Più di
340 persone decedute, più di mille ferite e tantissime sotto le
macerie. Solo 40 i superstiti. Questi sono i numeri della strage
avvenuta a Savar, nel sobborgo della città di Dacca, in Bangladesh,
a causa del crollo di un edificio di otto piani che ospitava cinque
aziende di abbigliamento per l'esportazione.
In un
primo momento, sui muri del palazzo - poi accartocciatosi su se
stesso - si erano venute a creare delle crepe e i 3000 dipendenti
delle ditte erano stati fatti evacuare, ma successivamente era giunto
dai dirigenti l'ordine di tornare al proprio posto di lavoro: e si è
verificata la strage. Una strage annunciata dato che l'edificio era
in condizioni di sicurezza assolutamente precarie e un ingegnere
aveva dato parere contrario al rientro dei lavoratori.
E'
esplosa, così, una rivolta messa in atto da parte di cittadini e
operai dell'industria tessile che sono scesi in piazza, chiedendo
addirittura la pena di morte per i responsabili delle vittime del
“Rana Plaza”: armati di bastoni e di spranghe, hanno bloccato
un'autostrada, danneggiato automezzi, incendiato negozi e bancarelle
e dato alle fiamme dei pneumatici. La polizia ha dovuto ricorrere a
gas lacrimogeni e e a proiettili di gomma per disperdere i
manifestanti. Si tratta dell'esasperazione e della paura di persone
che, secondo il comunicato di Human Rights Watch, vedono i propri
diritti continuamente calpestati nel Paese asiatico: in particolare i
lavoratori del settore tessile che sono sottoposti a turni
faticosissimi e percepiscono uno stipendio mensile medio pari a soli
28 euro. E a questo si aggiunge il rischio giornaliero per la
propria salute e per la propria incolumità.
A
seguito del crollo del palazzo e della strage di lavoratori sono
state arrestate otto persone tra cui il proprietario, il direttore
amministrativo di due delle cinque fabbriche e due funzionari
municipali che, il giorno precedente, avevano assicurato che non
c'era alcun pericolo.