mercoledì 17 aprile 2013

Seconde generazioni: libertà di culto e diritto al lavoro



Si chiama Sara Mahamoud, ha 21 anni: è nata in Italia da genitori egiziani, è musulmana e indossa il velo.
Sara è, quindi, italiana a tutti gli effetti e anche egiziana, parla con una certa inflessione milanese e conosce anche la lingua araba: studia per laurearsi in Beni Culturali all'Università Statale e vuole contribuire al suo mantenimento con lavoretti saltuari, ma ogni volta la risposta alle sue domande di lavoro, è: “Sei molto carina, ma se vuoi lavorare qui devi togliere il velo”.
Il velo che indossa è l'hijab, che copre solo i capelli e lascia scoperto il (bel) viso. Zita Dazzi ha riportato sul quotidiano La Repubblica la vicenda della ragazza e si legge: “ L'ultimo no è scritto nero su bianco nella mail di risposta avuta da una società che cura eventi in Fiera, che l'ha respinta per il suo rifiuto di togliere il fazzoletto che le copre i capelli. Sara ha così deciso di rivolgersi a uno studio di avvocati specializzati in procedimenti contro la discriminazione razziale e di fare causa per stabilire quello che ritiene un suo diritto: portare il velo come prescrive la sua religione senza essere ingiustamente penalizzata sul lavoro e nella società”.
Il lavoretto in questione prevedeva un'attività di volantinaggio e Sara ha voluto mostrare, anche davanti alle telecamere di alcuni telegiornali, le mail intercorse tra lei e i suoi possibili datori di lavoro. “ Ciao Sara, mi piacerebbe farti lavorare perchè sei molto carina. Ma sei disponibile a toglierti il chador?” “Ciao Jessica, porto il velo per motivi religiosi e non sono disposta a toglierlo. Eventualmente potrei abbinarlo alla divisa”. “Ciao Sara, immaginavo. Purtroppo i clienti non saranno mai così flessibili, Grazie comunque”.
A questo punto la ragazza si è, come detto, rivolta al Tribunale di Lodi e i suoi legali, Alberto Guariso e Livio Neri, depositeranno un ricorso chiedendo: “ di accertare e dichiarare il carattere discriminatorio dei comportamenti tenuti dalla società che ha negato il lavoro alla giovane per il velo che indossa. Anche la Corte europea ha sempre sancito che le limitazioni che incidono sulla libertà religiosa possono essere introdotte solo a tutela dei diritti personali altrettanto importanti, come la sicurezza o l'incolumità personale, non certo per inseguire un presunto gradimento della clientela”.