Sono
oltre 32 mila gli stranieri cancellati dall'anagrafe, nel 2011:
secondo i dati dell'Istat, infatti, sono aumentate le cancellazioni e
diminuite sensibilmente le iscrizioni nei mesi dell'anno successivo.
Ma chi sono gli immigrati che lasciano l'Italia?
A questa
domanda ha risposto una ricerca promossa dalla Fondazione Leone
Moressa, di Mestre (VE), secondo la quale sono soprattutto europei
che lasciano il “Belpaese” a causa della crisi economica.
I
ricercatori della Fondazione spiegano: “ Si tratta di una
popolazione che presenta una maggiore fragilità, rispetto a quella
italiana, di fronte alla crisi. Questa fragilità e la presenza di
alternative migliori altrove possono essere indubbiamente i due
fattori di spinta all'abbandono dell'Italia. Un'altra uscita
plausibile dalla disoccupazione o dalla precarietà occupazionale può
essere quella dell'imprenditoria che, nel caso di quella straniera,
ha infatti dimostrato una buona resistenza davanti alla sfavorevole
congiuntura economica. Tuttavia tale scelta non può risultare
preferibile all'abbandono del Paese a causa degli alti tassi di
sforzo e di rischio che comporta”.
Secondo
l'analisi le cancellazioni all'anagrafe riguardano – tra i
cittadini europei- soprattutto i rumeni; tra gli asiatici, i cinesi e
gli indiani; tra gli americani, sono soprattutto i brasiliani a
tentare altre strade fuori dal territorio italiano. Restano, invece,
numerose le iscrizioni all'anagrafe da parte di persone provenienti
dal Bangladesh.
La
Fondazione Moressa ha, inoltre, pubblicato, nel 2011, il primo Rapporto
sull'Economia dell'Immigrazione, edito
da Il Mulino e patrocinato dall'Organizzazione Internazionale per le
Migrazioni (OIM) e dal Ministero degli Affari Esteri. Il rapporto
raccoglie anni di ricerca e di studio sulle dinamiche economiche,
occupazionali e sociali, legate ai flussi migratori in Italia, con
l'obiettivo di mettere il luce la relazione che intercorre tra
immigrazione e sistema economico, sottolineando il ruolo e il
contributo che gli immigrati esercitano sullo sviluppo economico dei
Paesi di destinazione.
Il
Rapporto fornisce, così, uno strumento utile, aggiornato e oggettivo
per tracciare un profilo corretto dei fenomeni migratori, affinché
questi non facciano parte soltanto delle agende politiche sulla
sicurezza,ma vengano riconosciuti per il loro apporto di
competitività e di prosperità al tessuto sociale.
Riportiamo,
di seguito, un paragrafo del Rapporto sull'Economia
dell'Immigrazione.
Dentro
e oltre la crisi
Una
possibile lettura delle ricerche proposte in questo volume concerne
l’impatto della crisi nel breve e nel medio periodo sul processo
di integrazione degli stranieri. La recessione economica che ha
interessato il nostro
Paese
è diventata ben presto una crisi sociale, con gravi ripercussioni
sull’inclusione e il benessere dei cittadini italiani e stranieri.
In generale la crisi ha colpito in misura maggiore le fasce più
vulnerabili della popolazione, di cui sono parte anche molti
immigrati.
Il
mercato del lavoro ha subito un contraccolpo significativo. La
diminuzione dell’occupazione straniera corrisponde anche a una
significativa contrazione della domanda di manodopera straniera
proveniente dalle imprese e dai servizi: tra il 2008 e il 2010 i
posti previsti dalle aziende per i lavoratori stranieri non
stagionali sono diminuiti del 37,2%. La concentrazione della
richiesta di manodopera immigrata nelle professioni meno qualificate
non ha certamente contribuito a tutelare i lavoratori stranieri. La
crisi ha quindi accentuato e aggravato problemi e diseguaglianze
preesistenti: già a livello precrisi una famiglia straniera su
quattro arrivava con grande difficoltà alla fine del mese.
In
generale, l’effetto immediato del peggioramento delle condizioni
occupazionali sembra essere stato quello di un rallentamento dei
flussi di ingresso; un fenomeno che ha coinvolto l’Italia, ma anche
altri paesi dell’Unione europea, come Irlanda, Spagna e Gran
Bretagna. Parallelamente alcuni paesi, tra cui l’Italia, hanno
adottato misure volte a contenere ulteriormente gli ingressi regolari
e irregolari. In questo senso occorre riflettere sulle dinamiche
economiche di medio e lungo periodo, dal momento che la domanda di
lavoratori stranieri nell’Unione europea è destinata ad aumentare.
In particolare il tentativo di diminuire i flussi legali
dell’immigrazione potrebbe
portare
all’aumento dell’immigrazione irregolare e al contempo al
prolungare della crisi, riducendo la disponibilità di manodopera in
alcuni settori e contemporaneamente esporre i lavoratori stranieri ad
un maggior rischio di sfruttamento. Ciò significa anche adottare
norme e misure sociali volte a tutelare i lavoratori immigrati, anche
in caso di perdita del posto di lavoro.
La
crisi può quindi diventare un’occasione per interrogarsi sulle
attuali politiche migratorie in Italia e per valutare la loro
effettiva capacità di includere gli stranieri nel tessuto sociale da
un lato, e di valorizzarne le potenzialità e le risorse dall’altro.
Ciò presuppone una riflessione approfondita sul ruolo
dell’immigrazione per lo sviluppo economico e sociale del Paese.