Sette
persone: quattro donne e tre uomini, chiusi nello scantinato di una
qualsiasi città europea e imprigionati nella loro condizione di
“clandestini”.
Una
ragazza laureata costretta a chiedere l'elemosina; una donna araba,
privata della maternità, un'altra, russa, costretta a prostituirsi
e Alina che spera di diventare una modella. E poi: l' uomo che viene
dalla Libia e sogna di aprire un ristornate, un altro che vuole
imparare la lingua e comprarsi una bella, grande casa; e il ragazzo
aggressivo, dall'Est, ma dal cuore tenero.
Questi
sono i protagonisti di Stranieri,
uno
spettacolo teatrale - vincitore del Premio Scintille all'ultima
edizione del Festival Asti Teatro - e presentato, qualche giorno fa,
al Tieffe Teatro Menotti di Milano, davanti ad un pubblico gremito
di giovani.
Sì,
sono straniere le persone di cui si vuole parlare, ma sono
soprattutto uomini e donne che hanno affrontato viaggi pericolosi, in
barche instabili o nascosti nei camion; uomini e donne che non
conoscono bene la lingua del Paese che dovrebbe accoglierli; che non
hanno un lavoro né stabile né dignitoso; che sognano e sperano; che
tengono duro anche quando la vita è sempre più faticosa.
Sono
gli immigrati, quelli irregolari che non hanno ancora ottenuto il
permesso di soggiorno e sono quelli che chiedono asilo perchè nei
loro Paesi c'è la guerra o sono discriminati per le proprie idee
religiose o politiche; e sono appesi ad un foglio di carta e alla
burocrazia, in eterna attesa di una risposta e di un riconoscimento.
Sono
gli “invisibili”, quelli che non hanno amici e non sono gli
amanti di nessuno, come recita la poesia che chiude lo spettacolo.
La
scrittura, la regia e la messa in scena di Stranieri
è
a cura della Compagnia Zwischentraum Theatre, un'esperienza di lavoro
nata alla fine del 2011, in Svizzera. Gli attori, e registi, hanno
nazionalità diverse (Germania, Italia, Canada e Belgio),ma hanno
condiviso la stessa formazione artistica presso la Scuola Teatro
Dimitri. La loro scelta è quella del teatro “fisico”, di
comunicare attraverso il linguaggio del corpo: con la danza, con
l'acrobatica e con la pantomima. E, a questo, si aggiungono la musica
e le parole per emozionare, ma anche riflettere sui temi di
attualità.
Abbiamo
rivolto alcune domande agli attori e alle attrici del collettivo
Zwischentraum Theatre:
Cosa
vuol dire lavorare in un “collettivo”?
Lavorare
in un collettivo vuol dire portare, ognuno, il proprio punto di
vista, le proprie paure, i propri desideri. Non è facile, a volte ci
si scontra perchè ognuno ha le proprie idee e anche forti e formare
un pensiero teatrale diventa complicato, ma alla fine, si trova il
filo rosso, ciò che che ci tiene insieme.
Come
vi siete documentati per preparare lo spettacolo ?
Ognuno
di noi ha svolto una ricerca su quello che sarebbe diventato il suo
personaggio e, insieme, ci siamo dati stimoli a vicenda,
consigliandoci libri, film o discutendo dei fatti di cui abbiamo
sentito parlare. Alcune fonti – letterarie e cinematografiche –
sono state, ad esempio, Bilal
di Fabrizio Gatti o Nel
mare non ci sono coccodrilli di
Fabio Geda, come testi scritti; oppure, come film, Illegal,
Hotel Rwanda,
Il viaggio della
speranza
e molti altri ancora.
La
costruzione dello spettacolo è stata molto lunga: il nucleo esiste
da un anno e mezzo, ma ci abbiamo lavorato a tranche di 20 giorni e,
nel frattempo, abbiamo avuto modo di studiare, di prepararci
Qual
è il significato della scenografia che avete scelto per Stranieri?
E'
ancora un punto di discussione. Per adesso vuole ricreare l'idea di
un'unica stanza e la difficoltà di vivere in tanti, insieme, in
quello spazio. Abbiamo cercato di separare gli uomini dalle donne per
sottolineare la promiscuità di generi che gli immigrati devono
accettare per forza, come anche il fatto di condividere lo stesso
letto...
La
scenografia è essenziale e simbolica - non legata al realismo della
situazione – ma vuole rendere la claustrofobia e la mancanza di
privacy
Perchè
avete scelto di recitare, principalmente, con il corpo?
Noi
non siamo attori di prosa, ma ci basiamo sull'espressione del corpo
che ha tantissimi colori: può essere poetica e rude, evocativa e
concreta, ma mai didascalica.