Una
giovane donna e un marito inerme. Siamo in Afghanistan: lui è un
mujaeddin e si ritrova in coma in seguito ad uno scontro in
battaglia. Lei deve accudire a due figlie piccole, ha pochissimo
denaro e, a causa della povertà, decide di affidare le bambine ad
una zia che gestisce una casa di piacere.
Da quel
momento la donna e l'uomo, senza nome, si trovano soli, uno a fianco
all'altro; lei parla ad un corpo immobile; parole e silenzio.
La
“syngué sabour”, nella tradizione popolare afghana, è la
“pietra paziente”, una pietra magica alla quale si raccontano
segreti, desideri, difficoltà, sogni e sofferenze: la pietra
raccoglie in sé tutte queste confidenze fino a quando si frantuma.
Parte da questo elemento culturale il soggetto del romanzo dello
scrittore e documentarista Atiq Rahimi che ha vissuto la guerra
afghana, tra il 1979 e il 1984, per poi rifugiarsi in Pakistan e
vivere, oggi, in Francia.
Il
titolo italiano del testo scritto è Pietra
di pazienza - pubblicato da
Einaudi e vincitore del Premio Goncourt - testo che è stato
trasposto nel film Come
pietra paziente, nelle sale
cinematografiche in questi giorni. Alla sceneggiatura ha preso parte
il maestro francese Jean-Claude Carriére che ha mescolato, per
questo script, la sua esperienza con Bunuel, Loui Malle fino a Trueba
e il suo avvicinamento alla pratica filosofica del sufismo.
La
suggestione all'origine del racconto di Rahimi, oltre alla pietra
paziente, è tratta dalla cronaca reale: l'assassinio, da parte del
marito, della poetessa afgana Nadia Anjuman, con il rifiuto - da
parte della famiglia di lei - di incontralo. La realtà si trasforma
in un'opera di fantasia, delicata e poetica, veritiera e struggente,
che racconta la vicenda di una giovane donna povera e di un uomo,
militare ed eroe: intorno a loro, una casa disadorna, le montagne e i
ricordi di una vita.
Secondo
le regole della religione islamica, la moglie deve pregare accanto al
corpo del marito per 99 giorni. E proprio quel periodo diventa, per
la protagonista (Golshifteh Farahani, conosciuta per la sua bravura
in About Elly), occasione
di un viaggio nel loro Passato, nelle loro dinamiche di coppia, ma
anche nella società a cui appartengono. La guerra e i talebani con
la loro violenza; la famiglia del marito, orgogliosa di avere in casa
un eroe, ma poco sensibile nei confronti della madre dei suoi figli;
l'imam capace solo di un conforto sterile e formale.
Ma
soprattutto il corpo. I corpi - di lei e di lui - sono il fulcro
della narrazione: le parole sì, ci sono, ma la comunicazione passa
attraverso gesti lenti o appena accennati, sguardi intensi ed
emozioni trattenute. Il corpo di lei, celato sotto il burqua a
proteggere una femminilità negata; il corpo di lui, fiaccato e
ferito nell'orgoglio di maschio guerriero. Lui, portatore di morte;
lei, tenacemente attaccata alla vita. Fino a quando, quella stessa
vita ricomincerà a sbocciare, il corpo a svelarsi, le emozioni a
prendere aria. Un nuovo incontro, altri gesti, nuovi sguardi per diro
no alle restrizioni, alla mancanza di libertà, al sacrificio; per
dire sì alla potenza della passione e della scelta consapevole.