio vero nome – si farà
chiamare Schlomo – la propria religione, il proprio Passato.
Una
volta giunto in Israele , dove viene adottato da una famiglia di
ebrei illuminati, la sua esistenza non sarà facile: ogni successiva
conquista avverrà a seguito di dolore e di sofferenza perchè è un
bambino nero in una società di bianchi, una società complessa
caratterizzata dal razzismo tra ebrei askenaziti e sefarditi, un
conflitto – questo – che si va ad aggiungere a quello con i
palestinesi.
Lo
stesso Mihaileanu, nato da una famiglia di ebrei rumeni, è dovuto
scappare dal regime di Ceausescu e ora vive a Parigi e, dopo il
successo di Train de
Vie,
ha proposto la storia dei falasha,
una storia poco conosciuta, ma molto interessante. Nel caso degli
ebrei etiopi, infatti, è la prima volta nella storia dell'umanità,
secondo l'opinione del regista, che dichiararsi ebrei può servire per
salvarsi la vita, anche se sempre a caro prezzo.
Lo
stile del racconto cinematografico (ma anche il libro è altrettanto
profondo) mescola il documentarismo con l'epopea per scandagliare gli
stati d'animo del protagonista che viene seguito in tutte le tappe
della vita. Il titolo originale della pellicola, infatti, è Va,
vis, deviens: Va, vivi e diventa. Schlomo
è un bambino, poi un adolescente e poi un giovane uomo e, nel corso
degli anni, porta sempre dentro di sé la nostalgia per la propria
terra, per la propria cultura, per la propria madre che cerca nel cielo, guardando le fasi della luna.
Il film e il romanzo riportano un testo universale, quindi: si parla della ricerca
di equilibrio tra due identità diverse; si parla della ricchezza
potenziale che due appartenenze veicolano; e si parla di maternità:
Schlomo si confronta con tre madri. La madre biologica, quella
adottiva (importantissima la scena in cui la donna lecca il viso del
figlio per dimostrare ai genitori razzisti dei compagni di scuola che
essere neri non significa avere qualche malattia) e Sara, la donna
che lo farà diventare padre.
Ma,
soprattutto, la Mamma Africa: quella che ha generato
lui e tutti quelli come lui, quella terra e quella cultura che gli ha
dato i tratti somatici e la fierezza, i moti dell'anima e il suo
Passato. Per andare incontro al futuro, e a una nuova vita, Schlomo
dovrà fare ritorno alle proprie radici,
camminare a piedi nudi, come in pellegrinaggio, sulla terra arida del proprio
Paese per riabbracciare colei da cui tutto è partito.