mercoledì 20 febbraio 2013

L'Iran e la censura protagonisti al Festival Internazionale del Cinema di Berlino


 
Jafar Panahi non era presente alla 63ma edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino per la presentazione del suo ultimo film intitolato Closed curtain.
Il regista iraniano de Il palloncino bianco e vincitore del Leone d'oro con Il cerchio - imprigionato nel 2010 per aver partecipato alle manifestazioni di piazza e oggi agli arresti domiciliari con l'accusa di propaganda antigovernativa e con il divieto, per vent'anni, di girare film, di scrivere sceneggiature, di viaggiare e di rilasciare interviste - torna, quindi, con un'opera presentata al pubblico di un festival importante, sfidando le autorità.
Closed curtain è stato realizzato, infatti, in grande segretezza e racconta proprio la prigionia del regista nella sua casa al mare. Nelle note di regia si legge: “Ho scritto la sceneggiatura mentre ero molto depresso, cosa che mi ha portato a esplorare un mondo irrazionale, lontano dalle convenzioni”.
E, infatti, il film del cineasta iraniano non è di facile lettura: in una villa di fronte al mare vive un uomo (il co-regista Kamboziya Partovi), in compagnia di un cagnolino saltato fuori da un borsone sigillato, è lì dentro, ha chiuso tutte le finestre e le ha coperte con teli neri in compagnia del suo cane e i cani, dal regime, sono considerati impuri e, quindi, vengono spesso sterminati. Poi entrano in scena altri due personaggi, in particolare una ragazza di nome Melika, ex giornalista embedded con istinti suicidi inseguita dalla polizia per aver fatto bisboccia in spiaggia con un gruppetto di amici; scopriremo che la ragazza non esiste, è probabilmente una proiezione dell'uomo che rimane solo, nella casa vuota. Un uomo, un artista in esilio, con le proprie frustrazioni, con la propria rabbia, con i propri desideri.
Un film metacinematografico, che accumula segni simbolici ( da segnalare l'inquadratura che apre il film) in una narrazione che si fa sempre più ritmata e sofisticata e che fa riflettere sulla censura, sulle pratiche di un governo dittatoriale, ma soprattutto sulla psicologia di una persona che è costretta a dialogare con se stessa.
E il tema della censura è stato affrontato anche da Shrin Neshat , presente a Berlino non come regista o videoartista, ma come giurata, la quale ha affermato che: “ Non ci sarà una nuova generazione di cineasti iraniani. (I registi) possono lavorare solo all'interno del Paese, ma poi nulla riesce ad uscire fuori” . E ha aggiunto che, comunque, il film di Jafar Panahi “verrà giudicato come opera d'arte e non per meriti politici”.