sabato 27 aprile 2013

Iraq dieci anni dopo




Laura Silvia Battaglia lavora per la redazione esteri del quotidiano Avvenire. Come freelance collabora con il settimanale Terre di Mezzo, con l’agenzia Redattore Sociale, con i network radiofonici Radio Popolare e Radio In Blu, e con RAI News. È caporedattore del sito www.assaman.info, rivolto ai migranti senegalesi. Da alcuni anni si dedica al reportage in zone di confine e di conflitto etnico o religioso (Libano, Israele e Palestina, Gaza, Afghanistan, Kosovo, Serbia), e cerca di raccontare l’altro attraverso la scrittura, i suoni, le immagini. Il suo ultimo documentario si intitola Unknown Iraq: Il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti occupavano l’Iraq con l’operazione militare “Iraqi Freedom”. Da allora sono passati dieci anni. Dieci anni di guerra in nome del terrorismo e della democrazia. Dieci anni di odio e di caos. Oggi l’Iraq è il quinto Paese più corrotto al mondo ed è il più corrotto in assoluto in Medio Oriente.
Il documentario andrà in onda questa sera, sabato 27 aprile 2013, alle 00.45 per “Agenda del Mondo”, TG3.


Abbiamo rivolto alcune domande a Laura Silvia Battaglia


Quando si è recata in Iraq e come si è mossa all'interno del Paese?

Mi sono recata in Iraq in tre riprese diverse prima su Baghdad, poi su Bassora, poi sul Kurdistan iracheno e sempre via aerea. Questo per superare sia i problemi di sicurezza legati ai viaggi di lunga percorrenza su strada, sia per aggirare problemi di visto. Di fatto l'Iraq non è più un unico Paese ma una federazione dove la mano sinistra non sa quel che fa la destra. Un visto rilasciato da una regione, da un governatorato del Sud, ad esempio, non può valere per la capitale o per il Nord. Il Kurdistan, poi, è uno Stato nello Stato. Per quanto riguarda i movimenti su strada, ci sono diverse precauzioni di sicurezza da prendere. Baghdad certamente ha dei livelli di pericolosità maggiori, a causa degli attacchi bomba frequenti ma soprattutto a causa  di possibili ceck points delle milizie. Gli occidentali possono essere degli ottimi target per rapimenti, riscatti, rappresaglie. Muoversi in taxi è decisamente pericoloso. Però, se vivi con le persone del posto, se non alloggi nella Green zone di Baghdad, se ti rechi al mercato come un cittadino qualunque - nel mio caso il mio volto e il modo in cui mi abbiglio mi aiutano nell'impresa - muoversi senza essere un target, nei limiti di quello che anche il destino ha scelto per te, è possibile.

Quali categorie di persone ha intervistato? Ad esempio, persone comuni, artisti, intellettuali e qual è il sentimento comune a dieci anni dal conflitto?

Ho intervistato solo persone comuni, posto che ho parlato anche con politici locali e con un ministro ma il loro punto di vista mi è servito per comprendere altri livelli di ragionamento legati ad interessi di parte, da parte appunto di chi governa. Ci sono due sentimenti prevalenti: la disfatta e la revanche. La disfatta è comune nelle persone che superano i 50 anni, unita alla convinzione che mai, mai più, l'Iraq tornerà ad essere ciò che era stato prima dei tempi di Saddam: un Paese modello di cultura e di sviluppo nell'area del Mashreq con la migliore università del Medio Oriente. Il secondo sentimento prevalente è la revanche, molto comune e diffusa tra i giovani ventenni. Ragazzi a cui non è stato possibile avere un'infanzia, una famiglia, un passato e che non possono sopportare l'idea di non potersi giocare il futuro. Si battono per la pace, per un lavoro, l'istruzione, la salute: tutti diritti garantiti nella forma dalla costituzione  ma nella sostanza ancora negati.

Chi si sta occupando della ricostruzione del Paese e in che modo?

Le cause di tutto questo vanno ricercate in un binomio esplosivo: i 13 anni di sanzioni a cui il Paese è stato sottoposto dalle Nazioni Unite, dopo l'invasione del Kuwait, da una parte; dall'altra la più grande operazione di state-building mai registrata prima, e in atto dal 2003. Un insieme di azioni militari, umanitarie ed economiche che costa agli americani 65 miliardi di dollari l'anno e di cui usufruiscono esclusivamente le élite al potere. Soldi che vengono settimanalmente volatilizzati dentro la Banca Centrale Irachena in oscure operazioni all'estero.Tra gli ultimi programmi di sviluppo, l'Unido ha lanciato il Teirq10006, per lo sviluppo della zona industriale di Baghdad. A questo progetto, che ha la benedizione di nove rappresentanti del governo iracheno, tra cui il Ministro dell'Industria e Minerali e 11 rappresentanti di organizzazioni internazionali, partecipa l'Italia come Paese donatore. Obiettivo: creare una Road Map industriale intorno a Baghdad che possa rappresentare un modello per lo sviluppo di altre zone industriali in tutto l'Iraq, da Bassora ad al-Anbar, passando per Erbil. Per rendere operativo il progetto, Unido chiede una definizione necessaria dei confini della zona industriale, un assetto giuridico che eviti gli effetti di free-low zones, un controllo sul territorio nazionale e non municipale, la privatizzazione sostanziale delle attività, la razionalizzazione e l'assicurazione delle risorse primarie per l'area industriale, specie acqua ed energia elettrica. In questo progetto non si fa menzione delle necessità dei civili iracheni.

Quanto sarebbe importante attivare campagne per favorire l'istruzione dei giovani e magari anche delle donne?

Non "sarebbe" importante ma "è" importante. Il punto non è attivare le campagne, cosa che è già stata fatta. Il punto è fare in modo che vengano promosse, accettate, spinte dai forum sociali locali. Dopo questo passo, che ha tra le sue più importanti sostenitrici donne, attiviste e sindacaliste del calibro di Hanaa Edwar, coordinatrice dell'ong irachena Al Amal, è necessario che il governo recepisca questo tipo di imput. Può un governo che si dice democratico consentire ancora il delitto d'onore o accettare, per tradizione, il matrimonio di minori intorno ai 12-13 anni d'età? E' quello che succede ancora in alcune zone del Paese.

Il mondo italiano dell'informazione si è un po' dimenticato dell'Iraq e delle conseguenze della guerra e della rivoluzione?

L'informazione sugli esteri in Italia è una sconosciuta, oggi più che mai. Probabilmente è colpa dell'assenza di una vera politica di Esteri, dovuta al nostro passato poco o per nulla coloniale, a cui si agiunge oggi la crisi dei media e del mercato editoriale. Eppure siamo un Paese chiave nel Mediterraneo e gli italiani sono attori preziosi in contesti di dialogo e mediazione. Riguardo all'Iraq, il fatto, ad esempio, che in questi ultimi 4 giorni ci siano stati 200 morti in scontri settari, e che non si sia nemmeno scritta una breve; o che nell'agosto del 2012 siano state impiccate 21 persone in un solo, stesso giorno senza un giusto processo e sia uscito solo un trafiletto nelle ultime pagine di 3 quotidiani, continua a confermare una triste verità: di Iraq non si parla perché l'Iraq è l'unica, vera, grande riserva di petrolio a cielo aperto nel Medio Oriente e perché sono molti i giacimenti ancora non sfruttati. Secondo il ministro del Petrolio iracheno, infatti, nel 2014 la produzione dovrebbe raggiungere quota 6,5 milioni di barili al giorno, più del doppio della attuale cifra di 2,7. E le previsioni più ottimistiche parlano di 12 milioni di barili per il 2017, quasi cinque volte la produzione attuale come sostiene lo scenario energetico profilato per il 2030 dalla British Petroleum. Perché dunque parlare (male) di un Paese nel quale si continuano a fare affari d'oro?

Può anticipare chi è Usama Al – Samarai, che lei ha intervistato, e commentare le sue parole?

Usama Al Samarrai è il figlio di Ahmed Al Samarrai, il presidente del Comitato Olimpico Nazionale Iracheno rapito a Baghdad il 15 luglio del 2006 in un incontro pubblico, insieme ad altri 24 membri del Comitato. Alcuni rapiti sono stati rilasciati dopo qualche tempo. Ma Usama non ha mai più avuto notizie del padre. Nessuno, a distanza di sette anni, sa se è vivo o morto. 
Niran, la moglie del presidente rapito, ha parlato dopo sei anni. Nel libro “A homeland kidnapped” denuncia l’inefficienza del nuovo governo iracheno, il silenzio della comunità internazionale, e ipotizza questo scenario: il marito ha pagato la sua equidistanza da qualsiasi partito e il suo amore per il Paese al di là delle divisioni settarie sull'altare delle nuove elité al potere. Di questo crimine, secondo la vedova e il figlio "sono responsabili figure attualmente al Governo”. Da parte mia aggiungo, semplicemente, che è molto strano non attivare nessun tipo di inchiesta o di interrogazione parlamentare o di indagine di fronte al rapimento di ben 24 persone da parte di un commando armato che ha fatto irruzione in una sala conferenze pubblica a Baghdad. E' come se in Italia 20 persone irrompessero armate durante una riunione di Confindustria, intimando ai cameraman presenti di spegnere le telecamere prima dell'azione e rapissero 24 delegati. Provate solo a immaginarlo. Non chiedersi il perché, non attivare nessuna azione di contrasto, non interrogare i rilasciati, insabbiare tutto nel silenzio, a livello locale e internazionale, equivarrebbe inevitabilmente a rendersene complici.



UNKNOWN IRAQ TRAILER from Laura Silvia Battaglia


Laura Silvia Battaglia